Dal mio profilo Facebook risulta che ho 3243 "amici". Con una
ventina, forse trenta ma non di più, ho avuto qualche scambio, mentre con meno
di dieci ci siamo inviati dei messaggi privati; qualcosa che in effetti si
avvicina all'amicizia, perfino all'affetto in un numero ancora minore di casi.
Sono dunque felice di avere incrociato queste persone, nonostante, perlopiù, il
rapporto sia rimasto virtuale. Ipotesi di uomini e di donne, come cantava
Vecchioni nella sua Lettera da Marsala.
Il problema sono i restanti 3213, vado a spanne. Verso un 5% scarso (un
centinaio di persone, via) provo interesse, a volte anche erotico, oppure
invidia per l'intelligenza o cultura o sensibilità, nella peggiore delle
ipotesi sono curioso. Quando mi capita leggo dunque volentieri ciò che scrivono
– raro che lo vada cercare, mi sembrerebbe di tradire la natura di accadimento dei social –, e sia che mi trovi d'accordo sia che dissenta, mi
emozioni, incavoli, non è mai tempo perso.
Vi è poi un 45% verso cui subentra una sana e fisiologica indifferenza.
Siano parole, citazioni, immagini o video prelevati da YouYube, la sensazione è
quella di quando osservo la vetrina di un negozio di sigarette elettroniche.
Non fumo. Tutto qui. E per concludere il rimanente 50%, da cui fortuna vuole
che l'algoritmo Facebook mi tenga a debita distanza; quasi nulla so del loro
contributo al banchetto, come adornino le portate da riversare nella mangiatoia
comune. Ma nelle occasioni, non poi così infrequenti, in cui ne intercetto
qualche boccone, avverto una repulsione immediata, viscerale. Massì, diciamolo
pure: mi stanno sul cazzo.
E stiamo parlando di amici, ricordo, non di nemici, infedeli da passare a
fil di spada, una bella crociata per ricacciarli fuori dall'orizzonte ottico.
Penso allora a cosa succederebbe se mi stesse sul cazzo il 50% delle persone
che incontro per strada, oppure su una spiaggia affollata a luglio o ad
agosto...
Invece non è così. Nel secondo caso, come scriveva Antonio Delfini, vederli
uscire dall'acqua gracilini, un pallore da crema solare 100, oppure abbronzati
e muscolosi, pieni di tatuaggi o, ancora, con floride tette al vento, mi
procura un moto istintivo di simpatia, che lo stesso Delfini attribuiva alla
percezione fraterna di una vulnerabilità, a fare da specchio a un medesimo
destino: la loro, la mia, qualsiasi vita proviene e infine si spegne in quel
mare. Ma aggiungerei anche – lo scrittore modenese lo taceva – l'assoluta e
reciproca ignoranza dell'interiorità, che solo possiamo immaginare sotto le
carni esposte.
Su Facebook siamo invece tutti immortali, le parole scritte ci
sopravvivranno, e l'interiorità viene estroflessa come un cucciolo di canguro
terminato lo svezzamento nel marsupio, subito saltellandoci incontro per
raccontarci come si stava là dentro. Sarà per questo che, una volta su due,
magari riguarda proprio te che in questo momento mi stai leggendo e avverti nei
miei confronti lo stesso bilioso sentimento, non ci sopportiamo, la conoscenza
disunisce invece di conciliare. Ci odiamo, addirittura!
Ma siamo talmente smaniosi di battere un colpo, ehilà, ci sono anch'io, da
preferire l'odio al pudore, un like a centinaia di taciti vaffanculo. E sì che
basterebbe un poco di astinenza, contare fino a dieci prima di condividere i
nostri pensieri e canguri; più canguri che pensieri in effetti, per parafrasare
il titolo di un bel libro di Aldo Busi. O forse è solo l'antica obliata virtù
di chiudere il becco.
Come ti accennavo su facebook.. un 'icona col vaffanculo sommergerebbe ogni altro genere comunicativo.. ;)
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