Prima tela
"È inutile che ti affanni, tanto potrà
provare interesse e affetto per te, come per chiunque altro, una manciata di
persone, al massimo una manciata..."
A volte mi torna in mente questa frase che mi
disse oltre vent'anni fa una psicanalista, in un'era geologica in cui ancora
non esisteva Facebook. Peccato, perché non ci avrei messo tutto questo tempo a
comprenderla, quando su Facebook mi appare il sotto testo a ogni intervento, che sia un
vagito incorniciato dal pronome io o il tentativo, cocciuto quanto ingenuo, di
articolare un pensiero critico.
In ogni caso, una grande lezione di vita, senza
neppure il bisogno di pagare uno strizza cervelli: l'ascolto, l'attenzione e in
casi rarissimi anche il barlume di un sentimento, sui social network provengono sempre da una manciata di persone. Nel mio caso erano, grossomodo, una
quindicina quando avevo poco più di cento contatti, e sono una quindicina ora,
con il contatore che segna 1853.
Cambiano nel frattempo i nomi, i volti, forse
anche l'odore che non avverto, ma rimane il sigillo di quella cifra: quindici,
come il gioco del quindici, un rompicapo che non sono mai riuscito a risolvere.
E così il mistero per cui uno sconosciuto, nonostante o grazie a quel che
scrivo, ha attenzione per me, mentre la maggioranza se ne fa giustamente un
baffo, e come nella canzone di Lou Reed continua a battere ostinatamente il
proprio tamburo.
Un'esperienza che immagino diffusa, per quanto
con numeri mutevoli e fino ad arrivare alle iperboli dei cosiddetti influencer, ma che, prima o poi, da qualche parte trova una dogana
abbassata, un limite, su cui si infrange ogni ardore espressivo. Da qui l'ombra
minacciosa del fallimento, del manca qualcosa, qualcuno, all'appello della
maestra. O non sarà magari il mio quel banco vuoto là in fondo...?
Le cose potrebbero però stare in altro modo, mi
sono detto di recente. Non sarei insomma passato dal dieci all'uno per cento di
gradimento, così come attestato dai like, ma piuttosto rimasto all'interno
della manciata, manciata di mani, che mi sorregge anche se ogni volta cambia
forma e provenienza, a evitare il tonfo verso un abisso che non è forse il male
maggiore...
Ringrazio dunque quelle mani, quegli occhi, e
quell'affettuosa quindicina di lettori. Se cercassi di scrivere in modo diverso
per aumentare i frutti nel mio paniere, sarebbe come indossare la giacca di
Adinolfi, e non riuscirei a riempirla nemmeno con una dieta di sole fettuccine.
Quindici è invece la mia taglia: una extra small che veste slim fit, ma è
tiepida e accogliente.
Seconda tela
L'algoritmo di Facebook mi suggerisce di
contattare solo giovani donne, perlopiù carine. Ho un elenco pendente di oltre
trecento fanciulle, una più bella dell'altra, una più desiderosa dell'altra di
diventare mia "amica". Le richieste che ricevo quotidianamente, anche
sei o sette al giorno, come per altro capita a chiunque abbia superato i mille
contatti (è come con il denaro: più ne hai e più te arriva), le richieste provengono
però da uomini adulti miei coetanei, e cioè come si dice 'di mezza età'. Immagino siano carini anche quelli, non
voglio insinuare, anche se non possiedo parametri di valutazione obiettivi. Ma
il dubbio più incalzante è un altro: si diceva che la tecnologia si sarebbe
sostituita all'umano, sapendo di noi più di quanto noi stessi sappiamo. E cosa
sono io per la tecnologia? Una specie di playboy seriale, un po' fanè ma ancora
arzillo. Peccato che, per la realtà statistica, io sia invece un ferro
vecchio...
Terza tela
Trovo questo post,
pubblicato poco più di un'ora fa da un mio contatto, l'equivalente di un
trattato di sociologia. Ma in tre sole righe. E una domanda, sotto forma di
sondaggio: "ascelle non depilate? Io vorrei non vorrei ma. Ditemi la
vostra."
Vostra a cui fino adesso hanno dato corso, rispondendo con
slancio subitaneo, ottantatre persone, nostri simili, fratelli. Ottantatre!
