Nella pagina dei commenti de la Repubblica di oggi, Enzo Bianchi, ex priore
della comunità di Bose, ricorda che il primo dei comandamenti è quello
dell’ascolto (“ascolta Israele!”), senza il quale anche i dieci incisi sulle
tavole di marmo consegnate a Mosè cadrebbero nell’oblio. Inascoltati, appunto.
Leggendo le sue parole mi è venuta in mente la scuola fondata a Crotone da
Pitagora nel 530 a.C. Gli allievi erano divisi in una cerchia più ristretta, i
matematici, e altri che potremmo vedere come delle matricole, a cui era negata
la visione diretta del maestro. Solo potevano intravederne la figura dietro a
una tenda: la voce filtrava ma non gli era consentito porre domande, o altre
forme d'interlocuzione. Perciò venivano chiamati acusmatici, da akousma,
voce, suono, a cui era limitata la loro esperienza per la durata di tre anni
dall'ingresso nella scuola, ce lo comunica Porfirio di Tiro. Tre anni di assoluto
silenzio e ascolto.
La reminiscenza scolastica mi suggerisce una modesta proposta: e se
introducessimo una simile regola anche per i social network? Qui tutti parlano,
linkano, commentano, postano fotografie, ma pochissimi stanno ad ascoltare. Me
compreso, naturalmente. Da un punto di vista tecnico non è difficile. Per tre
anni si dovrebbe aver dato prova di ascolto, ad esempio riassumendo gli
interventi che più ci hanno colpito. Quindi anche a noi sarebbe consentito
scriverne di propri, come nella scuola di Pitagora avremmo guadagnato il
diritto di parola, saremmo stati promossi alla cerchia dei matematici; quando
prima che una faccenda di numeri e calcoli, matematica significa tecnica
dell’imparare.
Ovviamente so che non potrà mai essere così, o meglio non potrà essere più. Fate dunque come se non avessi detto nulla, come se non mi aveste ascoltato; un esercizio che ci viene particolarmente bene in un mondo in cui l’impulso a dire supera di gran lunga quello ad ascoltare. Condannandoci, aggiungerebbe Enzo Bianchi, a essere peccatori. Una forma di moderno peccato che potremmo chiamare espressionismo, in cui viene confusa per virtù (la sincerità) l'espressione di ciò che pensiamo. Ma lo pensiamo veramente – si può pensare senza aver prima ascoltato, insegnare senza avere imparato? – o lo esprimiamo soltanto…
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