venerdì 7 marzo 2025

Mi ricordo 32

Mi ricordo di una festa pomeridiana nella taverna dei fratelli Mazzera. La villetta stava a pochi chilometri da Sondrio, la raggiunsi in College, un motorino in voga nei primi anni Ottanta. L’avevo acquistato di seconda mano dal figlio di un vetraio, che gli aveva fatto sostituire marmitta e carburatore per rendere più gagliarde le prestazioni.

Di loro avevo sentito molto parlare, venivano nominati sempre assieme, i Mazzera, come un duo comico o una famiglia circense. Io non li conoscevo personalmente ma erano in classe con un mio amico, il quale aveva esteso l'invito alla festa. Il maschio, più vecchio di un paio d’anni, era stato bocciato un paio di volte, così da ricongiungersi con la sorella. Erano arrivati da pochi mesi, prima stavano a Roma dove il padre era dirigente di qualche ente pubblico; delle ombre sulla sua gestione dovevano però aver portato al trasferimento in provincia. Qui non mancava di rimarcare uno status superiore, condiviso dai figli.

Lei bionda, tonica, scattante, molto brava nel gioco della pallamano; lui indossava con ogni clima un giubbetto di renna e degli occhiali Ray-Ban a goccia, l'abbigliamento dei fascisti, ma non sono certo che valesse nella circostanza. Più che alla politica sembrava interessato alla sua Zundapp 125, a cui si dedicava con materna sollecitudine.

Entrambi erano desiderabili e desiderati per unanime consenso, come tutte le cose che rinunciano alla complessità, riflettendo l'ambiente che ne ospita le forme tendenti a un piacevole anonimato. Non era difficile farsi delle fantasie sessuali, specie se si immaginava l'uno a cavalcioni della Zundapp (il mio College truccato dal figlio del vetraio, al confronto, era un triciclo) e l'altra con le braghette attillate da pallamano.

Arrivai alla festa intorno alle 15, scoprendo di essermi sbagliato: iniziava un’ora dopo. “Entra, entra pure” mi disse cordiale la variante maschile dei Mazzera; non si era levato i Ray-Ban nemmeno nella semioscurità della taverna, solcata dai lampi delle luci stroboscopiche. Poi si diresse nel garage accanto, dove immaginavo fiammeggiare la sua amata creatura, e mi lasciò con la sorella che stava al centro del locale. Dalle massicce casse dello stereo fuoriuscivano le note sornione con cui inizia Bette Davis Eyes.

Lei non disse nulla, nemmeno un cenno del capo. Quando al sintetizzatore si unisce la grancassa e poi il basso elettrico, cominciò a muovere i fianchi, quindi ad accompagnare il ritmo della canzone con minimi scatti del corpo; più che una danza, ricordavano le finte a pallamano. Solo al refrain si avvicinò e, ricalcando con accento romano la voce roca di Kim Carnes, mi strillò in faccia: “And she'll tease you, she'll unease you, all the better just to please you…” E dopo avere lascito il suo alito di Big Babol sulla mia pelle, si girò per continuare la solitaria partita di pallamano.

Probabilmente, nel tempo che seguì, arrivarono gli ospiti, si stapparono le Ceres, iniziò la festa. Probabilmente. Ma tutto ciò è scivolato nello scolo dell'oblio, è rimasta solamente l’immagine guizzante della Mazzera: una divinità pagana che gioca a pallamano con gli effetti di ciò che proietta (la sfera tiepida che sentivo sgorgare dal mio petto non doveva esserle nuova, poteva farci quel che voleva e ne era consapevole), mentre il fratello carezza il sedile morbido della Zundapp.

Forse il ripresentarsi di questa memoria – tra il sonno e la veglia è il momento in cui si manifesta con maggior frequenza – sta a significare qualcosa, è una metafora, una metonimia inconscia, chissà… O forse è la vita a essere così: una rapida serie di finte per spiazzare la difesa, prima che le palpebre calino sugli enormi occhi azzurri di Bette Davies.

domenica 5 gennaio 2025

Voglio solo amore. Mi compri la borsa Chanel?