Se l'epoca attuale ha uno Zeitgeist, io lo immagino
accucciato dentro a quella domanda, come un bambino che non vuol farsi vedere ma spera di essere scoperto. E in quelle
risposte che saranno certamente scanzonate, ironiche, ammiccanti, tanto da
tirare il tempo con cui concludere senza ingombro di pensiero la giornata.
Già domani non saranno infatti più nulla, e
bisognerà trovare una nuova domanda, un nuovo sondaggio: "cazzo
circonciso? Io vorrei non vorrei ma. Ditemi la vostra."
Quarta tela
Non sapevo di essere
iscritto a un gruppo che si chiama "Leggo letteratura contemporanea".
In genere sto alla larga dai gruppi, tutti i gruppi ma in specie quelli che
accetterebbero tra gli iscritti uno come me, per dirla con le parole di Groucho
Marx.
Del gruppo che ha avuto la malaugurata sorte di contemplarmi,
ritrovo, sulla mia bacheca Facebook, un messaggio appartenente a uno dei
membri, deduco dal consenso bulgaro essere particolarmente seguito. Al
contenuto esatto non posso risalire (è un gruppo
chiuso e ora ne sono uscito) ma corrispondeva a qualcosa del genere: "È
morto Camilleri, lo skrivo xke so ke piaceva a un tot".
A me questo messaggio ha fatto sorridere, e se pure
è una cosa che faccio raramente - rispondere ai post altrui - ho pigiato il
tasto reply e digitato: "Ma è morto Camilleri o Kmllri?"
Insomma, una frase scherzosa ma innocua, nella
quale si prendeva bonariamente in giro la difussione delle contrazioni
nominali, che mi appariva a maggior ragione incongrua in un gruppo che fa della
letteratura il proprio oggetto.
E però che succede, cominciano a piovere insulti,
mi danno del povero idiota, con corollario di faccine disgustate e pollicioni
blu per chi mi mette all'indice... Ma cosa avrò detto di tanto scandaloso?!
Controllo meglio il post da cui tutto è sortito,
come una torta al forno stava lievitando ulteriormente nel consenso, i like
superavano il mezzo migliaio, e mi accorgo che la persona che l'ha scritto
soffre di gravi problemi di salute, è su una sedia rotelle e ha una mascherina
al volto collegata a tubicini trasparenti, immagino per fornirgli l'ossigeno di
cui difetta.
La prima sensazione è quella di un' incontenibile
vergogna: mi sono burlato di una persona in stato di disgrazia, forse scrive a
questo modo perché non ha agio nel farlo normalmente, sì, è certamente così,
non riesce a pigiare alcune lettere, o gli procura dolore farlo. Scemo scemo
scemo, ecco cosa sono!
Leggendo altri suoi messaggi, mi accorgo però che
riesce a scrivere anche in forma più estesa e consueta, e i miei dubbi prendono
una diversa direzione. Una condizione oggettiva di minorità può essere
traslata, su un piano diverso, in virtù 'a prescindere', blindando a priori
ogni forma di critica, anche quando ironica...?
Mi viene in aiuto il fantasma di Dino Risi, che
nella sua disincantata intelligenza amava ripetere: "Il razzismo finirà
quando si potrà dare dello stronzo a un negro."
Ma allora anche il populismo sentimentale finirà
quando si potrà dire, senza alcun malanimo o sarcasmo, che una persona con
gravi handicap fisici ha scritto una cosa involontariamente comica. In caso
contrario, continueremo a considerare i diversi, in qualcosa, diversi in tutto
e per tutto, che è la forma più subdola e tenace di razzismo.
Ma si sa, Facebook non è il luogo della
sottigliezza intellettuale, e così mi dispongo di buon grado a fare da capro
espiatorio: è morto Kmllri, viva Kmllri e ogni forma di patetismo e semplificazione!
Quinta tela
Ci sono alcuni viaggi che uno fa solo per scoprire la direzione dei propri passi. Nella maggioranza dei casi si ha però già in tasca il biglietto di ritorno, oltre alle prenotazioni per gli alberghi in cui si sosterrà, la lista dei ristoranti consigliati dal Gambero Rosso, il siero antivipera. La chiamano previdenza, ma è forse un modo per disinnescare quella miccia a cui l'andare appicca la scintilla, e che secondo Paul Bowles configura la differenza tra turista e viaggiatore.
