Una cosa che ho capito: per ottenere un’attenzione diffusa, specie su Facebook e i social media in generale, si deve parlare di spiritualità. Un’altra cosa che ho capito: la spiritualità, così come esibita negli stessi social media che decretano l’affermazione pubblica e dunque il distillato culturale di questo tempo, è una specie di omogeneizzato filosofico (capire chi siamo, da dove veniamo e dove vogliamo andare, il tutto però già masticato e digerito e anche cacato). In altre parole la spiritualità è filosofia al netto del suo linguaggio tecnico, che tendendo all’esattezza espressiva pare allontanarsi, almeno per chi ha maggiore consuetudine con la Gazzetta dello Sport, dall’esperienza viva e palpitante delle cose, dalla relazione incerta e aperta con le persone. Potremmo sintetizzarlo così: la spiritualità contemporanea è filosofia con meno pensiero e più emozione.
Diversamente, le religioni tradizionali attraversano il pensiero e l'emozione ma solo per giungere a una sorta di legalità simbolica, affidando alla comunità o, meglio ancora, alla sua ristretta casta sacerdotale, la definizione delle rotte soggettive dentro al mare agitato delle pratiche sociali. Dio conosce insomma l'indirizzo, basta solo mettere il francobollo e imbucare.
Volendo rifuggire sia la scorciatoia spiritualista (“l’emozionismo”) sia la camicia di legno della religione (“l’eteronomismo”), ma anche il contegno della filosofia che ha nel suo strumento verbale il proprio limite conoscitivo, mi pare non rimanga che l’allegoria. L’allegoria è infatti una dimensione come esplosa del simbolo, che più che essere pensato ci pensa, più che emozionarci si emoziona, in un cortocircuito dove io e mondo e parola possiedono confini dilatati e creativi, nel senso che si vanno creando, non ci sono quale condizione di partenza. L'immaginazione, che è lo strumento proprio dell'allegoria, funziona dunque come i mattoncini Lego: possono diventare reggia o porcile, dipende solo da quanto saprai far danzare le mani ed estendere la tua visione…
L’esperienza allegorica a cui ci conduce l'immaginazione, e questa è l’ultima cosa che ho capito, è compresa e rilanciata da molti testi cosiddetti sacri (se non tutte, è presente in significative parti della Bibbia, dei Veda, perfino in alcune trattazioni magiche e alchemiche) come dalla grande letteratura – sì, Dante, ma anche Topolino e il Mago di Oz.
Ma più intereassante di questo discorsetto appena imbastito, è forse il suo corollario didascalico: se si vuole udienza pubblica e il red carpet della nostra epoca, non si deve essere immaginativi, allegorici, mirando alla grande letteratura. Ma rimestare nella piccola spiritualità.
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