domenica 15 settembre 2024

This Is the End

L'ultimo maschio di rinoceronte bianco del nord rimasto sul pianeta, mancano pochi istanti alla sua morte a Ol Pejeta Wildlife Conservancy, nel Kenya settentrionale. Soffrendo di complicazioni legate all'età, leggo sul web, ha chiuso gli occhietti sproporzionati alla mole circondato dalle persone che si erano prese cura di lui, tra cui il ranger di colore che indossa una casacca verde solcata da inserti beige. Immagine struggente e potentissima, con la quale Ami Vitale, l'autrice dello scatto, ha vinto il premio People's Choice Award per la fauna selvatica. Avendo studiato un po' di fotografia, conosco la malizia nel ricomporre le variabili dietro ogni contesto figurale, e non possiamo escludere eventuali indicazioni date al soggetto umano della foto: "Spostati più a destra, chinati e abbraccia il bestione... dai in fretta che sta tirando le cuoia!" Ma in fondo non mi importa. Fosse pure compresa una misura di fiction, nessuna opera prodotta dall'ingegno di chi dice io, bicicletta, e=mc2 e postavanguardia, riesce a eguagliare la perfezione formale di un rinoceronte bianco; ricorda certe favole in cui il vecchio re malato si sta spegnendo, e con esso l'intero regno: sono sentieri la trama di rughe sulla scorza spessa e grigia, conducono a contrade in apprensione, possiamo immaginare vallate su cui è calata l'ombra all'improvviso, i fiori non sbocciano e crollano le pareti delle case, il tutto riassunto nell'inermità di una resa incondizionata, la sua croce animale. Rimane il groppo alla gola che trasmette il dileguare di ogni vita, accompagnato da un gesto di compassione simile, nella postura, alla Pietà del Correggio – la mente si difende dal dolore attraverso l'analogia – da parte di chi appartiene a una diversa linea evolutiva. È il comune destino che si mostra con disarmata sincerità.

(Ps - Fotografia da osservare, lungamente, con in sottofondo la canzone dei Doors che dà il titolo a questo post.)

sabato 14 settembre 2024

Il Grande Intimo

 
– Per definre l'interiorità usiamo il termine intimo. Lo stesso facciamo con le parti, appunto, intime, e gli indumenti che le ricoprono. Una curiosa coincidenza, forse un indizio... Non trovi?
 – Faccio fatica a seguirti.
– Magari si capisce meglio con il superlativo, assunto a sigla di un famoso brand del settore.
 – Ti riferisci a Intimissimi?
 – Bravo! Intimissimi che però è un aggettivo, e come tutti gli aggettivi rimanda a un sostantivo.
– Tipo "intimissimità". Suona da schifo.
– Forse si vuole dire che oltre l'intimità c'è qualcos'altro. Ma cosa?
– Potrebbe essere un nuovo gioco di parole, togli qualcosa e resta altro, o meglio: l'altro.
– Ecco. La prospettiva dell'altro, penetrata in me fino a cancellare la mia propria intimità.
– Un po' come il Grande Altro di cui parlava Lacan.
– Mi sa che siamo sulla strada giusta.
– Quella del Grande Intimo...
– Il Grande Intimo, bello, come ti è venuta?
– Boh, stavo pensando ai cameramen televisivi quando inquadrano il culo delle ragazze che giocano a pallavolo.
– E che c'entra?
– A me piace la pallavolo femminile, mica sto tutto il tempo a farmi domande filosofiche come te.
– Dai, andiamo avanti.
– Vai avanti, prego. Sei tu che hai messo in piedi tutta 'sta manfrina.
– Aspetta... forse ci siamo: l'intimità trasformata in iperbole, in imperativo – pensa a quanto accade sui social –, è la versione aggiornata dell'omologazione culturale.
– Intendi dire sotto il vestito niente?
– No. Sotto il vestito l'intimo, sotto l'intimo l'intimissimo, e sotto l'intimissimo infinite copie di me.
– A proposito, hai visto che da Intimissimi ci sono le promozioni autunnali: tre mutande al prezzo di due.
– E me lo dici solo adesso!

