lunedì 21 maggio 2012

Speck, Bach, Brecht, un’agnizione prandiale



Mi sono accorto, a metà di un boccone fumante di lingua di vitello bollito con la salsina verde, che però non era un granché, almeno se paragonata a quella di Orestino, il carrello con le mostarde lentamente sospinto da un cameriere con i baffetti grigi, mi sono accorto che buona parte delle donne che io conosco e frequento non mangiano carne, molte neppure latticini, non mangiano questo o quello: e però conoscono alla perfezione i nomi e gli effetti dei fiori di Bach, che utilizzano con innegabile giovamento. Viceversa, quasi nessuna tra di esse ha confidenza con le opere di Brecht, un autore che considerano troppo razionale, e alle donne non piacciono le cose razionali, perché sei sempre così razionale?, non tenerti tutto dentro, devi imparare a esprimere le emozioni, la mente è la nostra zavorra, a me le donne dicono cose di questo genere, che magari c’hanno pure ragione, non voglio dire. In ogni caso, se escono da una libreria – le donne frequentano di preferenza le librerie Feltrinelli, e anche questo non l’ho mai capito… – stai sicuro che nella borsa non ci trovi La vita di Galileo, per dirne una. E dunque, semplificando, nel mio giro di conoscenze Bach – da non confondere con il compositore e nemmeno con la moglie di Ringo Star, il batterista più sopravvalutato del mondo – Bach vince ai punti su Brecht e fa cappotto con Speck, il prosciutto affumicato dell’Alto Adige. Detto ciò, non ho la minima idea di cosa questo possa significare, né dove venga parcheggiato la notte il carrello grondante mostarde di Orestino. E così questa immagine vagamente astigmatica – la silouette rarefatta e virtuosa delle mie amiche e il carrello unto di Orestino, dove Bach, Brecht e Speck si rivoltano nella stesso glucosio senapato – ha continuato a oscillare dentro la mia testa, come un trapezista insonne tra i due pali portanti di un grande circo.

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