Mi ricordo che quando entrava dalla porta già
spalancata del bar del campeggio si diffondeva un inconfondibile odore di
pesce, andandosi a mescolare a quello delle creme solari ad alto filtraggio –
talune avevano sentore di noce di cocco – ampiamente spalmate dai tedeschi in vacanza sul lago di Como, mentre la pallina da ping pong
rimbalzava sul tavolo di truciolato e dal juke-box, a turno, provenivano le
note di Ancora tu di Lucio Battisti, Margherita di Riccardo Cocciante e Ramaya di Afric Simone, che si disputavano il vertice dell'hit parade nell'estate del
1976. Dopo avere mostrato il contenuto del paniere, Ben tornava alla sua
roulotte a riporre la canna e pulire barbi, carpe, triotti, cavedani, agoni,
alborelle e persici reali. Non tutti pescati in una sola volta, come le canzoni
del juke-box. Ma era comunque un pescatore esperto.
A me pescare non è mai piaciuto e ci siamo sempre e
solo sfiorati, non posso dire che fossimo davvero amici; eppure avverto una familiarità affettuosa nei suoi confronti. Per qualche
misteriosa ragione Ben riusciva a perforare gli invisibili recinti
sociali, univa persone che non avrebbero potuto essere più diverse, in una
piccola città come Sondrio lo conoscevano tutti, e tutti provavano simpatia per
lui. In insiemistica l’avremmo detto un insieme intersecante, dove alla minima porzione sovrapposta ai sottoinsiemi si aggiungono spazi vuoti e intangibili, colmati dalla fantasia.
Nel suo caso si trattava di una narrazione diffusa,
possedeva tratti quasi leggendari, di certo eccessivi. Pochi anni dopo, ad
esempio, si sparse la voce che Ben era andato al cinema teatro Pedretti, i pop
corn non si usavano ancora altrimenti ne avrebbe preso un contenitore bello
pieno, per accompagnare la visione dei Guerrieri della notte. E fin qui
non ci sarebbe nulla di strano, se non ci fosse tornato anche il giorno
successivo e il giorno dopo ancora, sempre pagando regolare biglietto, per
cinque volte consecutive. Secondo altri le volte furono otto e, per altri
ancora, addirittura dodici – in pratica tutte le due settimane di
programmazione, con esclusione del lunedì di chiusura – più una tredicesima a
Lecco, dove il film era ancora in cartellone.
Era lo stesso Ben ad alimentare il gusto per la
sciarada e l'iperbole discorsiva, c’era un tratto debordante a partire dalla sua
fisicità, il sorriso degli entusiasti perennemente stampato sulle labbra –
bastava davvero un pescetto appeso all’amo per farlo contento –, e le labbra ad
allargarsi sul faccione tondo.
Lo intuì un dj di nome Norberto, che lo volle accanto
in una trasmissione musicale su Tele Sondrio. Norberto parlava parlava non
smetteva mai, se non gli veniva una parola utilizzava l’espressione a ogni
buon conto, e poi ripartiva. Pare che i disc jockey debbano saturare ogni
spazio sonoro con la malta di una loquela decerebrata, attività che a Norberto
non poteva venire meglio. Ben gli sedeva accanto in abiti tirolesi, muto come
uno di quei pesci che era tanto abile a pescare: era sufficiente il sorriso rivolto in camera, forse avevano pensato al precedente di Andy Luotto
in L'altra domenica. Uno alto, snello, capellone e ciarliero; l’altro
silenzioso, buffamente rivestito e sovrappeso. Un gioco delle parti che avrebbe
voluto essere divertente, ma a me metteva solamente tristezza.
Un po’ era lo stesso Ben a cercarsi questo ruolo, va
detto. Nelle pellicole cinematografiche personaggi come lui hanno funzione di
contorno, servono a stemperare la tensione, creare siparietti comici; poi
l'eroe rientra in scena. Ma a volte sono proprio i personaggi secondari a
prendere la parola e raccontare una storia, serve a illuminare la vicenda
principale di una luce diversa, spesso ambigua – cosa ci avrà voluto comunicare
il regista?
Nel mio caso è avvenuto una decina di anni fa, insieme ad Alberto e al mio cane Peppa ero andato a pranzo in una trattoria a Ligari, una minuscola frazione di Sondrio sul versante retico, a mezza costa. Lì troviamo Ben. È da solo. Da lontano non l'avevamo riconosciuto, neppure sorride come suo solito se non al momento in cui ci vede e saluta, e così lo invitiamo a unirsi a noi per il pranzo. Dopo i soliti convenevoli ci racconta che è in partenza per il Brasile. Nei mesi precedenti aveva conosciuto una donna brasiliana, era arrivata in Italia con l'intento di fare chiarezza sulle sue radici. Dell'incerta origine italiana conosceva solo il fatto che gli antenati provenivano dall'Italia settentrionale, quasi al confine con la Svizzera, e il cognome della linea paterna, ovvero il proprio, era Benini. Ma anche Ben si chiama Benini e vive a mezz’ora dalla dogana di Campocologno, la faccenda comincia a farsi interessante…
La donna aveva preso una guida del telefono e si era
messa a telefonare a tutti i Benini a nord di Milano, e quando aveva contattato
Ben si erano parlati, poi incontrati per abbozzare un albero genealogico,
quindi innamorati. Benini ama Benini, sarebbe bello da scrivere con una
bomboletta spray sopra a un cavalcavia. Altro che I guerrieri della notte,
qui siamo in un film di Frank Capra. Ma, dopo un fremito da
spettatori appagati dalle sequenze iniziali, Alberto si fa serio, e gli chiede a
bruciapelo:
– Ben, cosa vai a fare in Brasile? Come campi,
intendo. Sei sicuro?
– Ho più di cinquant’anni – risponde Ben con
altrettanta serietà. – È la donna che avrei voluto da sempre, ho finalmente trovato la mia donna.
Qualcosa farò…
Da quel giorno non ho più avuto sue notizie, cosa in
fondo normale. Ieri mi è però arrivato un messaggio WhatsApp, in cui un amico
mi comunica che Ben è morto, all'improvviso, in Brasile. È in quel momento che
ho realizzato che non esistono personaggi minori: anche se in abiti tirolesi
e privati della parola, anche se l'odore di pesce si diffonde quando entri
dalla porta, anche se seduti su una poltroncina di velluto a guardare e riguardare la vita
degli altri sullo schermo. Dietro c'è sempre una storia. E le storie sono
storie d'amore o di morte o di ricerca o di un doppio. Ben, non se ne è fatta
mancare nessuna.

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