Per minacciare uno
schiaffo, un tempo, con intenzione scherzosa, si usava dire ti cresimo, che è
quanto fa in effetti il prete durante il sacramento, rilasciando sulle
guance del cresimato quella che (per intensità) si rivelerà poco più di una
carezza.
Chissà se esiste un
cimitero per le espressioni obsolete… Nel caso, deve essere seppellito lì anche
l'imperativo con cui si rivolgeva a noi la suora a dottrina, ci andavamo in
preparazione a quello schiaffetto esangue della cresima, giovani atleti di
un'arte marziale esotica e misteriosa. Era il 1978, di questo e poco altro sono
certo, e io frequentavo l'oratorio dell'Angelo custode, situato nella zona
storica di Sondrio. Non ricordo neppure il nome della religiosa ma solo la
buffe espressioni che ripeteva di continuo, tra cui la più frequente era gira
l'Olanda.
Ti scappavano di tasca
le chiavi della bicicletta? Gira l'Olanda! Venivi scoperto a bisbigliare in
chiesa con un amico? Gira l'Olanda! Arrivavi in ritardo, quando gli altri
stavano già intonando il Padre nostro? Gira l'Olanda! Ogni occasione, le più
varie e anche incongrue alla frase, erano buone per scoccare il suo gira
l'Olanda.
Al termine delle
lezioni potevi acquistare i Chupa Chups che rigirava in bocca il tenente Kojak
quando non riusciva a trovare il bandolo della matassa, oppure spumoni bianchi
e rosa, lunghe spirali di liquirizia, era sempre la suora a venderli, ma
quest'ultimi ci sembravano un po' una cosa da bambini, perciò li lasciavamo ai
catechisti che si preparavano alla prima comunione. La taglia dei banchi era a
loro misura, e a me e Redaelli, un ragazzone che a dodici anni aveva già il 44
di piede, premevano le ginocchia da sotto, eravamo compagni anche a mini
basket. Per questo venivamo a dottrina già con la borsa della Sondrio Sportiva,
gli allenamenti iniziavano subito dopo e il librone con impresso il volto
pacioso di San Rocco si mescolava con le All Star e le braghette corte di raso.
Fu in quel limbo tra
l'altare e la palestra – l'architettura barocca e logora a cornice del minimo
chiostro dell'Angelo custode – che venni a saperlo, era un tiepido pomeriggio
di fine maggio e a dircelo fu la stessa suora, l'espressione accigliata e
grave: "Aldo Moro è morto." Non disse altro. Aldo Moro è morto.
Lo statista
democristiano era appena stato ritrovato nel baule di un' R4 rossa parcheggiata
in via Caetani. Il suo corpo, supino e ripiegato come l'abbiamo visto centinaia
di volte in seguito, colpito da undici colpi sparati da una pistola
mitragliatrice a breve distanza. Nessun organo vitale era però stato centrato e
si era così spento lentamente, come una candela sotto l'altare degli ex voto.
Quattro anni prima, in
trasferta nella Capitale per accompagnare un gruppo di atleti valtellinesi ai
Giochi della gioventù, mio padre si era fatto fotografare assieme a lui tra le
statue del Foro italico, la luce radente della sera e il sorriso enigmatico e
lontano. A sinistra nell'immagine, mio padre indossa una tuta azzurra a bande
bianche, ha gli occhi di un raccattapalle a cui il bomber ha appena firmato il pallone.
Era solo orgoglio per esposizione riflessa alla fama e il successo non propri, o in quello sguardo si celava il principio misterioso
di una qualche forma di felicità? Ma in fondo si gioisce sempre per
qualcos'altro… Accanto Aldo Moro sigillato in un completo grigio, troppo
stretto perfino per la moda di adesso.
Ancora non sappiamo se
a premere il grilletto fu il capo della cellula brigatista romana Mario
Moretti, oppure, altri affermano, il criminale comune Giustino de Vuono. A
maggior ragione non sapevamo nulla allora, distratti, tra l'incalzare delle
notizie dei telegiornali e l'oasi quieta di Happy Days, dai primi skateboard, gli omini oscillanti del Subbuteo, Tony Manero che balla finalmente libero
sulla pista illuminata della discoteca, ignaro di aver contratto il virus del
sabato sera. Le parole della suora aprivano dunque una breccia, si insinuavano
nella carne viva, o forse la richiudevano, suturando e dando forma alla ferita.
Eppure
nessuno di noi si mosse o chiese chiarimenti. Probabilmente ci aspettavamo che
dicesse ancora qualcosa, accompagnando la dichiarazione con una delle sue
espressioni buffe, che però non arrivò mai. È come quando stai ascoltando una
canzone alla radio, ma va via all'improvviso la corrente del palazzo. E così,
da quel giorno, ho l'impressione che la mia canzone sia stata ingiustamente
tagliata, e attendo vanamente qualcuno che mi sussurri un ultimo gira l'Olanda.