Nelle intercettazioni sull’inchiesta che riguarda il generale Buscemi e la presunta circonvenzione, da parte di otto spogliarelliste, dell’anziano militare ora defunto, si leggono le trascrizioni di alcuni messaggi a lui inviati. Non è l’oggetto che colpisce – il tentativo di spillargli denaro, appunto – ma la forma, che possiamo iscrivere nel registro letterario del grottesco. Aldo Nove o Paolo Villaggio, per intenderci.

Ma quale letteratura può ancora scaturire, mi chiedo, da una realtà che già si presenta in forma di oltranza comica, l’esagerazione tipica del genere è già compiuta in un quotidiano che non potrebbe essere più assurdo?

Ciò che risulta buffo alla lettura proviene infatti dal superamento di un limite (il famigerato patto di sospensione dell'incredulità con il lettore), che dunque deve essere presente, un incredibile ordinariamente creduto non è più sfondabile dal grottesco, e si affloscia nei goffi tentativi di comici maldestri. Gli scrittori dovrebbero fare causa alla realtà, gli sta sottraendo lavoro, come i figli di Buscemi stanno facendo causa alle spogliarelliste.

Le quali hanno però un formidabile argomento a loro difesa: noi stavamo lavorando al nuovo canone letterario, per fare comprendere anche al più zuccone tra di voi in quale mondo stiamo vivendo. E in effetti, leggendo le seguenti parole, agli atti della Procura di Roma, toccherebbe dargli ragione. E assolverle per aver compiuto il fatto:

1) “Voglio solo amore. Mi compri la borsa Chanel?”

2) “Voglio essere la tua donna, ma credi di potermi dare per oggi 110 euro?”

3) “Amore oggi facciamo solo una bottiglia. Però domani mi paghi il parrucchiere.”

4) “Voglio essere la donna che ti ha catturato il cuore. Voglio solo amore da te. Generale, sei il mio eroe! Mi dai 2.000 euro?”

sabato 4 gennaio 2025

La guerra è bella anche se fa male


Un filmato sta facendo il giro del web. È stato girato l’anno scorso con la camera nascosta nell’attrezzatura di un soldato ucraino, ma diffuso solamente ora. Si intravede la lotta corpo a corpo che ingaggia con un militare russo, è di etnia probabilmente yakut, dunque con fattezze asiatiche. Le immagini sono confuse, almeno prima di raggiungere una specie di stallo, come quando nelle zuffe infantili qualcuno gridava arimo, versione condensata di arimortis, e ci si fermava per ripigliare fiato. Poi si ricominciava a darsela di santa ragione o, con maggior frequenza, si andava a sciacquarsi a una fontanella, valutando i danni agli indumenti più che alla faccia. Non era raro che si concludesse il tutto con un Cornetto Algida da leccare assieme.

Qui però nessun gelato è previsto, se non nelle temperature esterne durante gli scontri. Il russo è riuscito a sferrare una pugnalata che risulterà all’altro fatale, entrambi lo intuiscono. Il primo a parlare è l’ucraino, di cui non vediamo mai il volto: “Aspetta, lasciami morire in pace. Mi hai completamente squarciato.” E dopo una pausa affannata: “Lasciami respirare. Fa molto male.”

Il siberiano ha un orecchio tagliato, il sangue cola sul suo volto, l'intero ovale ne è ormai ricoperto. Replica con voce non meno ansimante: “Hai combattuto bene.”

Insiste l’ucraino: “Lasciami andare via in pace. Non toccarmi, sono finito. Lasciami morire”. Quindi si accorge di un nuovo movimento della lama: “Uomo, non ci provare! Lasciami morire... Vai via. Lasciami morire da solo, voglio andarmene da solo."

