martedì 20 ottobre 2009

La dolce Itaca, o sulle torsioni dell'anima e del collo


Il tempo, il desiderio, la bellezza … Quando passa una ragazza giovane davanti al bar Piero, tutti quanti ci giriamo ad osservarne la figura che dilegua, da dietro, come la scia bianca e schiumosa di una nave. E lo facciamo con naturalezza, senza protervia né intenzione. Le guardiamo il culo come bianchi gigli nei campi.
Ma quando sfiora i tavolini il passo lungo di una donna – una donna con più di trentacinque anni di età, mettiamo - succede invece che qualcuno si giri ad osservarla, altri no. I più continuano a trangugiare calici dell’orrendo Corvo di Salaparuta, o a inseguire il filo di un improbabile discorso.
Intendo dire, non sono sempre gli stessi uomini, gli stessi maschi a voltarsi quando ci passa accanto il misterioso mondo delle donne. Il Cicci si gira quando intravede una certa donna, il Miglietto un’altra, io un’altra ancora. Ognuno possiede il suo passo e la sua caviglia da seguire, ma tutti sono d’accordo quando sfila la gioventù.
Questa circostanza mi ha ricordato la famosa scena di un film, una pellicola che parla del tempo e degli uomini. Perché è proprio dentro il tempo, con tutta probabilità, che si è andato a nascondere un segreto che cerchiamo invece nelle cose. Così quando il tempo è giovane, la carne acerba, è come se giungesse un richiamo indifferenziato, una voce senza interlocutore. E’ come se fosse la natura stessa a chiamare gli uomini, ecco: il canto di una sirena che tutto rende uniforme, indistinto e confuso.
Successivamente, la voce del corpo si precisa, assume una fisionomia esatta, imparando a scegliere e ad essere scelta. Una donna ci piace perché è quella donna lì, quella storia che affiora nei segni appena accennati sul viso, al bordo degli occhi, mentre di una ragazza amiamo la vaghezza che ci richiama al grembo stesso della natura.
Da questa considerazione, mi viene anche il sospetto su quale possa essere il motivo per cui, si dice, il fascino di un uomo è più longevo, un uomo a cinquant’anni è più attraente di una coetanea. Il punto secondo me è invece un altro. Gli uomini da una donna non desiderano essere semplicemente attratti, ma ammaliati dalla ragazza che è in lei, storditi, riportati a quella misura senza misura che ha il suono sordo della terra, lo scrosciare della risacca di un onda. Noi uomini, insomma, non cerchiamo una donna ma "la donna", l’indistinto femminile incarnato.
Ed eccola dunque la scena che mi è tornata alla mente, con le comparse del bar Piero, me compreso, come tanti Mastroianni di fronte al corpo statuario della Ekberg. E all'indirizzo di una dea che fuoriesce dalle acque tiepide della fontana di di Trevi, recitiamo le frasi di un immutabile copione:
“Tu sei tutto, Sylvia! Ma lo sai che sei tutto? You are everything, everything! Tu sei la prima donna del primo giorno della creazione, sei la madre, la sorella, l'amante, l'amica, l'angelo, il diavolo, la terra, la casa... Ecco che cosa sei: la casa!"
Ma per trovare casa, per definizione, un uomo deve andarsene di casa. Deve intraprendere un viaggio. In cui capita di scorgere il proprio domicilio dove tutto è ancora da costruire, in quella forma informe che è la gioventù, vissuta come un campo fertile in cui la vita non ha ancora seminato.
Le donne, più frequentemente, cercano invece e semplicemente un uomo, o come dicono loro un vero uomo. Ma qual è la differenza tra una cosa vera e una falsa? Io credo che consista principalmente nell'aderenza alla propria specificità, alla propria insostituibile individualità. Se vogliamo prendere sul serio quanto dicono le donne, la loro ricerca di un "vero uomo" corrisponde all'esatto contrario del principio indifferenziato che alita nella gioventù: un vero uomo è colui che si distingue dal gruppo, dal branco, qualcuno il cui profilo sia unico e definito.
Un vero uomo non deve allora essere bello di una bellezza naturale, legno verde e flessibile, ma voce affidabile e distinta dal brusio del vento, figura storica e individualizzata. Ancora meglio se l'individualizzazione produce “potere”, inteso come riconoscimento della specificità biografica anche da parte della comunità. E’ dunque il prestigio sociale, sorta di unicità efficiente, la chiave del fascino maschile?
Se così fosse, la casa che gli uomini cercano dentro il ventre di una donna sarebbe, per le donne, la facciata sociale del palazzo della famiglia!
Perché un vero uomo è anche lo strumento indiretto con cui ottenere quella stessa casa, che noi maschi trasogniamo nel femminile, quale effetto della creazione di una famiglia . E' forse anche per questo che le donne non cercano un uomo qualunque ma il loro (vero) uomo: corrispettivo antropologico a un progetto che le trascenda, nella maternità, trascendendo però anche l'uomo che così si fa funzione del disegno familiare, non più fine direbbe Kant. Ma in un certo senso, potremmo dire, così pure lo "falsificano" ...
Infatti per funzionare , per agire dentro le cose della vita - i figli, la casa, la famiglia - l'uomo in qualche modo deve tradire proprio il suo tratto unico e discreto (ciò che lo rende desiderabile e "vero"), aderendo a una comunità domestica che lo sopradetermina. In altre parole è la trasformazione del maschio in marito.
Non dico che questa differenza interna alle strutture del desiderio, questo insanabile ed eterno fraintendersi, abbia qualcosa di sbagliato. Non intendo insomma giudicare. E in tutti questi contorcimenti di anima e di collo, c'è qualcosa che mi rende vivo, seppure spesso acciaccato. Come un altro personaggio dentro il primo film di Soderbergh, Sex, Lies and Videotape, che pronuncia una frase molto interessante: “Gli uomini si innamorano delle donne che da cui sono attratti. Mentre le donne, finiscono col trovare attraenti gli uomini di cui si innamorano”.
Massì, penso proprio che il Miglietto il Cicci ed io, continueremo a girarci quando un giovane veliero naviga al largo delle nostre coste. Ma ognuno di noi, singolarmente e tenacemente, continuerà a perseguire il sogno distinto di un’Itaca.
Perché non c’è niente di più triste di una donna che ti chiama dall’altra parte della spiaggia, una giovane donna che chiama proprio te, per affidarti le chiavi di un minimo regno di stoviglie e telecomandi. Ma come nel finale della Dolce vita, tu non senti, Marcello Mastroianni indica le orecchie con rassegnazione, mimando il gesto di chi debba infine andare via. Quindi riaccoda il passo a una lunga sfinita processione di nani e ballerine.

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