Seguendo il suo pensiero, non fa probabilmente eccezione Facebook: ci sono anche qui i turisti, persone che hanno chiaro in partenza il gruzzoletto di like che intendono raggranellare ogni giorno, e poco importa se a mendicarli sia la foto del gattino o la coscia allungata sulla spiaggia, l'invettiva contro il politico di turno, a far da contraltare ai viaggiatori da social network; un po' di puzzetta sotto il naso ma anche molta voglia di scoprire cosa ci fanno lì, nel regno degli uguali, sentendosi magari un poco più uguali degli altri, come i maiali della fattoria di Orwell. Nel mio caso, è però stato un altro scrittore ad aprirmi gli occhi, o meglio a farmeli riaprire insieme alle pagine del Jakob von Gunten di Robert Walser, in cui ho trovato questa frase che da ragazzo avevo sottolineato a più mandate di inchiostro:
"Tu adesso sei, per così dire, uno zero, fratello carissimo. Ma quando si è giovani, bisogna anche essere degli zeri, perché non c’è niente di più dannoso che significare presto, precocemente, qualche cosa".
L'ho letta in silenzio. Poi a voce alta. Numerose volte. Facendo le pause, tutte le pause prescritte dai segni di interpunzione, come quegli attori che vestono sempre di nero. Ma a ogni ripetizione il nero si schiariva, fino a che mi sono sentito addosso l'impermeabile sabbia del tenente Colombo, quando si gira all'improvviso e spara la domanda che inchioda l'assassino. Una domanda del tipo: che tu sia un turista o un viaggiatore, come io mi illudevo di essere, fratello o sorella carissimi, non sarà che quel che ci unisce su Facebook è la determinazione a non essere degli zeri...?
Per questo gli altri devono ascoltarci, buon per loro se lo fanno, con tanto di sigillo di un bel pollicione blu, altrimenti si perdono qualcosa di decisivo. Si perdono ciò che abbiamo da dire, la singolarità irripetibile della nostra opinione su ogni cosa, che coincide con il gesto ampio e arbitrario del significare, dando così senso a un'esperienza che dalla realtà ha smesso di ottenere risposte.
Ma tale urgenza affermativa, per non essere appunto degli zeri, sta progressivamente consumando il suo complemento oggetto (dire che cosa, dirla come e con quali parole?), al punto che il monito dello scrittore svizzero è stato diffusamente contraddetto: un'umanità sempre più giovane, anche se non forse in senso anagrafico, anzi e come le statitistiche suggeriscono ogni giorno più vecchia, ad Occidente almeno, con la smania di "significare presto, precocemente, qualche cosa".
Si dice, insomma, diciamo come anche io sto facendo ora, senza prima aver colmato lo zero in cui siamo iscritti di attesa paziente e studio e curiosità, fino ad arrivare a 0,1; poi, se va bene, a 0,2 e così via. Qui si parte invece subito da 10 - so già tutto, tutto quello che mi serve per comunicare, e il resto non mi interessa -, con un atteggiamento che per Robert Walser corrisponde al male maggiore, l'epidemia che affligge il nostro tempo. In cui turisti e viaggiatori si sono finalmente ricongiunti, ma a essere sparito è il mondo da misurare con lente e silenziose falcate. E solo dopo, molto dopo, postare i selfie.
Sesta tela
Facebook. Per molti rappresenta la
realizzazione dell'ideale democratico applicato alla comunicazione, e questo
non può essere contestato. Ma, in concreto, tutto ciò cosa comporta? Ad esempio
poter scrivere un post come il seguente, appena letto sulla bacheca di un mio
contatto:
Un uomo del 1960 italiano ieri si è
gettato sotto un treno a Montelupo Fiorentino. E' morto. Pare si tratti di
suicidio. I treni hanno avuto pesanti ritardi.
Sembra la breve di cronaca di un vecchio
domenicale di provincia. Con una differenza significativa. Se il caporedattore
si fosse trovato il testo sulla scrivania, avrebbe immediatamente convocato
l'autore nel suo ufficio. Quindi gli avrebbe chiesto: "Hai già visto un
uomo gettarsi sotto un treno, GETTARSI con finalità diverse dal suicidio?"
A quel punto, l'inesperto redattore sarebbe stato invitato a cambiare il verbo.
L'uomo del 1960, ossia un cinquantanovenne, scrivi allora uomo di
cinquantanove anni che evitiamo al lettore di fare i conti, l'uomo avrebbe infatti potuto FINIRE sotto un treno o esserne stato TRAVOLTO; a questo modo, non sapremmo se si sia lanciato o
magari scivolato, così giustificando la formula dubitativa.
