lunedì 17 novembre 2025

Ben (mi ricordo 66)

 

Mi ricordo che quando entrava dalla porta già spalancata del bar del campeggio si diffondeva un inconfondibile odore di pesce, andandosi a mescolare a quello delle creme solari ad alto filtraggio – talune avevano sentore di noce di cocco – ampiamente spalmate dai tedeschi in vacanza sul lago di Como, mentre la pallina da ping pong rimbalzava sul tavolo di truciolato e dal juke-box, a turno, provenivano le note di Ancora tu di Lucio Battisti, Margherita di Riccardo Cocciante e Ramaya di Afric Simone, che si disputavano il vertice dell'hit parade nell'estate del 1976. Dopo avere mostrato il contenuto del paniere, Ben tornava alla sua roulotte a riporre la canna e pulire barbi, carpe, triotti, cavedani, agoni, alborelle e persici reali. Non tutti pescati in una sola volta, come le canzoni del juke-box. Ma era comunque un pescatore esperto.

A me pescare non è mai piaciuto e ci siamo sempre e solo sfiorati, non posso dire che fossimo davvero amici; eppure avverto una familiarità affettuosa nei suoi confronti. Per qualche misteriosa ragione Ben riusciva a perforare gli invisibili recinti sociali, univa persone che non avrebbero potuto essere più diverse, in una piccola città come Sondrio lo conoscevano tutti, e tutti provavano simpatia per lui. In insiemistica l’avremmo detto un insieme intersecante, dove alla minima porzione sovrapposta ai sottoinsiemi si aggiungono spazi vuoti e intangibili, colmati dalla fantasia.

Nel suo caso si trattava di una narrazione diffusa, possedeva tratti quasi leggendari, di certo eccessivi. Pochi anni dopo, ad esempio, si sparse la voce che Ben era andato al cinema teatro Pedretti, i pop corn non si usavano ancora altrimenti ne avrebbe preso un contenitore bello pieno, per accompagnare la visione dei Guerrieri della notte. E fin qui non ci sarebbe nulla di strano, se non ci fosse tornato anche il giorno successivo e il giorno dopo ancora, sempre pagando regolare biglietto, per cinque volte consecutive. Secondo altri le volte furono otto e, per altri ancora, addirittura dodici – in pratica tutte le due settimane di programmazione, con esclusione del lunedì di chiusura – più una tredicesima a Lecco, dove il film era ancora in cartellone.

Era lo stesso Ben ad alimentare il gusto per la sciarada e l'iperbole discorsiva, c’era un tratto debordante a partire dalla sua fisicità, il sorriso degli entusiasti perennemente stampato sulle labbra – bastava davvero un pescetto appeso all’amo per farlo contento –, e le labbra ad allargarsi sul faccione tondo.

Lo intuì un dj di nome Norberto, che lo volle accanto in una trasmissione musicale su Tele Sondrio. Norberto parlava parlava non smetteva mai, se non gli veniva una parola utilizzava l’espressione a ogni buon conto, e poi ripartiva. Pare che i disc jockey debbano saturare ogni spazio sonoro con la malta di una loquela decerebrata, attività che a Norberto non poteva venire meglio. Ben gli sedeva accanto in abiti tirolesi, muto come uno di quei pesci che era tanto abile a pescare: era sufficiente il sorriso rivolto in camera, forse avevano pensato al precedente di Andy Luotto in L'altra domenica. Uno alto, snello, capellone e ciarliero; l’altro silenzioso, buffamente rivestito e sovrappeso. Un gioco delle parti che avrebbe voluto essere divertente, ma a me metteva solamente tristezza.

Un po’ era lo stesso Ben a cercarsi questo ruolo, va detto. Nelle pellicole cinematografiche personaggi come lui hanno funzione di contorno, servono a stemperare la tensione, creare siparietti comici; poi l'eroe rientra in scena. Ma a volte sono proprio i personaggi secondari a prendere la parola e raccontare una storia, serve a illuminare la vicenda principale di una luce diversa, spesso ambigua – cosa ci avrà voluto comunicare il regista?

Nel mio caso è avvenuto una decina di anni fa, insieme ad Alberto e al mio cane Peppa ero andato a pranzo in una trattoria a Ligari, una minuscola frazione di Sondrio sul versante retico, a mezza costa. Lì troviamo Ben. È da solo. Da lontano non l'avevamo riconosciuto, neppure sorride come suo solito se non al momento in cui ci vede e saluta, e così lo invitiamo a unirsi a noi per il pranzo. Dopo i soliti convenevoli ci racconta che è in partenza per il Brasile. Nei mesi precedenti aveva conosciuto una donna brasiliana, era arrivata in Italia con l'intento di fare chiarezza sulle sue radici. Dell'incerta origine italiana conosceva solo il fatto che gli antenati provenivano dall'Italia settentrionale, quasi al confine con la Svizzera, e il cognome della linea paterna, ovvero il proprio, era Benini. Ma anche Ben si chiama Benini e vive a mezz’ora dalla dogana di Campocologno, la faccenda comincia a farsi interessante…

La donna aveva preso una guida del telefono e si era messa a telefonare a tutti i Benini a nord di Milano, e quando aveva contattato Ben si erano parlati, poi incontrati per abbozzare un albero genealogico, quindi innamorati. Benini ama Benini, sarebbe bello da scrivere con una bomboletta spray sopra a un cavalcavia. Altro che I guerrieri della notte, qui siamo in un film di Frank Capra. Ma, dopo un fremito da spettatori appagati dalle sequenze iniziali, Alberto si fa serio, e gli chiede a bruciapelo:

– Ben, cosa vai a fare in Brasile? Come campi, intendo. Sei sicuro?

– Ho più di cinquant’anni – risponde Ben con altrettanta serietà. – È la donna che avrei voluto da sempre, ho finalmente trovato la mia donna. Qualcosa farò…

Da quel giorno non ho più avuto sue notizie, cosa in fondo normale. Ieri mi è però arrivato un messaggio WhatsApp, in cui un amico mi comunica che Ben è morto, all'improvviso, in Brasile. È in quel momento che ho realizzato che non esistono personaggi minori: anche se in abiti tirolesi e privati della parola, anche se l'odore di pesce si diffonde quando entri dalla porta, anche se seduti su una poltroncina di velluto a guardare e riguardare la vita degli altri sullo schermo. Dietro c'è sempre una storia. E le storie sono storie d'amore o di morte o di ricerca o di un doppio. Ben, non se ne è fatta mancare nessuna.

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