Prologo
Ho il timore di avere sviluppato la sindrome del
sopravvissuto a una dipendenza, che a suo modo è una nuova malattia: ex
fumatori, alcolisti, drogati, giocatori d'azzardo ecc. Tutta gente che,
rispetto alla propria precedente condizione, matura in seguito un sentimento di
astio, supponenza verso chi ancora ne è coinvolto. Per farla breve, diventano
odiosi.
Primo tempo
– Che cosa ci troverete... – disse un cuoco
rivolgendosi con la voce, ma non con lo sguardo e la postura del busto, a me e
a un amico, stavamo seduti accanto sugli sgabelli di fronte al bancone del Bar
Piero. – Mah, contenti voi.
Sulle prime non capimmo. Fu lui a indirizzare
l'interpretazione della frase sibillina, gettando un'occhiataccia di spregio ai
nostri calici vuoti. Il barista, che non si chiama Piero ma Mileo, stava
versandoci dell'ottimo Riesling delle valli renane. Quindi continuò rivolto al
nulla: – D'altronde anch'io un tempo... Che scemo che ero. Ma poi ho capito. E
ho smesso.
– Hai smesso di bere? – chiese il mio amico dopo
avere dato una lunga sorsata al suo Riesling. Fresco, fruttato, con un leggero
retrogusto minerale e di idrocarburi. Idrocarburi?! Così sta scritto, ma al Bar
Piero si guarda più che altro alla sostanza. Quella a cui subito venne il cuoco.
– Ebbene sì – rispose finalmente guardandoci in
faccia. – Ero arrivato anche a una bottiglia di vodka al giorno, più tutto il
resto. Ma ve ne accorgerete, ve ne accorgerete...
La frase sfumò in un minaccioso risolino, presto sostituito
dalla materializzazione del suono in posa silenziosa delle labbra. Un rictus di
serafica compostezza, Buddha in meditazione sotto l'albero della conoscenza, mummia
che dal regno di Anubi osserva chi trascina i pesanti blocchi con cui
costruirgli il giaciglio piramidale.
– E da quanto hai smesso? se posso permettermi –
intervenni io infrangendo la lunga pausa, il tono era quello di chi risponde
furtivamente al telefono in chiesa.
– Una settimana.
– Ma vaffanculo! – esclamammo in coro io, il mio
amico e pure Mileo, a cui un giorno devo ricordarmi di chiedere perché il bar
invece si chiama Piero.
Secondo tempo
Sappiate voi che state seguendo Sanremo e intanto
commentate, chiosate su Facebook, ci tenete a mantenermi aggiornato sulle
performance di Blanco e l'outfit della Ferragni, la sua letterina al sé bambina
boicottata (nell'attenzione maschile) dai capezzoli che fanno capolino sul trompe l'oeil dress di Dior color musino
di criceto, sappiate che io Sanremo l'ho sempre sorbito fino all'ultima goccia
di Dopofestival, perlomeno da quando avevo dieci anni in poi.
Mi sono pure incazzato quando Amedeo Minghi, con
quel capolavoro assoluto che è 1950,
non arrivò neppure in finale, venne eliminato come uno Scialpi qualunque. Era
la stessa edizione in cui Vita spericolata di Vasco Rossi si piazzò al penultimo posto davanti a Pupo con Cieli azzurri, mentre a vincere fu
Tiziana Rivale, Sarà quel che sarà la
canzone. Un titolo che le si ritorse contro in forma di profezia.
Ma a tutto c'è un limite! Quest'anno no, proprio
non ci riesco. Nemmeno a leggere i vostri commenti. Mi viene un misto di voglia
di pigiare col telecomando su Rai1 (nostalgia, nostalgia canaglia...) e
sensazione di essere sul punto di vomitare, menare pugni a casaccio ogni volta
che qualcuno nomina Sanremo. Cosa che sui social avviene, come minimo, in un
intervento su due, nemmeno gli amici su WhatsApp mi risparmiano.
Conclusione
Non chiedo dispense né pietà, beninteso. Come
recita la battuta di quel film: continuiamo
a farci del male... Ma in ogni storia o cucina si nasconde un cuoco che sta
cercando di smettere di bere – ah, per la cronaca: dopo una decina di giorni il nostro aveva già ripreso con la vodka. Io forse anche prima, con lo Zeitgeist
nazional-pop-terminale. Ma, per i prossimi quattro giorni, il ruolo di cuoco ex
alcolizzato spetta a me, e con Sanremo questa volta non mi tirate dentro. Deve pure esserci un plafond anche nella caduta degli gnostici, un amor proprio che arresta il piede a un passo dal burrone.
Ci risentiamo lunedì per commentare la foto di
qualche gattino tenerino, selfie ammiccante, copertina di libro o insulto
politico o personale. La normalità, insomma. Salute, prosit, cin cin.
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