martedì 24 luglio 2018

Gira l'Olanda


Per minacciare uno schiaffo, un tempo, con intenzione scherzosa, si usava dire ti cresimo, che è quanto fa in effetti il prete durante il sacramento, rilasciando sulle guance del cresimato quella che (per intensità) si rivelerà poco più di una carezza.
Chissà se esiste un cimitero per le espressioni obsolete… Nel caso, deve essere seppellito lì anche l'imperativo con cui si rivolgeva a noi la suora a dottrina, ci andavamo in preparazione a quello schiaffetto esangue della cresima, giovani atleti di un'arte marziale esotica e misteriosa. Era il 1978, di questo e poco altro sono certo, e io frequentavo l'oratorio dell'Angelo custode, situato nella zona storica di Sondrio. Non ricordo neppure il nome della religiosa ma solo la buffe espressioni che ripeteva di continuo, tra cui la più frequente era gira l'Olanda. 
Ti scappavano di tasca le chiavi della bicicletta? Gira l'Olanda! Venivi scoperto a bisbigliare in chiesa con un amico? Gira l'Olanda! Arrivavi in ritardo, quando gli altri stavano già intonando il Padre nostro? Gira l'Olanda! Ogni occasione, le più varie e anche incongrue alla frase, erano buone per scoccare il suo gira l'Olanda.
Al termine delle lezioni potevi acquistare i Chupa Chups che rigirava in bocca il tenente Kojak quando non riusciva a trovare il bandolo della matassa, oppure spumoni bianchi e rosa, lunghe spirali di liquirizia, era sempre la suora a venderli, ma quest'ultimi ci sembravano un po' una cosa da bambini, perciò li lasciavamo ai catechisti che si preparavano alla prima comunione. La taglia dei banchi era a loro misura, e a me e Redaelli, un ragazzone che a dodici anni aveva già il 44 di piede, premevano le ginocchia da sotto, eravamo compagni anche a mini basket. Per questo venivamo a dottrina già con la borsa della Sondrio Sportiva, gli allenamenti iniziavano subito dopo e il librone con impresso il volto pacioso di San Rocco si mescolava con le All Star e le braghette corte di raso.
Fu in quel limbo tra l'altare e la palestra – l'architettura barocca e logora a cornice del minimo chiostro dell'Angelo custode – che venni a saperlo, era un tiepido pomeriggio di fine maggio e a dircelo fu la stessa suora, l'espressione accigliata e grave: "Aldo Moro è morto." Non disse altro. Aldo Moro è morto.
Lo statista democristiano era appena stato ritrovato nel baule di un' R4 rossa parcheggiata in via Caetani. Il suo corpo, supino e ripiegato come l'abbiamo visto centinaia di volte in seguito, colpito da undici colpi sparati da una pistola mitragliatrice a breve distanza. Nessun organo vitale era però stato centrato e si era così spento lentamente, come una candela sotto l'altare degli ex voto.
Quattro anni prima, in trasferta nella Capitale per accompagnare un gruppo di atleti valtellinesi ai Giochi della gioventù, mio padre si era fatto fotografare assieme a lui tra le statue del Foro italico, la luce radente della sera e il sorriso enigmatico e lontano. A sinistra nell'immagine, mio padre indossa una tuta azzurra a bande bianche, ha gli occhi di un raccattapalle a cui il bomber ha appena firmato il pallone. Era solo orgoglio per esposizione riflessa alla fama e il successo non propri, o in quello sguardo si celava il principio misterioso di una qualche forma di felicità? Ma in fondo si gioisce sempre per qualcos'altro… Accanto Aldo Moro sigillato in un completo grigio, troppo stretto perfino per la moda di adesso.
Ancora non sappiamo se a premere il grilletto fu il capo della cellula brigatista romana Mario Moretti, oppure, altri affermano, il criminale comune Giustino de Vuono. A maggior ragione non sapevamo nulla allora, distratti, tra l'incalzare delle notizie dei telegiornali e l'oasi quieta di Happy Days, dai primi skateboard, gli omini oscillanti del Subbuteo, Tony Manero che balla finalmente libero sulla pista illuminata della discoteca, ignaro di aver contratto il virus del sabato sera. Le parole della suora aprivano dunque una breccia, si insinuavano nella carne viva, o forse la richiudevano, suturando e dando forma alla ferita. 
Eppure nessuno di noi si mosse o chiese chiarimenti. Probabilmente ci aspettavamo che dicesse ancora qualcosa, accompagnando la dichiarazione con una delle sue espressioni buffe, che però non arrivò mai. È come quando stai ascoltando una canzone alla radio, ma va via all'improvviso la corrente del palazzo. E così, da quel giorno, ho l'impressione che la mia canzone sia stata ingiustamente tagliata, e attendo vanamente qualcuno che mi sussurri un ultimo gira l'Olanda.

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