Non so a quale gioco stia giocando mia madre, ma il sospetto è che, in tal modo, cerchi di sottrarre al fumo della motrice la sagoma del suo treno, riprendersi le figurine per completare l'albo. Una sensazione consolatoria e diffusa, la fotografia è stata inventata a questo scopo, e nell’essere un doppio pigro della vita consente di tornare sui propri passi; una sorta di pedinamento in cui la meta coincide con l'origine. Ma non possiamo chiamarlo viaggio di ritorno e a ben vedere neppure viaggio, già che se provassimo a fare il percorso a ritroso, a farlo realmente e non solo nella contemplazione, sarebbe a tutti gli effetti un nuovo viaggio: il leoncino con cui siamo stati fotografati al circo, quel giorno avevamo l'allergia ai pollini, dovevamo ancora ripassare le tabelline e ci scappava la cacca (l'espressione incazzata era dovuta allo sforzo nel serrare gli sfinteri), nel caso fosse ancora vivo quel leoncino ci sbranerebbe. Ci tocca così convenire che non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume. Da qui l'infinita tristezza delle rimpatriate, le feste dei coscritti, i fidanzatini delle medie incontrati per caso all'Esselunga.
Deve essere questa la ragione per cui sua madre, la mamma di mia mamma e
cioè mia nonna, al contrario si schermiva ogni volta che cercavamo di
fotografarla; l’abitazione in cui viveva con mio nonno non presentava alcun
ritratto familiare alle pareti, minimale si direbbe ora. Il suo cattolicesimo
contadino, semplice, cocciuto, conteneva un dubbio mai rivelato – scommetterei
neppure a sé stessa – che vede nella fotografia non tanto un furto d’anima
(come dicono avvenga per alcune comunità di origine arcaica) ma un sigillo
imperioso, che vuole convincerci che le cose sono andate a quel modo lì, punto,
cosa fatta capo ha.
Ma forse no, di ogni storia, per lo scrittore, esistono infiniti possibili finali, percorsi alternativi, e come in
quella barzelletta in cui un tizio va a cinema ogni giorno a vedere lo stesso
film, anche mia nonna avrebbe risposto all’interlocutore che gliene chiede
ragione: perché oggi Rocky mi sembrava più in forma del solito, ci sta che la
spunti su Apollo Creed – ammesso e non concesso che mia nonna conoscesse Rocky
e Apollo Creed.
E comunque io mi sento più simile a mia nonna che a mia madre; non sarà,
come nel suo caso, la redenzione cattolica dei peccati a motivarmi, ma mi
sembra che anche la vita trascorsa dovrebbe avere diritto a una seconda chance,
negata dalla fotografia. Non rivedo così alcuna immagine che mi ritrae – per
altro ne possiedo pochissime, emulando anche in questo la nonna – ma mi incanto
a osservare quelle degli altri, specie le foto scolastiche: un concentrato di
possibilità drammaturgiche, di esistenze da inventare.
Oggi ho ricevuto un bel regalo, tutti i siti web pubblicavano la fotografia
della classe di David Sassoli; l’anno dello scatto non viene indicato, ma
Sassoli era del 1956 e così a occhio si tratta di un gruppo quindicenni;
potrebbe essere il 1971, quando lui frequentava la quarta Ginnasio al Liceo
Virgilio di Valle Giulia. Il treno che l'avrebbe portato alla presidenza del Parlamento Europeo stava ancora scaldando i motori.
Chi è Sassoli lo sappiamo tutti, è il ragazzo in alto a sinistra
circoscritto dal cerchio rosso. Anche la sua vita la conosciamo, in molti
abbiamo imparato ad apprezzarla e io sono tra questi, che vorrebbero cambiarne
il finale ma non possono. Stramaledette fotografie! Ma chi è il ragazzino al
centro, quello con la testa grossa di sbieco e il maglioncino blu; un occhio è
socchiuso per via del sole e la mano destra sta nascosta sotto l’ascella
opposta, mentre con la sinistra fa le corna – chi è?
Nulla si sa e tutto si immagina, risponderebbe Fellini. E così immaginiamogli una storia, un futuro in cui si è diplomato con fatica, magari ha perso un anno ma poi è subentrato al padre alla guida di una concessionaria di automobili, dopo aver tentato qualche esame alla facoltà di Legge. Acquistano le auto in Bulgaria e poi le rivendono a Roma; possiedono anche una filiale poco fuori Latina, le auto di lusso si vendono bene in provincia. A un party in una villa sull’Appia antica ha conosciuto una brasiliana con cui si è sposato giovanissimo. Pochi mesi dopo erano già divorziati e si è goduto la vita, così ama ripetere, fino alla soglia fatidica dei trent'anni, quando si è risposato con la segretaria di una sua cugina commercialista, con la quale hanno avuto tre figli, cinque gatti, quattro nipoti, due labrador, sette amanti lui (ma esagera sempre con gli amici del circolo di aeromodellismo di Roma nord, tra di loro si chiamano scherzosamente i panzoni volanti) e lei una scappatella (usa proprio questa espressione, scappatella, con il suo padre confessore, ma diversamente dal marito propende alla sottostima numerica), oltre a un incidente mentre tornavano assieme dalla Fiera della porchetta di Ariccia, per fortuna lieve. E in ogni caso l’auto aveva la targa in prova della concessionaria, con l’assicurazione casco.
