domenica 14 agosto 2011

Noona, o sull'infinita reversibilità dell'esperienza


Uno dei rimproveri più frequenti che mi faceva mia madre, da bambino, era di non aver arrotolato bene il tubetto del dentifricio. Ma anche quello della maionese. Ma anche quello del latte condensato. Ora che ci penso, il mondo si presentava con un’incidenza maggiore di adesso nella forma di tubetto, quando ero bambino, intorno alla metà degli anni settanta.

Negli anni settanta lasciare del dentifricio – e della maionese e del latte condensato – in un tubetto mal arrotolato equivaleva certamente ad uno spreco. Ma non solo. Mi accorgo infatti che, nel rimbrotto ricorrente e non sempre affettuoso di mia madre, ci stava una sfumatura di carattere che potremmo definire simbolico, e in ogni caso non semplicemente economico. E cioè prima di passare a un nuovo tubetto – dimenticavo: anche i tubetti del pomodoro Star a doppia concentrazione hanno avuto un ruolo decisivo nella mia infanzia, specie quando era mio nonno Pinin a spremerli dentro i toast con prosciutto cotto e bustine Kraft, con gran cura successiva nell’arrotolarli – prima di passare a un nuovo tubetto dicevo, come faceva Pinin, nemmeno una goccia di pomodoro Star da consegnare al bidone dell'immondizia, è necessario terminare l’esperienza del tubetto che abbiamo in corso.

Sì, ho parlato proprio di esperienza, non di utilizzo. E ciò perché, o almeno questa è la mia impressione, negli anni settanta si tendeva ad avere un rapporto diverso con la quantità di merci che iniziavano a riversarsi nelle nostre vite: un rapporto antropomorfizzato, potremmo dire, o comunque vitale, significativo. Acquistare un nuovo elettrodomestico – mettiamo un frigorifero o una lavatrice, per non dire un televisore a colori! – si trasformava infatti in un rituale festoso, a cui partecipava l’intera famiglia. Si usciva di casa il sabato pomeriggio, qualcuno ti vedeva vestito per bene, magari un tuo compagno di dottrina, Guido oggi non vieni all'oratorio, c'è un torneo di ping pong? Ma il compagno di dottrina non doveva nemmeno aspettare la tua risposta, perché dal modo in cui sorridevi già lo capiva: quel pomeriggio non potevi andare all'oratorio come al solito, era un giorno diverso, importante, eccezionale, perfino "più eccezionale" del torneo di ping pong: quello era il giorno in cui stavi andando a prendere il frullatore nuovo, insieme a mamma e papà...

Poi il frullatore veniva posato con delicatezza al centro del tavolo di soggiorno, come un cucciolo appena adottato e ancora tremante di paura; quindi scartato, traguardato prima da lontano e poi sempre più da vicino; infine veniva compulsato il libretto delle istruzioni, commentando tutti assieme e perfino sottolineando, con un evidenziatore Satabilo Boss. E ciò non solo per un'obiettiva ingenuità tecnologica, dei padri quanto dei figli, ma perché quel frullatore doveva funzionare fino a che non si guastava, si spera il più tardi possibile. Gli oggetti andavano cioè vissuti fino in fondo, non consumati come ora vogliono farci credere con lo spregiativo termine di "consumismo", e arriverei perfino a suggerire che bisognava ultimare qualcosa come una parabola esistenziale delle merci, che è cosa ben diversa dalla semplice funzione.

Ecco, lo stesso rapporto riguardoso e deferente lo si aveva anche nei confronti di un modesto tubetto di dentifricio Acquafresh, oppure di pasta d'acciughe Balena, di tempere Giotto. Quella era infatti pura esperienza del mondo, mica solo acciughine triturate, vampe di colore, onde bianche, azzurre e rosse di mineralsmalto al fluoro.

Mi sono ritrovato avvinto in queste tenere memorie di cose, robe, realtà tangibili ma non per questo meno astratte e affettive, ripensando alle recenti discussioni sulla differenza tra Twitter e Facebook. La forma di Facebook, si diceva, privilegia più l’elemento emotivo, di comunità espressiva e umorale, mentre Twitter favorisce l’emergere di contenuti razionali, lo scambio di informazioni. A tali network sociali numericamente più consistenti, bisogna poi aggiungere l’abbondanza di altre comunità che nascono e prosperano sul web, tra cui i siti, di cui ho già scritto diffusamente su questo blog, in cui è possibile ricercare l’anima gemella o l’amore di una sera. In ogni caso, e senza voler riprendere nel merito l’intera discussione, a me sembra che tutte le comunità su internet somiglino a dei tubetti mal piegati, e presto gettati via.