venerdì 13 settembre 2024

Tipi umani

Nella scheda personaggio di un romanziere, la prima e decisiva voce dovrebbe essere la musica. Lo si ricava scorrendo i profili di Facebook Dating – poco utile allo scopo preposto, offre preziose indicazioni sull'umano come genere fortemente tipizzato. Quindi funziona da calco solamente per i personaggi secondari, diffidate di Facebook Dating se volete costruire un protagonista vero e complesso, ma con i personaggi di contorno è un album di figurine a cui attingere a piene mani: i tipi psicologici sono messi in posa come calciatori con la maglia della squadra di appartenenza; i più egocentrici tenevano un tempo il colletto sollevato, ora non ci sono più i colletti e nemmeno gli album delle figurine con i calciatori. In ogni caso, quella blusa andrà a coincidere proprio con la musica indicata tra le preferenze. Se ad esempio, all'interno di un profilo femminile, si legge che i cantanti del cuore sono Ultimo e Mengoni (con l'aggiunta di Loredana Bertè, abbiamo coperto i gusti musicali del 50% delle donne presenti; ai profili maschili non mi è consentito l'accesso), potremo ricavare quasi ogni altro aspetto del mondo sociale in cui collocare la persona: abbigliamento, spettro professionale, perfino il luogo dove ha acquistato la tendina per la finestrella del bagno, che non sarà l'Ikea ma Leroy Merlin. Mentre quando fa l'Happy Hour con le amiche – perché fa l'Happy Hour con le amiche, anche questo si desume dall'ascolto di Ultimo e Mengoni – ordinerà Spritz in inverno e Mojito in estate, con oscillazione tra i due nelle stagioni intermedie. Di una donna che invece ascolta Frank Zappa, si può scommettere che non ordinerà niente. Non esistono infatti donne che ascoltano Frank Zappa, se, nella scheda personaggio, avete inserito l'artista che di sé dichiarava "tengo una minchia tanta", al più potrete scrivere un romanzo ucronico o fantascientifico. Ancora ancora è possibile fare un tentativo con Tom Waits... Compulsando Facebook Dating, arriveremo alla conclusione che la donna con questa passione musicale ha due tatuaggi non meglio definiti (in ogni caso, non i trenta tribali di chi alza il volume dell'autoradio con Metallica e Foo Fighters), pratica un'arte marziale giapponese poco diffusa, non ha figli e non pensa di averne, qualche relazione saffica alle spalle ma le sta sul cazzo Gianna Nannini e chi l’ascolta, così è tornata, senza troppo entusiasmo, ai maschi che sulle applicazione di incontri ricerca con spirito altamente selettivo, a cui comunque preferisce la sua arte marziale poco diffusa; se proprio deve fare l'Happy Hour – non ci va matta, ma ogni tanto le tocca – ordinerà un Negroni o qualche vigoroso rosso del Sud, non certo Pinot nero di Borgogna. Mentre partendo da quello, dal Pinot nero di Borgogna, è molto più difficile risalire alla musica, sono dettagli che tendono a rimanere isolati. Isolati come chi frequenta luoghi virtuali come Facebook Dating, nella circostanza il sottoscritto.

giovedì 12 settembre 2024

DDT, o sull’intimità e i social

Ieri sono stato bannato. Riformulo meglio: ieri mi sono fatto bannare su Facebook. Si trattava di una persona presente tra i miei contatti, una donna sulla trentina, capelli lunghi e castani, con cui non avevo mai interagito. Da quel che capisco una poetessa, e come buona parte dei poeti identificata pienamente con il proprio gesto, cosa che a quei livelli non succede in nessuna altra arte. Mi è capito a tiro di sguardo un suo post e non ho resistito, ho commentato già sapendo che sarebbe scattata la tagliola del ban.

Intendiamoci: il mio commento non era niente di che, e sarà molto più chiaro ricostruendo il contesto. Questa poetessa posta un selfie in cui si riprende dall'alto, indossa un top turchese a fiorellini striminzito che, grazie all'inquadratura, mette in evidenza il prorompere candido dei seni; i capezzoli sono ovviamente ricoperti, ma in bella mostra la linea di discrimine tra gli organi di natura con più sinonimi al mondo (puppe, pere, centrale del latte, bocce… Benigni una volta provò a elencarli tutti), porgendosi all’osservatore come sulle vecchie copertine dell'Espresso.

La fotografia ha un titolo: Torino, poesia, linee di luce, qualcosa del genere, che c’entra con l’immagine come i famigerati cavoli a merenda; essendo stato bannato, non posso andare a rileggere per essere più preciso. Ma ricordo esattamente il mio commento: "Per fortuna c'era il titolo, altrimenti avrei pensato che il punctum della foto fosse il quadretto sulla destra"; e a destra in effetti si intravedeva un quadretto dalle tonalità rossicce.

