lunedì 15 aprile 2013
H, o sui dilemmi della bellezza
A me capita spesso, non so a voi. Negli ultimi anni è una sensazione quasi quotidiana. Come quando stai con un gruppo di persone che indossano quelle scarpe, come si chiamano già quelle scarpe, con la suola sintetica alta e l’acca grande di Hotel...?
Le persone che indossano quelle scarpe lì, con la suola sintetica alta e l’acca grande di Hotel, di solito indossano anche dei pantaloni affusolati color pastello, ma più spesso aragosta, e polo inglesi su cui campeggia una piccola ghirlanda ricamata e bande ornamentali sul colletto, che loro tengono sollevato come il minimo séparé tra gli orinatoi degli Autogrill, per impedirti di sbirciare a lato e confrontare le dimensioni del tuo membro con quello del camionista slavo che se lo sta scrollando, dopo aver tiepidamente espulso quel che resta di tre Peroni gelate.
Vi torna, l’immagine?
A me capita spesso, dicevo, e ne vengo come schiacciato, non so ancora voi. Un'immagine o forse era un sogno, un incubo in cui io continuo a stare con queste persone modernamente abbigliate: loro parlano a voce alta in un perfetto italiano televisivo, io non riesco a dire niente, apro la bocca e le parole non escono; quindi si sporgono verso di me, sbracciano amichevoli e festosi, mi danno di gomito ridacchiando; però io sono come paralizzato, non riesco a muovermi, tantomeno a correre e a scappare.
Poi mi chiedo, ridestandomi all’improvviso: ma davvero la bellezza, da cui la moda prova a trarre maldestramente legittimità - e il nostro è un paese in cui da sempre ci si fa vanto di stare alla moda, se non di dettarla -, davvero quando diciamo la parola bello ci riferiamo alla media matematica delle tante sensazioni personali, che è poi il significato originale del termine estetica?
Ma forse, dietro all'estetica, si nasconde la lotta darwiniana per il successo della propria concezione del valore, che prima di risalire alla mente sta conficcata in gola, negli sguardi occasionali e obliqui; ma sacrosanto e libero è il gusto di chi si accosta alle cose del mondo, fino a che una visione non riesce ad acciuffare la corona e posarsela sulla testa, subordinando tutte le altre come un sovrano occhiuto, in attesa di essere avvelenato dall'amico più fedele e caro...
Perché se così fosse, dovremmo concludere che la corona della bellezza è ora monopolio di questa gente (i "barbari", li chiama Baricco in un fortunato saggio), che dopo aver sottratto le chiavi del tempio ai sacerdoti e agli scribi, stabilisce le nuove e diffuse liturgie del piacere e della forma. No, non c'è frode: l'egemonia di quel che ai miei occhi, certamente minoritari, si offre come il peggio, a ben vedere è il risvolto pubblico del nostro bene più prezioso, la democrazia.
"Vedo il meglio ma mi appiglio al peggio", scriveva Petrarca.
La democrazia estetica si configura dunque nel ribaltamento della sua intuizione: meglio e peggio si equivalgono, e ci appigliamo, un po' a casaccio, dove si appigliano gli altri. Uguale uguale a quanto accade su un tram.
Ma come la mettiamo allora con Raffaello, Michelangelo, Piero della Francesca, Giotto e Bernini?
Tempo scaduto, sono superati dall’incalzare di nuovi e più lucenti appigli, che come l'amo per la trota fanno leva sul palato. A meno che non si voglia pensare alla bellezza come a una costante algebrica: la puoi sporcare, la puoi parodiare con abiti variopinti da pagliaccio triste, ma rimane immune al baccano del presente, rifugiandosi nella proporzione aurea con cui venivano progettate le cattedrali gotiche.
Platone contro Nietzsche, per intendersi.
Con l'antica bellezza attica che si alza anche quella il bavero, la bellezza delle idee che se ne torna all'iperuranio da cui proviene, indifferente ai goffi tentativi di chi prova a farle il verso.
Ma prima di darmi una risposta, mi viene un dubbio ancora più insinuante...
E però, in fondo, penso, non sono poi tanto male a guardarle da vicino, quelle scarpe come si chiamano già quelle scarpe lì, con la suola sintetica alta e l’acca grande di Hotel…?
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con te mi concedo dei bei momenti di lettura. ciao, mg.
RispondiEliminaAnche io provo resto paralizzata da tanta massificazione da parte delle persone. Esse infatti devono sempre sentirsi parte di un "branco" in questo caso di un branco "elitario" visto che le scarpe di "hotel" come simpaticamente le definisci, costano tanto. La moda è molto variabile e detta regole, schemi, fa sentire protette le persone perché si riconoscono in uno schema, in un'appartenenza. Sinceramente oltre alle scarpe e all'italiano "forbito" e ai pantaloni color pastello...cosa resta ? Valentina
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