Intendo dire: uno degli effetti più rilevanti di queste nuove forme di relazione è che si tende a passare ad altro, a una nuova informazione su Twitter, uno scintillante e inatteso amico su Facebook, senza però aver strizzato il contenuto di esperienza che aveva da offrici l’amico precedente, o trasformato l'informazione in cultura per mezzo del decantare critico dell'esperienza. Anche con Meetic funziona a questo modo. Si passa da un potenziale amante al successivo, di promessa erotica in promessa, senza perlopiù esporci ad alcuna esperienza reale dell’Altro, in preda alla più moderna mitologia che è quella della reversibilità: tutto è sostituibile, rinnovabile, al punto che viene il sospetto che sia proprio tale condizione di eterna possibilità (una cornucopia obesa che erutta occasioni a getto continuo) a costituire il cuore umido del piacere tardo moderno.

L’esperienza è un vincolo, in altre parole, già che l’esperienza si fa memoria e la memoria limita l’eternarsi della possibilità, andando a definire il futuro entro le strutture costrette della ripetizione (possiamo chiamarla anche reciprocità, che è ripetizione simmetrica e volontaria). L’intelligenza dei tempi nuovi ha però saputo smarcarsi dall’agguato della ripetizione attraverso la mossa scacchistica dell’arrocco: al posto dell’esperienza, su Twitter, su Facebook e su Meetic, viene così celebrata la figura neo-mitologica dell'indefinita novità. Potremmo chiamarla Noona, sorta di musa contemporanea ma senza nome: perché il nome è il graffio formale dell'esperienza, e Noona non possiede alcuna esperienza del mondo, è senza passato ma nemmeno futuro, tutta compresa in un presente germinale e desiderante.

L’unica accortezza che dobbiamo usare per mantenerci dentro l'eterno, ma allo stesso tempo inaudito, mai verificato canto di Noona, è dunque quello di cambiare continuamente lo stimolo, prima che si traduca in esperienza. Ciò comporta l'urgenza di gettare il tubetto di dentifricio, l’amico, l’amante molto prima che sia terminato. E così all’infinito: di tubetto in tubetto, di flirt in flirt, di notizia in notizia in un viaggio che per definizione non può avere termine, quando la meta è il permanere in una condizione di eterna equidistanza da ogni compimento, ogni esperienza e infine anche ogni responsabilità. Responsabilità che in fondo non è altro che il debito significativo di una risposta, avvertito nel passato nei confronti di un interlocutore anche occasionale, e ora degradato a funzione plastica di ornamento.

Ci troviamo insomma dentro un guado storico, che muove dal terreno solido dell'esperienza significativa – potremmo chiamarlo il tempo pesante del giudizio morale – a quello mobile e fluttuante dell'inesperienza espressiva: lo spiluccare mai sazi, gli assaggini sul bancone dell'happy hour, e che potremmo battezzare di converso il nuovo tempo leggero, anzi light, del pregiudizio estetico. Ma in questa progressiva perdita di zavorra e consistenza delle nostre vite, siamo scortati da almeno un'utopia residua: che il nostro prossimo, in senso cronologico, sarà sempre meglio del prossimo evangelico e spaziale. O detta in una sola battuta: avanti un altro!

PS - Sul tema, consiglio la lettura di questo libro straordinario: L'autoreverse dell'esperienza. Euforie e abbagli della vita flessibile (Saggi. Arte e letteratura)

3 commenti:

  1. Ricordo che l'ultima volta in cui ti ho confessato, ti avevo assegnato una penitenza ben diversa e non un auto da fè. Non ci siamo intesi e comunque è anche meglio così.
    Dom Milazzo

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  2. Caro Guido,la cosa tristissima è che pochissimi sono immuni all'"avanti un altro".Quelli che resistono appaiono:anacronistici, sfigati, demodè...mg

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  3. Ciao Guido, mi sembra tu abbia centrato come il "consumismo" economico abbia pervaso anche lo stesso "spirito", come se nutrire il corpo e nutrire l'anima sia la stessa cosa...ed invece no! L'etica e l'estetica hanno lasciato il campo libero alla indeterminazione ed ad un relativismo che nasconde l'ignavia. L'anima ha bisogno di tempi lunghi, di sedimentazione, di silenzio, di parole sommesse, pesate, pensate, scelte con cura. I miei più vivi complimenti per l'accuratezza delle tue scelte e per il tuo ritmo narrativo. Ro

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