Un messaggio ironico, di più, sarcastico, ossia ostile; almeno nella percezione di chi si sente preso in giro, dopo un tentativo (magari un poco maldestro ma verace) di accendere maliziosamente il mio desiderio di maschio, forse sperando che per metonimia facesse da traino all'interesse verso i suoi componimenti. Eppure anche io ho avvertito come ostile il suo sbattermi le tette in faccia, dando per scontato che mi stava omaggiando di tanta grazia, la monetina gettata nel berretto del clochard. Mi ha insomma dato fastidio questa intimità surrettizia e ammiccante.

E siamo finalmente al tema su cui mi interessa riflettere: Facebook, il primo social di successo (il primo social in assoluto è stato SixDegrees), nasce all'interno dell'università di Harvard il 4 febbraio del 2004. Si trattava di un luogo virtuale di condivisione tra persone che calcano lo stesso luogo reale – i vialetti alberati di Harvard, appunto –, ben presto esteso a scapito di tale fisicità. Anche nella sua ricezione fuori dai confini universitari, inizialmente, hanno prevalso piccole comunità vissute: se non territorialmente ubicate, si trattava di ex compagni di scuola, club di pescatori a mosca, scacchisti, gente con cui si era effettivamente condiviso qualcosa di concreto.

Il passo a un’inclusione indifferenza – diciamolo pure terra terra: cani e porci – è stato breve, e ora mi ritrovo con quasi 4000 contatti, di cui ne conosco personalmente sì e no una trentina. Gli altri sono fantasmi che si manifestano nel mio orizzonte ottico, e viceversa. A volte la cosa mi procura piacere, anche attraverso dei semplici segni è possibile avvertire sintonia, perfino il principio di un affetto, altre meno. Nel secondo caso, l'elemento tossico è costituito quasi sempre da una forzatura, che mi sembra di poter individuare proprio in quell’intimità oggetto dello screzio. Nei farmaci viene chiamato effetto paradosso: con più vuoi condividere il tuo piccolo privato mondo, il tuo corpo, il tuo gattino tenerino, con più l’estraneo che ti osserva prende coscienza della reciproca estraneità, traducendola in inimicizia.

Credo che il fenomeno degli hater, di cui il mio commento rappresentava una versione edulcorata, derivi in parte da questa idiosincrasia tra opposte e purtroppo comunicanti intimità, e il ban ricevuto la forza di segno uguale e contrario prodotta dalla scintilla d’attrito. Ha infatti fatto benissimo la poetessa tutte tette a bannare una persona giudicata insolente, la bacheca in fondo è la sua, e una bacheca viene percepita come casa propria, il più delle volte senza pensare che ha le finestre spalancate sul mondo. In una quartina di grande potenza, scriveva Sandro Penna: “Felice chi è diverso \ essendo egli diverso, \ ma guai a chi è diverso \ essendo egli comune.” L’esperienza della tarda modernità suggerisce una versione aggiornata: “Felice chi è intimo \ essendo egli intimo, \ ma guai a chi è intimo \ essendo egli estraneo.”

Se ognuno così facesse – bannare chi, su un social, non avverte immediatamente come intimo e congeniale – in quanti resteremmo? Venti, trenta, massimo una quarantina di persone per ogni bolla, non di più. E cioè il nucleo iniziale degli studenti di Harvard. Tutto ciò che è venuto dopo è stato nella migliore delle ipotesi ridondante, e nella peggiore fastidioso come una zanzara di cui avverti il ronzio in piena notte, prima di addormentarti. Per cui diamoci dentro con il ban, pietà l'è morta, e con essa empatia, umorismo, curiosità verso un altro che sia radicalmente altro. Ora possiamo sterminare l'intruso con la stessa disinvoltura con cui un tempo si spruzzava il DDT.

mercoledì 11 settembre 2024

Tiro alla fune

La prima immagine che si presenta alla mente è quella del tiro alla fune. Solo in seguito riesco a collocare al suo interno, con funzione di paonazzi contendenti, le discussioni intorno al tema dellə Schwa, che negli ultimi giorni si sono riaccese grazie all'ultimo libro di Vera Gheno (Grammamanti, Einaudi, 2024). Confesso di conoscere il suo pensiero solo per sommi capi, ma, ai fini del poco che ho da aggiungere al riguardo, è sufficiente quel vecchio attrezzo retorico costituito dalla metafora, con cui provare ad accostare la questione da un margine figurale.

