lunedì 27 febbraio 2012

Il gran rifiuto


Ne ho già parlato su questo blog. Ma probabilmente con troppo garbo, cortesia, compostezza formale. Forse anche con troppa "serietà", e non con quell'impeto spassionato che merita ogni conflitto in cui ne vada della tua vita - vita non necessariamente biologica e innervata, ma comunque vita, identità piena con sé.

Mi riferisco al sentimento di inadeguatezza e di vergogna che cercano di buttarti addosso, umiliandoti per l'impegno in quel che fai. E non sto parlando di scrittura, o della minima porzione della mia esistenza che si concentra in queste pagine: è la semplice e focalizzata attenzione a fare bene, a fare il proprio meglio con trasporto, che viene costantemente mortificata e irrisa.

Essere bravi: una colpa, se non giochi a pallone o sai aspirare due Marlboro con il naso - una per narice, come i due ladroni che penzolano dalla croce -, per poi espellere il fumo dal buco del culo.

L'albatros di Baudelaire si è così trasformato nel cagnetto che viene preso a calci per ogni via, e in particolare nello snodarsi caotico dei sentieri telematici, tra i tornanti rabbiosi dei forum, la disincanta ironia delle chat. Un universo cognitivo e linguistico dove vigono le leggi severe del mercato linguistico: ottenere tanto con poco, ottenere una complicità al ribasso nell'interlocutore. Una sorta di specularità umana deformata dalla pigrizia, che conduce a una medietà espressiva desolante, contenuta quale regola d'uso di ogni relazione sociale al tempo di facebook.

Tutto ciò ha un nome ben preciso: normalizzazione.

Che consiste, per paradosso, in una normatività della sregolatezza, della libertà esteriore e della svacco. Ossia della coincidenza del pensiero con la norma stessa, in una circolarità senza sbocco che porta la recluta a scattare sull'attenti alla vista dell'ombra - non della presenza, attenzione! - del superiore. Morale: lo studio, la conoscenza, la parola meditata e l'arte per l'arte, intesa come inchino deferente alla perizia artigianale della forma, che è cosa ben diversa dal prostrarsi all'idea che informa il giudizio, sono diventati termini di insubordinazione, da sanzionare con la moneta di un violento sarcasmo.

A questo clima non rimane dunque che opporre il nostro gran rifiuto. Nei modi manifesti e rabbiosi di Spartaco, per chi possiede un indole estroversa e fiera. Ma anche in quelli, più sommessi ma non meno efficaci, di un mite scrivano di nome Bartleby. Che tutto ciò seppe sintetizzarlo in tre semplici parole: "Preferirei di no".

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