Diversamente, andrebbe omesso il verbo successivo, l'intransitivo parere al
presente indicativo, pare, per non rendere il fatto drammatico attraverso una
formulazione comica, così come ora risulta.
Tutte acquisizioni di consapevolezza narrativa che, nel passato, avvenivano per
il tramite della struttura verticale di una redazione giornalistica, dove
l'impeto delle nuove leve era contenuto e direzionato da chi aveva a lungo
battuto i sentieri della lettera 22.
Ma ora non più. È come se, oltre al muro di Berlino, fosse crollato ogni altro
muro, tra cui quello espressivo. E così si può scrivere con disinvoltura,
racimolando la propria razione quotidiana di like (più di trenta nella
circostanza), che lanciarsi sotto a un treno non equivale a suicidarsi, magari
si voleva vedere se sotto i treni fioriscono regole logiche alternative al buon
senso. Quelle che troviamo su Facebook, con pesanti ritardi per
quei trenini che viaggiano dentro la testa e chiamiamo neuroni...
Settima tela
Tra i miei contatti
Facebook, uno scrittore cattolico, Demetrio Paolin, lamentava la scelta di Benigni di leggere il Cantico dei
Cantici sul palco dell'Ariston. "Perché non hai scelto un passo
dell'Esodo, Roberto", gli chiedeva attraverso un post vigoroso e occhiuto,
ad esempio "quando l'Angelo del Signore stermina tutti i primogeniti degli
egiziani? Perché non hai letto Geremia quando Dio si compiace di aver
sterminato i nemici? Perché non hai letto San Paolo, l'Apocalisse?"
Paolin continuava argomentando che l'attore
toscano ha "dato del cristianesimo e della fede una visione all'acqua di
rose", quando, "Roberto, no il cristianesimo non è bellezza, o meglio
la bellezza del cristianesimo non quella roba che hai detto tu, la parola di
Dio non è quella roba che hai detto tu, ma è speranza che il mondo finisca, è
speranza della parusia, del giorno che verrà, della resurrezione dei corpi dei
morti, il cristianesimo è una cosa tremenda, è dire che non te ne frega di
questo mondo, ma di come il mondo finirà..."
Insomma, quella visione tragica e minacciosa con
cui a dottrina ci facevano cacare sotto, e che sarei anche disposto a rispettare
se, come in questo caso, i cattolici non pretendessero ogni volta il monopolio
interpretativo su tutto ciò che sfiora il bacile in cui intingono la mano
destra, prima di portarla alla fronte e completare il segno della croce.
Ciò che voglio dire è che Benigni, a Sanremo, non
si è per nulla avventurato in un'esegesi teologica della religione giudaico
cristiana nel suo insieme, ma ha semplicemente estratto da quel canone
scritturale un piccolo pezzo, il tassello di un puzzle più grande, per farlo risplendere
di luce propria, che in questo caso corrisponde alla potenza erotica
dell'amore, l'amore fisico e mondano.
È questa una interpretazione esaustiva della
Scrittura? Certo che no, ma è una interpretazione più che legittima, oltre che
svolta con commossa partecipazione. D'altronde, dal momento che stiamo parlando
della Bibbia d'Israele, un rabbino risponderebbe che per ogni testo sacro
esistono cento, anzi mille interpretazioni.Tutte giuste. Mentre per i
cattolici, a partire dalla struttura gerarchica con cui si sono dati forma
(leggi Congregazione per la dottrina della fede, ex Sant Uffizio, ex
Inquisizione) di interpretazione ne esiste solamente una. La loro.
Ottava tela
Oggi un mio contatto Facebook ha pubblicato un post in cui si augurava un
mondo diverso, o meglio un piccolo villaggio domestico e familiare - la cerchia
dei propri amici più cari, con una circonferenza che si estende ai conoscenti -
in cui "le persone somigliano alle parole che dicono."
Veniva aggiunta una minima teoria di situazioni virtuose: "persone che ti
dicono ti voglio bene e poi sappiamo restare; sono preoccupato per te e poi mi
chiedano come è andata; ti chiamo alle cinque e poi lo fanno".
Coerenza, insomma, e mi stava per scappare un like che si sarebbe aggiunto al
già cospicuo gruzzoletto.