Quando ha saputo della morte di Sassoli ha preso
l'automobile più costosa, ha raggiunto la camera ardente, si è fatto un selfie
davanti alla bara è poi l'ha mostrato ai suoi nipoti, insieme alla foto in cui
fa le corna infastidito dal sole. Vediamo se riconoscete il nonno, ha aggiunto con la stessa espressione bricconesca di allora.
Già, mi rendo conto quel che state pensando: è una storia modesta, ma con
quell'aspetto non sono riuscito a fare di meglio; l’immaginazione non è
mai totalmente libera e piuttosto un seme a cui possiamo offrire acqua e
parole, più simile al giardinaggio che al gesto teologico della creatio ex nihilo. Però forse possiamo
riprovarci con la ragazza dai capelli rossi, è la seconda in alto da destra, il
suo pullover è color panna su cui staglia una collanina in corda di stile etnico, lasciando intravedere ai lati il seno appena abbozzato. Gli occhi puntano al
suolo, ma per conformismo li supponiamo verdi: capelli rossi e occhi verdi, un abbinamento come giacca nera sopra camicia bianca che indossano i camerieri. Clic.
Lei invece sì che era brava a scuola, si contendeva con Sassoli il titolo
di più brava della classe – lo superava in matematica e scienze, ma non in
lettere e storia e filosofia – e forse li accomunava anche un primato estetico
quasi subito, ricavato da severissime classifiche compilate dai compagni di
sesso opposto. Mi piace immaginarmi una relazione inespressa tra i due, i due
belli della quarta A: a lui piaceva lei, a lei lui ma entrambi erano troppo
timidi per dichiararsi, così alla fine non se ne è fatto nulla; qualcuno però
mormora di averli visti camminare tra i pitosfori tenendosi per mano, era il
giorno della gita scolastica alla Reggia di Caserta.
Terminato il liceo si è iscritta a Medicina. L’ultimo anno l'ha trascorso all'estero, non esisteva ancora l’Erasmus ma il suo professore di Microbiologia ha molto insistito, oltre ad averla aiutata nella convinzione che quella ragazza taciturna avesse diritto al suo treno, destinazione Heidelberg, Ruprecht-Karls-Universität. È qui che una sera ha provato a dare due tiri a uno spinello (ma non le è piaciuto) e un'altra, dopo infinite richieste da parte di uno spilungone danese che nel frattempo era diventato il suo ragazzo, ha praticato sesso orale (e questo invece le è piaciuto, anche se non ha mai voluto ammetterlo e poi si è subito sciacquata la bocca con il collutorio alla menta).
Dopo essersi laureata a pieni voti si è specializzata in cardiochirurgia infantile, ha acquistato un cavallo bianco, si è tinta i capelli di biondo – chissà perché si è sempre vergognata del colore dei suoi capelli, forse per via di certe brutte storie, storie volgari, che girano sulle rosse –, ha regalato il cavallo a un buttero (i cavalli devono vivere in libertà, si è detta) ed è andata in Africa per curare i bambini, i vecchi, quelli di mezza età e insomma tutti; che mi importa del tempo scritto sulla pelle ha concluso un pomeriggio mentre osservava l'acqua scivolare da tutte le parti, era appena iniziata la stagione delle grandi piogge, ruscelli senza un'apparente direzione del colore del maglioncino che indossava quel giorno, quando hanno scattato la foto e lei ha abbassato lo sguardo. Ciò che importa è la pelle.
Ma nemmeno in Africa è rimasta molto. È ritornata a Roma e ha approfondito
lo studio dell’omeopatia, ha fatto anche un corso di profumeria, un altro di
Meditazione Trascendentale, ha riprovato a fumare uno spinello (bah, la stessa
schifezza della prima volta) e a fare sesso orale; e però ora con una donna,
realizzando che nemmeno quello era ciò che stava cercando. E così continua a
cercare, anche adesso che i suoi capelli biondi sono diventati bianchi dopo
essere passati per il nero, prima che se li tingesse nuovamente di rosso. Il
suo colore, questo finalmente l’ha capito. Per il resto c’è ancora tempo, è appena andata in pensione. C'è
la sua pelle, non più solo quella degli altri, pelle chiara e piena di efelidi, di cui prendersi finalmente cura.
Quando ha saputo della morte del suo compagno di classe David Maria, i
genitori l'avevano chiamato così in omaggio a padre Turoldo, è andata su Google
e ha digitato: "reggia caserta". Solo dopo ha pianto.
PS - Per gli altri compagni, se vi va, continuate voi.
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