lunedì 19 agosto 2024

Di chi sono figli i figli? O sul caso di Ari Boulogne

Di tutta la bagarre degli ultimi giorni sulla morte del grande attore, il più bello di sempre – più bello anche di Alcibiade, di Adone? – viene stabilito all'unanimità, a me interessa solo una cosa: di chi sono figli i figli, quando “mater semper certa est, pater numquam”?

I latini avevano saputo trarre conseguenze pratiche dal loro motto, distinguendo tra paternità biologica e paternità astratta, simbolica – figlio è chi mi succede dentro i codici umani e certi della civitas, prima che nell’incerta confusività di natura. Per questo Cesare può pronunciare (ammesso che l’abbia davvero pronunciata) la celebre frase “anche tu, Bruto, figlio mio!”, quando il congiurato era nato dall'unione di Servilia e Marco Giulio Bruto.

Per istituire tale vincolo civile esisteva un rituale: afferrare con mani salde il fanciullo sui fianchi e innalzarlo verso il cielo, dove i numi tutelari della città avrebbero sigillato il rapporto. Il problema non è dunque stabilire di chi fosse figlio biologico Ari Boulogne: i genitori erano Christa Päffgen in arte Nico, la cantante tedesca dalla voce roca dei Velvet Underground, e Alain Fabien Maurice Marcel Delon, per gli amici detto solamente Alain, Alain Delon. Punto.

Potete diversamente immaginare la madre dell’attore che, trovandosi per caso accanto il giovane negli Stati Uniti, dice al nuovo compagno: "Ma guarda quanto è carino, somiglia tanto al mio Alain da piccolo, me lo prendi?" "E va be', se proprio ci tieni..." E così dopo essere passati dalla cassa, come all’Ikea, se lo portano nella banlieue parigina dove lo crescono, cosa che in effetti è avvenuta. No, la questione è un’altra, e riguarda le ragioni per cui Alain Delon non abbia mai voluto alzare al cielo il proprio figlio naturale.

Provo a rispondere nel modo più brusco: io penso fossero fatti suoi. Sembra cinico a dirsi, ma nessun sentimento può essere imposto per legge, a maggior ragione l'amore, un verbo che non regge il modo imperativo. E così quel particolare amore che è l'amore paterno: può soltanto essere vissuto. Ci sono semmai i doveri economici, gli assegni familiari, scopare è un gesto che talvolta produce degli effetti, di cui si è giustamente responsabili. Ma questa è un’altra storia.

Certo, può non piacere che gli umani mettano al mondo figli come gatti, riprendendo in seguito la propria vita randagia. In fondo cosa chiedeva Ari, l’ha supplicato per tutta una vita di sventure, conclusa nel 2023 per overdose di eroina? Solo vedere sventolare il cognome di quell’uomo con gli occhi di ghiaccio, i suoi stessi occhi, quando la fragilità nervosa l’aveva invece presa dalla madre, sventolare accanto al proprio nome di battesimo: Ari Delon, suona anche bene.

Lacan suggeriva che ciò che amiamo nell'altro è l'unicità comunicata dal nome. Dovette accontentarsi del cognome del compagno della nonna, l'unico maschio ad alzare il suo corpo in direzione degli dei. E magari, dal padre vagheggiato (lo vedeva giganteggiare sui manifesti cinematografici), ricevere anche qualche buffetto ogni tanto, a Natale il pranzo in famiglia con la cerimonia dei regali da scartare. Come non sentire questi sentimenti come nostri?

Più difficile intercettare, e riconoscersi, nei sentimenti di chi non ha voluto concedere gli elementi minimi di una relazione genealogica tra prima e poi, provando empatia per un rifiuto; il rifiuto di un rifiutato, a suo tempo, dal proprio padre, se vogliamo essere precisi. Eppure non è ciò che ci è richiesto, ma solo il rispetto per una scelta che avvertiamo come distante, addirittura disumana. Ma non possiamo imporre il nostro sentire a chi ne ha uno tanto diverso. Anche se si chiama Alain Delon.

1 commento:

  1. Credo all'esaustiva risposta: "cazzi suoi", traducibile anche in "cazzi miei". Anche perché c'è chi può permetterselo, chi meno. Lui può (poteva, almeno).

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