Poi però il mio sguardo si è appuntato sulla frase conclusiva: "persone
reali che mi dicano cose reali", e lì ho immaginato scenari diversi e
inquietanti. Ad esempio l'amico che, invece di uno zuccheroso ti voglio bene,
le dice "ma come puzzi di ascelle oggi", oppure "mi sembri più
vecchia del solito", "ti si sta afflosciando il sedere..."
Non perché voglia ferirla, intendo, ma semplicemente e come il mio contatto
femminile si augurava, perché è una persona reale che realmente pensa tutto
ciò. O per dirla con Edith Piaf: "je suis comme je suis", che è la
classica giustificazione dei cafoni.
Ho così iniziato a sognare un mondo di pura fiction, estensione
dell'immaginario disneyano; o perlomeno relazioni con chi sia sufficientemente
intelligente da includere, tra vero e falso, una terza categoria. Quella
dell'omissione.
Riconsegno allora al mio contatto la bella gente reale che ti dice sempre cosa
pensa, e per me dipingo un orizzonte utopico il cui fondale è un'assolata
piazzetta siciliana, mentre al centro della scena uomini con baffi sottili e la
nera coppola in testa, a pizzicare lo scacciapensieri in un clima di diffusa
omertà. Perlomeno so che non mi confesserebbero mai quanto si stiano diradando
i miei capelli, o banalizzando i miei pensieri...
Nona tela
L’invito a mettere mi
piace alla propria pagina Facebook, sta ai social come, nelle relazioni
concrete tra persone, la supplica a farsi dire ti amo dal primo che passa per
la strada; ma poi anche dal secondo, dal terzo e così via. Due gesti totalmente
privi di razionalità, estrema deriva dei folli o degli innamorati persi. In
questo caso di sé stessi.
Decima tela
Ma
perché su Facebook non leggo mai dei post che parlano di profumi – è appena
uscito Immortelle Corse di Marc-Antoine Corticchiato, il naso più talentuoso
tra le nuove generazioni – o di altre cose leggere ma non per questo fatue,
come l’infinità varietà dei fiori?
Mi imbatto piuttosto e di continuo in goffi slanci dentro i
massimi sistemi, un certo appeal riscuote sempre la politica, ma in una
declinazione tranciante e oppositiva, della serie io ho capito tutto e tu sei
cretino, per dilagare infine in celebrazioni (o negazioni) artistiche e
letterarie, o nel fumoso psicologismo dei rapporti uomo\donna\figli – ah i
figli, i figli: queste moderne medaglie al valore da appuntarsi sul bavero!
Altre volte, sono le pose buffe del gattino di
famiglia a prendersi la scena pubblica; ma è appunto il nostro gatto, cosa
nostra, non come direbbe Aristotele la “gattità” in generale, in cui
avventurarsi con la disposizione aperta dei curiosi. Tutto ciò mi fa sospettate
che questo mezzo induca una auto percezione elevatissima della propria
collocazione nel mondo, così lontana, mettiamo, dai vecchi parrucchieri di
provincia, dove gli uomini parlavano di calcio e motori e le donne si
sussurravano piccoli pettegolezzi, tra cui la notizia di un nuovo profumo alla
violetta da provare, a cui aggiungevano un avverbio: assolutamente, da provare
assolutamente.
Ecco, io non ho proprio un cavolo da dire sulle
elezioni regionali – è un mio limite intendo, non una presa di posizione
ideologica –, né su come risolvere disuguaglianze sociali, ondate migratorie e
cambiamenti climatici, tanto meno su quale debba essere l’ortodossia delle
relazioni con l’altro sesso, pardon, gender. Ma, cosa ancora più grave, non
posseggo neppure un criceto di cui eternare le marachelle in folgoranti
istantanee, di cui l’umanità ha certamente bisogno.
Però ho acquistato Sienè di Tiziana Terenzi, e lo
trovo un profumo complesso, stratificato, strano, con note di cipresso, ulivo,
iris, ginepro e cuoio, ma anche una punta quasi impercettibile di miele.
Insomma, un profumo da provare. Assolutamente!
Undicesima tela
Ho
un piccolo suggerimento per Mr. Zuckerberg. Il problema è stranoto, e lamentato
da molti: Facebook promuove gruppi aperti e inclusivi, ma, nello spazio dei
commenti, vigono prassi implicite e consolidate che sono totalmente
gerarchiche, quasi feudali. Ma mi spiego con un esempio.