Il russo riesce a liberarsi dalla mano con cui, contraddicendo le parole appena pronunciate, l’altro rimaneva avvinghiato al suo giubbotto antiproiettile. Indietreggia. L’ucraino lo ringrazia: “Grazie. Sei il miglior guerriero del mondo”. Poi prende fiato e ripete: “Sei stato il migliore. Addio”.

“Addio” risponde il russo. Si allontana per afferrare il fucile, ma poi ritorna e domanda per l’ultima volta: “Come stai?”

“Bene. Addio.”

Il dialogo finisce qui, presentandosi già composto in forma di letteratura; anche perché ho accompagnato la visione delle immagini solamente nella prima metà, poi non ce l’ho più fatta e ho distolto lo sguardo; le frasi che riporto le ho lette in un commento giornalistico. Ed è la prima volta (e sospetto anche l’ultima) che scorrendo il giornale diretto da Mario Orfeo mi sembrava di udire la voce di Omero, oppure di essere catapultato tra le pagine di Junger. L’emozione ha generato una sorta di cambio di stato, da orrore, sgomento, è diventata bellezza. Quando Francesco De Gregori canta che “la guerra è bella anche se fa male” probabilmente si riferisce a una simile esperienza.

Nelle guerre antiche ce n’erano a migliaia di momenti così, rappresentavano un’iniziazione pratica a valori – pienamente umani – come onore, rispetto, coraggio, lealtà, abnegazione di sé verso un’ideale astratto di virtù, ad esempio la Patria. Detto per inciso, Patria, con la maiuscola, è un concetto che ora ci fa sorridere, ma non il sentire a esso implicito, per il quale il perimetro angusto dell’io non rappresenterebbe il culmine dell’evoluzione. C’è qualcosa di più grande a cui offrire (se proprio richiesto…) anche la vita, qualcosa che ci dischiude a identificazioni allargate.

Un io più esteso ma non inclusivo, ecco. Lasciamo provvisoriamente perdere le questioni di genere o le minoranze da tutelare. Possiamo chiamarlo noi, possiamo chiamarlo altro o ancora meglio non chiamarlo affatto, solo percepirlo. La bellezza della guerra sta in fondo tutta qui: è un’iniziazione percettiva, introduce alla vastità psichica innominata e priva di confini geografici, che la psicologia moderna cerca ingenuamente di marcare. Eppure Eraclito ci aveva avvertito: "per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell'anima: così profondo è il suo logos." 

Ma non è l’unica iniziazione possibile, penso. A maggior ragione non lo sono le guerre moderne, di cui l’episodio riportato rappresenta in fondo un anacronismo, sostituito da missili, droni, gas e altre vigliacche mediazioni tecniche, utili non a risparmiare vite umane ma a distogliere da tale percezione: che oltre l’umano consueto (quello che alle 17.30 in punto stacca il suo turno in ufficio) ci sia lo spazio per uno sfondamento. No, non è l’unica iniziazione, ne sono sempre più convinto. La guerra non è l’unico modo per squarciare l’illusione che coniuga in prima persona singolare.

Ed è allora alle nostre vite senza trauma, o trapuntate da micro traumi sprovvisti della funzione iniziatica, che il filmato dei due combattenti consegna il compito di andare oltre: oltre Caino che si scaglia contro Abele, oltre l’oltre raggiunto nel rito sacrificale, oltre la guerra insomma, scrigno di una bellezza difficilmente reperibile altrove. La loro indicazione è di non replicarli, cercando un’estensione psichica altrettanto capiente ma che non faccia male. Vivere in pace senza un’esperienza iniziatica di natura espansiva – la sola razionalità non ci è mai arrivata –, ora più che mai si dimostra sterile utopia. Le numerose guerre riaccese nel mondo ci ricordano che, per evitarle, si deve prima evitare di sostare troppo davanti allo specchio. Ogni specchio è una menzogna da infrangere, e porta sfiga non farlo.