venerdì 30 marzo 2012

Henri Salvador, o sull'economia dell'ozio


Mia modestissima opinione sull'articolo 18 e dibattito che ne segue. E dunque. Io sto dalla parte di Marcuse, dei situazionisti, di Silvano Agosti e di tutti quelli che pensano che il lavoro sia una distorsione dell'umano. Sì, in culo il lavoro e tutta questa ossessione del "reintegro per giusta causa"! Iniziamo piuttosto a pensare seriamente a un'economia dell'ozio, fondata su una sorta di aristocrazia del bios, per così dire, della vitalità pienamente vissuta e quindi rappresentata, concettualizzata, al punto da riprendersi finalmente il controllo sulla techné - burocratica, finanziaria, produttiva. Ne discende che le macchine, e la scienza tutta applicata alla tecnologia, verrebbero aggiogate dalla polis come gli iloti dagli spartiati, e il capitale d'opera in tal modo ottenuto (senza o con minimo contributo di lavoro umano) redistribuito in forme assistenziali. Perché allora non affermarlo con ingenuo candore: denaro contro nulla, denaro e risorse per il semplice fatto che siamo vivi e respiranti, in una nuova e consapevole declinazione della società affluente, ma una buona volta affrancata da ogni tentazione imperiale: una società che non ruba ai ricchi per dare ai poveri, ma nemmeno ai poveri per dare ai ricchi. Semplicemente - è questo il controvirus cognitivo da istillare nel corpo sociale agonizzante - proviamo seriamente, e naturalmente con cauta progressione, a ripartire l'eccedenza che deriva da un alto grado di meccanizzazione delle attività produttive. Certo, magari non sarà possibile iniziare da subito a cincischiare tutto il santo giorno, camminando con un filo d'erba in bocca discettando di filosofia, di tanto in tanto ingollando un acino d'uva con la coda dell'occhio rivolta a una bellezza di passaggio. Riduciamolo allora, questo benedetto lavoro: giornate lavorative da sei ore, poi cinque, poi quattro, finché non diventi qualcosa come un hobby virtuoso. E' solo un'utopia? Sì, certo, lo è, perché un'economia dell'ozio non è ancora praticabile dentro il topos politico ed economico in cui vige il nomos della finanziarizzazione di ogni aspetto della vita associata. Necessaria è dunque qualcosa come una rivoluzione: culturale, però, prima ancora che belligerante, barricadiera. E senza naturalmente nasconderci che questo altrove del pensiero ci vedrebbe magari tutti un poco più poveri, e però più gioiosamente cazzoni e curiosi. Ma lasciamo ora la parola a un gran maestro in materia, godendoci questo formidabile contributo ironico sulla "santità del lavoro".

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