Se Tiziano Ferro pubblica un post e Biagio Antonacci lascia
un commento (magari, come i testi delle sue canzoni, un po' banalotto), è molto
probabile che tra i due cantanti si avvi uno scambio, cosa che non avverrebbe
se il medesimo commento fosse lasciato da un Pinco Pallino qualunque. E lo
stesso tra giornalisti, sportivi, intellettuali, politici e perfino tra quegli
inetti assoluti che ora vengono chiamati influencer. Se ne ricava che chiunque
abbia guadagnato un minimo di rinomanza pubblica tende a privilegiare un
dialogo tra pari; di rango se non altro, non necessariamente di acume
espressivo.
Per la mia esperienza ho maggiore consuetudine con l'ambiente
degli scrittori, ma anche qui vedo che lo scambio finisce col decantare in
gruppi chiusi ed elitari, ciarlieri in special modo con chi viene percepito
come simile, ossia ratificato da logiche esterne alla comunicazione; il sistema
editoriale, per intenderci.
Vi è però anche un curioso paradosso, che vede nei soggetti
additati come "cattivi" - personalità non allineate, a volte ciniche
o sprezzanti - una disposizione più aperta e orizzontale, per quanto non di
rado burbera. E penso a scrittori spigolosi come Vitaliano Trevisan (con cui ho avuto scambi anche fecondi), oppure
Massimiliano Parente, Gaetano Cappelli, Veronica Tomassini; autori spesso e impropriamente definiti 'di destra', per
quanto è significativo che sia proprio nel terreno della sinistra militante a
germogliare più rigoglioso il seme dell'elitismo, che fa storcere il naso con
quella tipica espressione da puzzetta.
Ora, percepisco in questa asimmetria relazionale un malessere
diffuso, causato dall'illusione, sempre prodotta dal mezzo, che davvero si
potessero stabilire rapporti paritari con i propri beniamini. No, non è così, e
forse non è perfino il male maggiore, già che la specie a cui apparteniamo ha
questa tendenza a disporsi per tribù, spesso idiosincratiche le une con le
altre; e per quanto aggiornate e ipermoderne, ci saranno sempre dei cacicchi a
tirare le fila, oltre alla sterminata classe dei paria.
Per rendere la situazione più trasparente, propongo allora -
ed è qui che mi rivolgo a Mr. Zuckerberg - di istituire una categoria
intermedia tra l'amico e il perfetto sconosciuto; che non è nemmeno il seguace,
colui che ti segue senza richiederti l'amicizia, il follower insomma, il quale
ha comunque facoltà di commentare i post.
Mi riferisco a una figura antica, quella degli acusmatici.
Nelle scuole pitagoriche erano allievi, per così dire, di serie B, i quali dietro
un velo opaco ascoltavano attenti le lezioni del Maestro, ma non potevano
interloquire con lui. E non sarebbe molto più onesto se avvenisse anche qui?
Uno stato di fatto - quello delle classi sociali, presenti a
ogni latitudine dell'umano - diventerebbe riconoscibile e dunque più
accettabile, magari perfino sovvertibile con una bella rivoluzione telematica.
Evitando, nel frattempo, ai fedeli di Tiziano Ferro di attendere una risposta
che non arriverà mai, se non nella forma di un pollicione alzato a fare
palpitare di speranza.
Dodicesima tela
Mi
capita sempre più spesso. Con le donne. Non con tutte le donne, intendo. E'
solo qui, su Facebook, che le donne sembrano difendersi da me, attraverso
quelle strategie di evitamento (più che legittime, intendiamoci) messe in opera
dalle femmine di ogni specie animale quando indisposte all'accoppiamento. Ma mi
spiego meglio.
A volte succede di lasciare un commento benevolo a un post
femminile, o di inviare, ancora più raramente nel mio caso, un messaggio
privato che non è mai volgare, tanto meno ammiccante. Un complimento, insomma.
Ciò che dovrebbe essere prassi comune e che è lo stesso mezzo a suggerire; come
diceva quel tale, "the medium is the message".
Eppure, quasi sempre percepisco dall'altra parte la mossa
scacchistica dell'arrocco, con il re (in questo caso la regina) che si trincera
dietro una corte di elusività che non saprei come altro chiamare se non con
l'espressione colorita "qui non c'è trippa per gatti".