L'impressione è che tutte le lingue vengano contese e definite da due forze contrapposte, come avviene appunto nel tiro alla fune. Da un capo afferrano la iuta intrecciata le mani senza calli degli intellettuali (scrittori, poeti, linguisti) e dall'altro i comuni parlanti, possiamo anche chiamarlo popolo. A volte, non spesso, sono i primi a vincere, ottenendo quale posta l'accoglienza dei modelli linguistici da loro finemente elaborati; è successo con l'italiano e in seguito con l'ebraico, una lingua morta già ai tempi di Gesù  voi resuscitate i corpi, sembrano dire ai cristiani con ripicca, e noi le lingue. Ma è più frequente il caso di idiomi diffusi e addirittura presi a modello di bellezza, ad esempio la versione ionica del greco antico, la lingua di Omero, costretti a cedere a linguaggi che si affermano per ragioni politico-militari, o a una maggiore semplicità d'uso; per l'attico, furono le conquiste di Alessandro Magno a renderlo la Koinè parlata sulle sponde del Mediterraneo, mentre il latino viaggiò sulle ali dell'aquila imperiale. 

Se ne ricava che la sfida di Michela Murgia, Vera Gheno, Alice Orrù e di chiunque creda che la lingua debba riflettere una rinnovata sensibilità morale sul tema del genere, oltre le rivendicazioni di minoranze sessuali prima ancora che economiche, è del tutto legittima. Bisogna vedere se la forza con cui tirano la corda dalla loro parte saprà prevalere non solo sulle consuetudini d'uso, ma su ideologie di segno contrario che ugualmente trovano riflesso nei discorsi al Bar Piero, tra i banchi degli istituti professionali, sotto ai caschi dei parrucchieri (e delle parrucchiere) e insomma in quell'ovunque in cui è contemplata la Bible Belt statunitense, con i suoi suprematisti bianchi che votano per Trump.

Per quel che mi riguarda prometto, da buon italiano, di salire sul carro del vincitori, ma sono troppo vecchio e acciaccato per cimentarmi in un agone di polvere, sudore e dizionari. Vera Gheno possiede delle ottime ragioni teoriche, unite a una dose di ideologia che fa tutt'uno con l'impeto emotivo funzionale a qualsiasi competizione, tra cui il tiro alla fune. Ma se fossi un bookmaker londinese scommetterei sulla pigrizia: una forza debole tanto più incisiva nella storia vissuta, non meno che in quella scritta e parlata.

Mi piace però concludere ricordando quanto pensava Wittgestein al riguardo. "The borders of your language are the borders of your world", recitava con aria sempre un po' imbronciata. E dunque se il mondo, ossia i suoi rapporti di forza e le credenze derivate, danno forma alle parole, ci sta pure il caso contrario: nuove parole o un diverso utilizzo delle stesse (Liberté, Égalité, Fraternité, mettiamo) possono cambiare il mondo. Buona fortuna ai corpi e ai discorsi trainanti, che il tiro alla fune abbia inizio!

sabato 7 settembre 2024

Elezioni social


La parata dell'umano sui social

possiede qualcosa di villano,

corpi e parole in un troppo dolente

o spavaldo o ammiccante.

L'intellettuale è ciliegina estetica

sopra alla torta di compleanno:

catturare consenso con il senso

oppure in décolleté – in fondo uguale

se l'abaco impila pollici blu,

dove è l'esatta metrica

tra io e mondo a fare tondo.

Rimangono gli scarti, i drop-out,

la tenerezza per quei post

disdegnati dai like.

Come chi, candidato alle elezioni

comunali, ottiene due soli voti:

il proprio, e quello della mamma.


