mercoledì 18 giugno 2025

I negozi di giocattoli a Teheran e Tel Aviv

 

La scrittrice Deborah Gambetta lamenta su  Facebook un eccesso di visceralità nei commenti social sulla guerra. Sono d’accordo con lei – tendenzialmente, a parte la sua masochistica passione per Sanremo, sono quasi sempre d’accordo con Deborah Gambetta –, anche perché lo scrive molto meglio di come l’ho riassunto. Aggiunge che vorrebbe piuttosto capire, essere documentata, leggere fatti, indizi, scorci verbali di prima mano, e non per sentito dire da un opinionista su la7. Prevale invece una tifoseria da curva sud, che indossa la bandiera politica meno lorda di sangue.

Tutto vero, di nuovo. Ma ho l’impressione che chiedere a un social questa attitudine realistica sarebbe come chiedere a Malgioglio di vestirsi e parlare come Luca Cordero di Montezemolo. The medium is the message, voglio dire. Però anche su un social o, forse, soprattutto su un social, è possibile compiere uno scarto laterale, e disporsi alla maniera di Holden Caulfield quando arriva a Central Park. Di fronte allo stagno dove nuotano placide le anatre, si chiede: Ma dove andranno quando in inverno l’acqua gela...?

Non è difficile. Basta farsi domande apparentemente sciocche che però sciocche non sono, rendendo l’astrattezza del mugugnare geopolitico cosa viva, e la vividezza emotiva meno ovvia e rabbiosa. Ad esempio: dopo un bombardamento, i negozi di giocattoli chiudono oppure rimangono aperti? E nella seconda ipotesi, venderanno di più – è il meccanismo psicologico di difesa per cui si dice che la vita continua, deve continuare – oppure meno? Ancora. Gli orsetti di peluche nei negozi di Tel Aviv, sono uguali o diversi da quelli esposti nelle vetrine infrante a Teheran?

1 commento:

  1. L'unica domanda che mi viene è: chi schiaccia pulsanti lanciamissili a Teheran o Tel Aviv, l'ha mai avuto un orsetto tra le braccia per addormentarsi quieto?

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