Ora, se la mia sensazione fosse corretta (potrei sbagliarmi,
come cantava Ivano Fossati sono pur sempre "carte da decifrare"), se
la mia sensazione fosse giusta si possono ricavare alcune considerazioni di
carattere più generale:
1) gli uomini italiani, già che la località del fenomeno è
importante, direi addirittura decisiva, passano effettivamente il tempo a
insidiare le conterranee sul web, quando non a molestarle con selfie dei propri
comunissimi attributi - e che diamine, un cazzo tra le gambe non lo si nega a
nessuno, manco a te, maschio adulto in erezione formato jpg, avessi almeno
risolto la congettura di Riemann!
2) in quanto uomo italiano fallomunito, le donne italiane
fanno benissimo a guardarsi da me, o ancora più precisamente da tutto ciò che
non risulta appetibile al loro sguardo selettivo;
3) assunto dunque che sono un uomo, e oltretutto - aggravante
geografica - italiano, oltre che un facebooker spesso riluttante, io ho dunque
perso, se mai posseduto, quell' appeal erotico che mi legittimerebbe come
interlocutore privilegiato, dando per scontato che la comunicazione avviene a
tale unico livello. Il sesso.
Il buon senso mi porta così a liquidarmi da solo, a
dichiararmi obsoleto come oggetto sessuale funzionale alla riproduzione, anche
se il mio ragionamento ha una coda non trascurabile. E cioè qualcuno, uomini e
donne, ma direi a questo punto soprattutto donne e sempre e ancora italiane,
già che i comportamenti tra generi si riflettono nello spazio, e sono così le
donne italiane a difendersi da attacchi sessuali spesso solo presunti,
qualcuno, dicevo, davvero è convinto che a cinquantatré anni suonati si abbia
qualcosa da 'riprodurre', da riprodurre sessualmente?
Non sarà che siamo entrati in una stagione della vita in cui
ci si può anche guardare, sfiorare, perfino intercettare e sedurre, senza
questa ossessione alla concupiscenza gagliarda, o per converso a una riluttanza
da puzzetta sotto al naso. Ciò che sto provando a dire è che uno dei pochissimi
privilegi della cosiddetta mezza età, è che la specie può tranquillamente farsi
un baffo di noi, consegnando ad altri - più arzilli virgulti, sinuose e toniche
silfidi in posa sul bagnasciuga - il compito di tirare avanti la baracca.
Detto in altre parole, pure in un luogo sgangherato come
questo abbiamo finalmente l'occasione di diventare persone, esseri umani e non
solo sex machine, con tutta la complessità che il termine comporta; tra cui è
inclusa anche la sessualità, che viene però di gran lunga ridimensionata. A me
sembra che questa occasione potremmo anche coglierla, senza continuare,
comicamente, a percepirci come principessine sul pisello, o come piselli alla
disperata ricercata di una principessa. Una a caso, 'ndo cojo cojo.
Tredicesima tela
Nei giorni scorsi ho
pubblicato un post che ha ottenuto 130 like e numerose condivisioni, mai il mio
albero del gradimento aveva dato tanti frutti. Con il post di ieri il contatore
dei pollicioni blu si è invece fermato a 4: l'albero non solo aveva perso i
frutti, ma anche tutte le foglie. Quale rapporto, mi sono dunque chiesto,
collega tra loro queste cifre?
Stilisticamente, il primo testo era breve e sarcastico, quasi
aggressivo, come sono aggressive certe unghiate dei giornalisti nei loro
elzeviri. Utilizzando la celebre espressione latina, potremmo dire che
sollecitava la "pars destruens" del pensiero, il ruscello che parte e
ritorna sempre alla sorgente del rancore. E comunque a voler essere generosi,
niente più che uno scritto "accattivante"; un aggettivo che per
inciso detesto, con quella sua radice semantica che rimanda al fare l'altro
prigioniero.
Diversamente, il secondo post, il brutto anatroccolo, era
svolto in chiave metaforica, filosoficamente allusiva (il conflitto tra bios e
tecnica, di cui la recente epidemia si fa tragica espressione), con l'andatura
verbale che assumeva una sorta di trotto narrativo, dove l'elemento finzionale
era rappresentato dalla descrizione di un sogno. “Pars costruens”, in ogni
caso. E se non mi avessero insegnato da piccolo che chi si loda si imbroda,
direi anche un buon lavoro.