venerdì 6 settembre 2024

A Kiss Is Just a Kiss

Il mio desiderio più vero e profondo e umano è mettere fine alla mia vita. Solo che non vorrei farlo adesso, a cinquantotto anni suonati. Morire piuttosto a ventitré, quando mi sono ammalato di fibromialgia e la vita si è svuotata di ogni pienezza del termine; in seguito ho perso la vista da un occhio, due ernie al disco e una prolusione vertebrale, sviluppato una malattia del sangue e da un anno ("can magher se taca i muschi" ripeteva mia nonna) soffro anche di neuropatia periferica, con la passeggiata quotidiana assieme al cane ridotta a soli quattro o cinquecento metri. Altre relazioni sociali o affettive o lavorative non ne ho, la famiglia una serie di vettori divaricati. Un po' di tivù, divano, computer. Più che altro dolori. Ma per piacere non chiamatela depressione, quello è un passatempo per rocker di successo o ordinari insuccessi di esseri umani che vorrebbero essere al loro posto. C'è però un problema. Se io morissi ora – e non c'è giorno che non ci pensi – succederebbe una cosa che i miei fratelli suicidi non sempre considerano: il lungo e doloroso periodo di tempo vissuto in condizioni inferiori alla decenza, anche nei sogni ho sempre meno di ventitré anni, rimarrebbe fissato all'eternità, e il male invece di essere estinto si replicherebbe all'infinito. Il tempo infatti non esiste, se non ci credete ascoltate la colonna sonora di Casablanca: "You must remember this / A kiss is just a kiss / A sigh is just a sigh /The fundamental things apply /As time goes by." Ma come, se dice che il tempo va? Un momento, non arriviamo a conclusioni affrettate. Nel film manca il preludio di Times Goes By, scritta da Herman Hupfeld nel 1931 per il musical di Broadway Everybody's Welcome, in traduzione recita: "Eppure, ci stanchiamo un po', / con la teoria del signor Einstein, / Quindi dobbiamo tornare con i piedi per terra, /a volte, rilassarci e alleviare la tensione." In altre parole, il fatto che si abbia l'impressione dello scorrere del tempo è un modo come un altro per alleviare la tensione, e non pensare a ciò che ha scoperto il signor Einstein: siamo inchiodati non tanto a un nietzschiano eterno ritorno dell'identico, ma al sopravvivere della simulazione temporale. Mi è così venuta un'idea, avete presente Terminator? Basterebbe risalire il fiume del tempo alla maniera di un grasso salmone, il peso delle uova di cui sbarazzarsi una volta raggiunta la sorgente. Solo che dalle mie uova non nascerebbe nuova vita, per carità, una bella frittata e non se ne parli più, fosse il prezioso prodotto del muggine verrebbe spalmato sulle tartine servite allo Yachting Club di Montecarlo, non mi importa nulla di lasciare testimonianze virtuose, finire e basta. Qualsiasi metodo va bene, nessun messaggio simbolico da inviare per punire altri, guarda cosa mi hai fatto fare, e adesso beccati il rimorso, finire finire finire, non adesso ma il giorno prima dell'evento corruttore, nel mio caso una banalissima influenza; ogni essere umano ha il suo preciso momento di caduta, una data che non coincide quasi mai con quella incisa dal marmista sulla lapide. Per Sonny Liston fu il 25 febbraio del 1964, quando incontrò Muhammad Ali alla Convention Hall di Miami Beach, per me invece un freddo gennaio del 1989, il mio incontro con un avversario ben più piccolo e insidioso. Naturalmente è solo un tarlo che si è insinuato nel mio personale Giorno della marmotta, non un progetto, se e come sia possibile morire in anticipo mi sfugge, forse dovrei chiedere anch'io consiglio al signor Einstein: da qualche parte continua a essere, se non proprio a esistere, e non meno accanita la sua lotta con il pettine. Bisognerebbe solo trovare il modo di sbarazzarmi di questi 35 anni in esubero... Se non scorrono, ci sarà pure, da qualche parte, una porticina di servizio per evadere di prigione senza passare dal via; lo consentono le regole del Monopoli: vuoi che l'universo sia più limitato di un suo sottoprodotto per l'infanzia? Non mi sembra di chiedere tanto, non chiedo altro, prego persino Dio o uno sei suoi succedanei – morire nel gennaio del 1989. Pazienza se, il mese successivo, non ascolterei più Fausto Leali e Anna Oxa vincere il Festival di Sanremo con Io ti lascerò. Lasciare la brutta copia di me in cui sono incastrato sarà uno spettacolo tanto più grande del duetto tra i due, più dolce perfino di un bacio tra Humphrey Bogart e Ingrid Bergman, in fondo si tratta solo di un cazzo di bacio. A kiss is just a kiss.

