domenica 20 gennaio 2013

Uno su mille ce la fa, o sulla politica al tempo di Nicole Minetti





La politica. Secondo me non è vero che le cose si sono confuse e complicate. Il problema non sono i partiti, intanto. Non fatevi fregare dalla copertina lustra delle parole. Piuttosto è ciò che sta alle spalle, dietro le quinte vellutate, tra le coltri opache delle sillabe. Ossia nella terra umida del significare, che affonda le sue radici dentro la nozione di parte.

Fino a qualche decennio fa i partiti erano infatti l'espressione organizzata e attiva di una parte, che in forma delegata perseguiva degli interessi particolari. O ancora più precisamente: i propri interessi, il vantaggio se vuoi anche egoistico (meglio corporativo) di quella parte a cui partiti prestavano voce, e in cui il cittadino si riconosceva per analogia.

Poi è successo qualcosa, deve essere successo qualcosa - c'è chi dice che sia stato lo sviluppo della tecnica, che ha insinuato un elemento di artificio nei rapporti tra le persone. In conseguenza di questo evento sommerso, ma così palese e intrusivo negli effetti, in Occidente si è progressivamente smesso di accordare il consenso elettorale con il diapason di quei partiti (di quella parte) che davano struttura e pubblica manifestazione a interessi concreti e verificabili, iniziando a orientarsi a orecchio con l'astratto canto delle sirene, come avviene per i prodotti della pubblicità.

Pensiamo al caso emblematico di Forza Italia. Un multimilionario con numerosi problemi giudiziari decide di partecipare alla contesa politica nazionale, fondando un partito il cui obiettivo sia a proprio vantaggio e il cui stile comunicativo viene ricalcato dalla retorica televisiva, di cui si occupa. Detta in soldoni: Berlusconi ricerca - ma del tutto apertamente, per quanto velando i contenuti in una confezione seduttiva - gli interessi di una minoranza privilegiata e sazia, di cui egli stesso è l'emblema.

Bene, la storia ci mostra come quel partito viene votato in larga maggioranza da persone che appartengono a una parte differente, che avrebbe dunque interessi alternativi. E cioè dalla piccola e piccolissima borghesia, intercettando voti anche in quel che resta del proletariato. Insomma, dai poveri, perfino dagli indigenti, che anche senza più bandiera né canto esistono ancora, e in abbondanza. Hanno però smesso di riconoscersi nelle tradizionali rappresentanze di sinistra, al cui lugubre realismo, come Grimilde, viene sostituito uno specchio assai più compiacente.

E' a questo punto che voto e volto, fino a poco prima assonanti, cominciano a divaricare. Con l'espressione del consenso che non avviene più come conseguenza di un'orgogliosa identità nel particolare, o se si preferisce di un meditato interesse personale, di "classe", in cui il faccia a faccia politico si ricavava dal riconoscimento fisiognomico nei propri simili. Piuttosto ci si inizia ad affidare a forme di rappresentanza immaginali, filtrate dall'emotività e da identificazioni proiettive, direbbe uno psicanalista, per quanto non del tutto prive di una valutazione interessata, che si può iniziare a delineare con la metafora della lotteria.

Ma facciamo un balzo indietro, per capirci.    

Laconia, quinto secolo avanti Cristo. La regione, tra le più fertili del Peloponneso, è interamente assoggettata dalla città di Sparta. Con l'eccezione di una minoranza di cittadini liberi e dei perieci, agricoltori ugualmente liberi ma senza diritti politici, gli abitanti sono costituiti da iloti, una popolazione locale che si crede precedesse l'invasione dorica del decimo secolo, e ora mantenuta in totale schiavitù.

Gli spartiati erano famosi per le loro virtù marziali, anche se, in effetti, malvolentieri intraprendevano delle vere e proprie guerre. Gli storici spiegano questa riluttanza con il timore di insurrezioni da parte degli iloti, la cui probabilità - anche di successo - viene messa in relazione con l'assenza di buona parte dei cittadini attivi, quasi totalmente impegnati nelle varie campagne militari (ricordiamo che a Sparta la leva si prolungava fino ai sessant'anni...).

Nella Grecia classica si era insomma già consapevoli che la politica, e la guerra come sua estrema estensione, fossero attività che esprimono degli interessi particolari e circoscritti. Da cui si ricava come anche in quel tempo le persone cercassero di realizzare il proprio personale vantaggio. Il vantaggio degli iloti era quello di rendersi liberi, quello degli spartitati di continuare a essere serviti. Punto.

Bene, qual è dunque stata la vera novità politica della famosa "discesa in campo" di Berlusconi?

