sabato 29 giugno 2019

Sea Watch, una tragedia moderna. O quasi...


Lo dico subito quale premessa: io sto dalla parte della giovane capitana della Sea Watch, Carola Rackete.
A campionato concluso e in assenza di rilevanti competizioni sportive, pare che questa sia l'unica occasione per condiscendere la natura umana, che gode nel disporsi in opposte tifoserie. Eppure il mio sostegno non è calcistico, mi sta perfino un po' antipatica, tifo per lei come tifavo un tempo per l'Inter di Moratti, le cui frequenti apparizioni televisive mi facevano venir voglia di sventolare qualsiasi altra bandiera, fosse pure quella della SPAL.
Rackete, come Moratti, è infatti una figura pubblica monodimensionale, in un romanzo potrebbe tutt'al più ambire al ruolo di personaggio minore. E sì che la storia le ha addirittura offerto l'occasione di interpretare Antigone, ma gli manca la stoffa drammaturgica.
A differenza dell'eroina di Sofocle, alla comandante tedesca difetta il senso del tragico, e moderna tra i moderni si siede sempre dalla parte della ragione, considerando tutte le altre sedie quali domicilio del torto. La natura tragica  e la nostra epoca ne condivide le caratteristiche essenziali  si fonda invece sulla compresenza di istanze opposte ma ugualmente legittime, o se si preferisce e con maggior enfasi filosofica: un dover essere che si contrappone a un non poter essere, andando a costituire una sorta di inestricabile nodo. Sì, proprio come quello di Gordio, che solo Aleasandro riesce sciogliere con la spada. Ma quando si sguainano le armi, qualcuno poi si fa male... 
Nel nostro caso, come nell'omonima tragedia, il contrasto irrisolvibile è tra due diversi decreti, dove la scelta è necessaria non meno che drammatica. Se dunque Antigone, offrendo sepoltura al fratello morto in battaglia e però così trasgredendo un divieto cittadino, si pone volontariamente fuori dalla legalità civile, è perché avverte dentro di sé una legge (non scritta) a cui assegna un grado maggiore di urgenza. La legge del cuore. Ma questa non smentisce, come non prova a fare neppure Socrate, le leggi imperfette degli uomini, e come quest'ultimo si dispone al giudizio di Creonte senza sollevare obiezioni.
La sua verità sta infatti a un livello diverso, è asimmetrica, tanto che è proprio nello scarto prospettico il manifestarsi della natura emblematica di Antigone, a fare da specchio a un'umanità che può finalmente riflettersi, non redimersi. Ma ormai lo spettatore dovrebbe avere compreso che è la vita, non la tragedia, a essere paradossale. 
Al contrario, sembra  che Carola Rackete contempli una sola verità: la sua. Una verità di segno certamente più alto – cercare di aiutare persone in pericolo, qualunque ragione o torto le abbia condotte a quello stato –, pur senza escludere l'insieme di norme e lealtà sociali e simboli in cui la vita associata si avviluppa, come il gomitolo di lana che solo il gattino accetta per quel che è: un buffo oggetto di cui non chiedersi la ragione, ma solo far danzare con le proprie zampette dispettose.
Le sarebbe dunque bastato un minimo di umiltà per fare di lei un'eroina tragica, ad esempio dicendo: lo so, sto violando i confini di una nazione sovrana e chiedo scusa al popolo italiano e alle sue leggi. Ma questo sbaglio è necessario, sta prima della legge e la completa. Così, invece, ha fatto la cosa giusta, the right thing. Ma con un atteggiamento sbagliato.

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