giovedì 21 ottobre 2021

Ambra e il Cavallo, per un’etica civile del luogo comune


"Ogni volta che mi rendo conto della verità di un luogo comune, mi viene da gridare, come Archimede, "Eureka!" Lo confidava Michel Houellebecq a Fabrizio Coscia in un’intervista di qualche tempo fa, da cui ricaviamo che compito della letteratura è smentirli, i luoghi comuni, quanto confermarli, ossia sottoporre la realtà al collaudo di un’esperienza interposta e fittizia; nel linguaggio della scienza vengono chiamati esperimenti mentali.

Ciò che il gossip ci sta dando in pasto nelle ultime ore può dunque essere visto come esperimento mentale, il cui esisto farebbe gridare Eureka! a Houellebecq. Mi riferisco al pettegolezzo rilanciato da Dagospia, per cui l’allenatore della Juventus Massimiliano Allegri sarebbe portatore di una virtù, che, per dirla con le parole di Fabrizio De Andrè, tra tutte le virtù è la più indecente. Per dirla invece con le parole di Dagospia, l’allenatore, nel giro dei conoscenti, verrebbe chiamato Cavallo. Insomma, Allegri è superdotato, e chiudiamola qui.

Ciò che mi interessa provare a dischiudere sarà allora il rapporto tra stereotipo e realtà, oggetto e narrazione; una porticina piccola piccola e nascosta che si apre su un grande confuso magazzino; ci troviamo Marylin Monroe con la gonna sbuffata al insù ma anche le Marlborlo arrotolate nel risvolto della t-shirt di Marlon Brando ma anche il Big Jim… È in quello specchio che la nostra anima, il suo residuo dal saccheggio degli ultimi decenni, perlomeno, si riflette. Le Grande Autre lo chiama con bella espressione Lacan, il Grande Altro.

In questi giorni è stato celebrato il funerale pubblico della relazione tra Ambra Angiolini (la "vittima") e Allegri (il "carnefice"), quale mormorata conseguenza di un tradimento scoperto dalla prima e agito dal secondo, con tanto di tapiro ad Ambra da parte di Striscia la notizia e parole accorate e solidali di Massimo Gramellini. Tutto ciò ha colpito l'immaginario collettivo, l'ha ridestato dal torpore delle infinite discussioni sul Covid.

Voglio essere molto chiaro: il tapiro ad Ambra è l'ennesima scemenza di un programma ripugnante, e che lei possa soffrire per amore mi spiace; in un’ideale piramide di Maslow dei dispiaceri, tale sentimento occupa però una posizione prossima alla base, ben dopo alla tristezza per il mio cane, Mela, che oggi si contorceva per gli spasmi causati da una brutta colite. Prendo semplicemente atto che il contegno pubblico di Ambra è stato impeccabile, dimostrandosi donna intelligente e ironica; i due termini sono forse sinonimi, ma gli riconosco volentieri entrambe le qualità. Come credo anche lei preferisca, l’intera vicenda umana mi appare così rubricabile nel cintato perimetro dei cazzi suoi.

Trovo invece di grande interesse la risonanza mediatica, civile e perfino letteraria della vicenda, che ancora una volta vede la realtà conformata al suo sciatto stereotipo, letteratura di genere se vogliamo essere generosi: la bella attrice non si fidanza con un cassaintegrato malato di fibromialgia (qualcuno che mi somigli, per intenderci), ma con un uomo altrettanto ricco, famoso e, ora si scopre, anche superdotato. Stiamo dalle parti dei romanzi Liala, o di quel suo upgrade che sono i programmi pomeridiani di Rete 4.

Il che va benissimo, sia chiaro: non c’è biasimo, sarcasmo né tantomeno invidia nelle mie parole. Ma sarebbe bello, come fa Michel Houellebecq, che anche il pensiero progressista imparasse a convivere con i luoghi comuni, li rivendicasse perfino. In fondo, passare dal riconoscimento del mondo così com’è e non come dovrebbe essere, già nelle favole viene indicata come la via più salubre per ridestarsi dal sogno prima che divenga incubo; basta trasformare nuovamente i principi azzurri in rospi, e il gioco è fatto.

La mia geremiade non riguarda dunque i dolori della post-giovane Ambra, ma il fatto che la famigerata casalinga di Voghera non possa avere un fidanzato ugualmente ricco, famoso e superdotato, da cui farsi fare le corna e poi ricevere un tapiro d’oro da Striscia la notizia. Questa è l’unica forma di democrazia che scorgo nel selfie mediatico in cui l’Italia si indigna, protesta, ride, si incazza, l’unica forma di equità sociale sopravvissuta all’implosione di ogni altra utopia.

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