Beh, a me pare che si possa riassumere nell'idea, questa sì bizzarra per quelle antiche popolazioni rudi e battagliere, che gli iloti potessero trovare una qualche forma di "godimento" dalle angherie alle quali gli spartiati li sottoponevano. Tutto ciò possiede un nome moderno e vagamente insano: si chiama masochismo

Eppure, a ben guardare, si tratta di una lettura parziale e semplificata... Infatti a nessun ilota era concesso il privilegio, del sangue, di diventare cittadino di Sparta, mentre nella società tardo capitalista questa opportunità non è formalmente esclusa, e addirittura proclamata. Potremmo riassumere il concetto con la sigla di American dream, che possiede il suo equivalente nostrano nel testo di una vecchia canzone di Gianni Morandi, "Uno su mille". Ricordiamone un passaggio:

"Se sei a terra non strisciare mai
se ti diranno sei finito non ci credere
devi contare solo su di te

Uno su mille ce la fa
ma quanto è dura la salita
in gioco c'è la vita..."

Ecco, a partire dalla fine degli anni Ottanta le persone, e in specie quelle in condizione di maggior svantaggio economico e sociale, smettono di riconoscersi nel proprio verificabile status (essere a terra), preferendo una rappresentazione immaginaria di sé che li vede già al termine del percorso di riscatto, e però al netto dei sacrifici del percorso (ma quanto è dura la salita...). Dal reale, dal concreto (non ci credere, non ci credere!), la crocetta siglata sulla scheda elettorale vira insomma nei territori del possibile, aprendo una ferita cognitiva che non si è probabilmente più rimarginata.

Per questo, abbiamo parlato di lotteria. Per questo si parla di crisi dei partiti, o più in generale è in crisi la figura retorica della sineddoche: la parte per il tutto, la parte che mira a conquistare e dominare il tutto. Quando ora è il Tutto, disciolto in una nuvola azzurrina e rarefatta come quella che avvolge Campanellino, in Peter Pan, ad aver incorporato ogni singola porzione di realtà. E da lì sbocciano note fruttate, incantesimi e morbide vampe di calore.

Sembra di stare a quegli spettacoli di piazza in cui ti portavano da bambino, con un mago sbrindellato che invitava il papà sul palco, e dopo averlo guardato fisso negli occhi gli diceva, scandendo piano le parole: "Sei all'equatore, e-qua-to-re, senti il sole che brucia, il sudore che cola..." E lui comiciava a levarsi gli indumenti, mentre la mamma naufragava, in un avvampato silenzio, tra le onde fragorose delle risate del pubblico.

Non solo idealizzazione, dunque, ma de-realizzazione, rêverie, perdita definitiva di ogni confidenza con la propria vita. Che si fa più leggera di quell'olio di girasole con cui saltare a gambe unite la staccionata, il recinto che confinava la nostra parte, quando le maglie dei giocatori erano ancora distinte e il libretto rosso dei mecalmeccanici non contemplava il termine happy hour. Poi, è avvenuto il sortilegio collettivo.

Con Berlusconi, in Italia, o con Reagan e la Thatcher nel mondo anglosassone di riferimento, si inizia così a intendere la partecipazione politica non più sul modello dialettico dei contrari che si affrontano, prima di trascendersi in sintesi, o anche solo in ragionevole compromesso sindacale. No, tutto ciò - che poi sono migliaia di anni di storia, di conquiste sociali brusche o progressive - tutto ciò viene liquidato come "vecchio", lasciando il campo al modello magico-mistico della lotteria, che è l'abito più aggiornato delle antiche favole.  

La parte in cui moderni iloti si riconoscono non sarà allora più costituita dai novecentonovantanove schiavi che, unendo le forze, potrebbero liberarsi durante l'assenza degli spartiati. Piuttosto da quell'uno su mille che "ce la fa", che vince la lotteria con la benedizione della bacchetta magica di Campanellino (La legge di attrazione, qualche buontempone l'ha ribattezzata), divenendo egli stesso un cittadino onorario della moderna polis del privilegio, ma ottenuto con il consenso delle vittime.

E se anche non ce l'hai ancora fatta, se ti trovi a strisciare nel sottoscala dell'esistenza, ad annaspare nello strame della miseria e della discriminazione, poco male: a livello ipotetico quella possibilità rimane comunque integra, alimentando le stelle filanti che accarezzano i neuroni e velano lo sguardo. E' allora un problema, non nostro, ma dell'altalena che non ha ancora preso uno slancio sufficiente, o della zucca che tarda a farsi carrozza.

Senza nemmeno accorcerci siamo così rotolati dentro un'altra favola, che ci ricorda di quanto sia più agevole pensarsi come principessa che non come servetta. E anche quando il principe dovesse decidere di caricare sul cavallo bianco la tua sorellastra con il piedone, poco male, sarà certamente stato per un errore, uno sbaglio, una provvisoria cantonata del destino. E prima poi tornerà indietro per farti montare in groppa, e restituirti la scarpetta di cristallo.

Dunque molto meglio aspettarlo, il tuo Principe, molto meglio votarlo, che non fargli la guerra con mazze e forconi. Perché quell'uno su mille potresti essere tu, come una moderna Cenerentola assunta nel cielo dei vincenti. Sì, devi essere certamente tu!

1 commento:

  1. Una bellissima e azzeccatissima analisi: arguto come sempre. Ciao, mg

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