giovedì 5 settembre 2024

Papaveri e papere 2.0

Se la politica è anche corpo, trovo interessante provare a individuare un correlativo tra i nostri politici e i dati morfometrici da essi incarnati. A sinistra prevalgono fattezze assolutamente nella media, e, con eccezione di Fassino e in parte Rutelli, non mi viene in mente nessun politico veramente basso o veramente alto – lo era Craxi, per quanto la sua collocazione a sinistra è ancora fonte di dibattito. Mentre a destra l'involucro fisico occupa la scena pubblica secondo le più varie occorrenze: basso era Berlusconi e bassa appare anche Meloni, la quale vive la propria statura con maggiore serenità; minuscolo Brunetta, al punto da rendere squallido ogni tentativo di fare ironia sulla sua condizione: fuoriuscito dalla destra di governo, ne rimane tignoso emblema nella memoria; Sangiuliano, nelle foto accanto a Maria Rosaria Boccia  l'ex amante, ora non è più l'insinuare dei maliziosi  che fa da parametro prospettico come la lattina di Coca-Cola per le riproduzioni in scala dei monumenti celebri, sembra non superare il metro e sessanta, il web non offre indicazioni più precise. Ma contemporaneamente abbiamo Crosetto con il suo metro e novantasei, Gianfranco Fini è alto 1.88, la stessa statura sia di Luca Barbareschi sia di Briatore, che andrà collocato anch'egli a destra per quanto si tratti di una destra antropologica e non politica, come nel caso di Bandecchi la cui dismisura avviene in ogni triplice coordinata spaziale. Giuliano Ferrara e Adinolfi prediligono l'espansione orizzontale, Vannacci torna a puntare nella direzione del vertice – quanto sarà alto: 1.90? – mentre la statura di Salvini è di "solamente" un metro e ottantacinque, comunque attestandosi ben al di sopra della media maschile attuale, che è di un metro e settantasette. A quel dato la sinistra sembra volersi cocciutamente attenere, reificando la vocazione maggioritaria che la contraddistingue: tutto ciò che viene prodotto dal PD deve corrispondere a un sentire che ha posto l'asticella alla tacca di una cauta normalità; Fabio Fazio per intenderci, anche fisicamente rappresenta il calco a cui riferirsi, l'idea platonica di sinistra nel nuovo millennio. Fazio non è alto e non è basso, non è bello e non è brutto, di certo è intelligente ma non geniale, ed è agevole accomodarsi sulle sue poltroncine di pelle bianca, le domande rivolte agli ospiti riflettono il range medio in cui si colloca. Diversamente, a destra prevale il culto dell'individualità, all'omologazione statistica viene preferita la differenza chiassosa, "je suis comme je suis" cantava Édith Piaf. La misura fisica ha così margine di oscillare liberamente, ci ricorda Mister Fantastic, il personaggio creato da Stan Lee in grado di estendere o contrarre a piacere il proprio corpo, dei Fantastici Quattro era il brizzolato leader in tutina blu. Non bisogna dunque criticare l'intervista di ieri sera di Sangiuliano al TG1, ha semplicemente fatto ciò che la destra sa fare meglio: altalenare frasi smozzicate tra le vette delle intenzioni e gli abissi della prassi.

lunedì 2 settembre 2024

Di due uno

Nel giorno in cui l'argomento che non perdona e tocca è la strage di Paderno Dugnano, compare, non so bene da quale altrove, un video di Vincenzo Mollica. Gli occhi sono semichiusi a causa di uveite, glaucoma e iridociclite plastica, le mani impugnano le copertine di due vecchi vinili di Celentano, le innalza nella direzione dove immagina posizionata la camera che sta riprendendo, purtroppo non si distinguono i titoli per via del tremore procurato dal morbo di Parkinson; leggo che soffre anche di diabete mellito ma continua a parlare di Adriano Celentano, dice che i dischi imperdibili del Molleggiato sono sei, e a me sembra di scorgere un invisibile filo che mi riconduce a Paderno Dugnano. La vita viene cancellata con un coltello da cucina e subito ricompare da un'altra parte, ostinata e tremebonda, nonostante tutto va avanti, una carezza e un pugno cantava Celentano. E non si capisce in quale dei due quadri sia contenuta una misura più alta di mistero, di tragedia ma insieme di qualcosa che sfugge alla logica dei discorsi; in fondo il melodramma è nato a questo scopo: dove non arrivano le parole comincia la musica; in seguito vennero le canzoni che di Mollica sono state passione e professione, assieme al fumetto che ugualmente accoppia parole con immagini. "Quando di due farete uno solo", sta scritto nel Vangelo apocrifo di Tommaso, "diventerete figli dell'Uomo, e se direte: Montagna spostati! quella si sposterà."

domenica 1 settembre 2024

Settembre

 

Settembre col suo invisibile dito

Ricaccia la lucertola nel buco

Carezza piano il tronco del sambuco

E il plafond apre alla carta di credito.