Ho fatto questa lunga premessa perché credo che la ricezione
di quel che scriviamo su Facebook racconti molto di noi, ma soprattutto del
mezzo che stiamo utilizzando. In cui il facile, il rabbioso, l'emotivo e il
ridanciano la spuntano sempre sull'articolato e il complesso, ossia
sull'intelligenza – che non è quella del lettore, ci tengo a precisare.
Per fare pace con lo specchio e potermi guardare con un
minimo di considerazione, d'ora in avanti ho così deciso di dedicarmi
unicamente a una scrittura costruttiva; che tradotto in termini di
gratificazioni, temo che significhi masochistica, in quanto disfunzionale al
mezzo.
Stilo dunque un piccolo manuale Cencelli a uso personale:
niente più attacchi diretti sui social network, al limite la contestazione
argomentata di un pensiero, mai di un pensante; al bando anche giochetti di
parole e calembour, sollecitazioni pavloviane, flessuosi defilé di arguzia,
pillole sapienziali, patetismi d'accatto, strizzatine d'occhio e colpetti di
gomito; per non parlare degli imbarazzanti coinvolgimenti a chi vorremmo ci
leggesse – di cui perlopiù importa poco o niente a chi li fa, tipo ditemi
l'ultimo bel libro che avete letto, o se la vostra fidanzata ingoia quando fa
quella cosa lì –; e poi sono da considerarsi tabù le foto di tramonti, bambini,
animali (meglio se cuccioli) e a maggior ragione parenti e amici morti; ma
soprattutto niente sassolini nella scarpa da levare tirare in testa al primo
che passa. In pratica, tutto ciò che qui fa brodo, plauso, like.
E a noi che ci frega, direte giustamente voi se siete
arrivati al termine del pistolotto. Appunto, puro masochismo. Di cui questo era
solo un assaggio, le martellate sulle palle devono ancora venire.
Quattordicesima tela
Non mi piacciono le
interrogazioni sui social network. Quei post in cui ci si rivolge direttamente
ai propri contatti, avviene spesso nei film di Woody Allen. L'interprete
sospende la recita, guarda dritto in camera, e poi parla allo spettatore come
fosse suo cugino. Di solito appartengono a persone certe di avere un ampio
seguito – sportivi, giornalisti, attori, ma i peggiori sono i cosiddetti influencer,
oltre ad alcuni scrittori che pensano di essere al centro del mondo e se ne
contendono invece i margini –, persone che domandano qualcosa di cui già
conoscono la risposta, o che potrebbero scoprire con una rapida ricerca su
Google. Del tipo: sapete se si può uscire a fare una passeggiata? Ma la
variante più sfacciata è quella sondaggistica: quanti di voi fanno ancora
l'amore, quale posizione preferite? Esiste poi una versione finto umile,
potremmo chiamarla “questua perlocutoria” (cosa devo fare, sono così inetto e
dubbioso da non saper compiere una scelta elementare), come la richiesta di un
consiglio sul film da vedere quando sarà terminata la conta dei like. Tanto lo
sai già che film vedrai, o magari non vedrai proprio nulla, resterai incollato
al PC a escogitare una nuova richiesta, non fare il furbo. Sono solo forme di
obliterazione del consenso, reti buttate in un mare indifferenziato per vedere
quanti pescetti vengono a galla. Per poi friggerli nella padella del proprio
ego.
Quindicesima tela
Da qualche tempo una
rompicoglioni ha preso l'abitudine di girarmi cazzate su Messanger, così, come
si infilano volantini per la svendita di un negozio di scarpe in una cassetta
delle lettere. So che la cosa è abbastanza comune, lo spamming su Messanger
intendo, e non vi davo troppo peso. Fino a ieri almeno, quando mi ha invitato a
partecipare a un'iniziativa collettiva.
Si tratta di spegnere lo smartphone per un'ora tutti assieme.
A questo modo verrebbe mandato un segnale chiaro e forte ai politici – politici
= cattivi, ovviamente il sotto testo – facendogli capire che non vogliamo la
app per il tracciamento dei contagi.
Coincidenza vuole che nella stessa giornata avessi scritto un
post in cui mi esprimevo in maniera opposta sull'argomento. Non che sia
decisivo quel che penso, ma la prossima volta, magari, che si leggesse quel che
scrivo prima di usare la mia casella come una cloaca. E per una volta gliel'ho
detto.
Ti pare che io abbia tempo di leggere tutto quello che
postano i miei contatti, risponde lei. Come se non bastasse continua: non mi
scocciare (SCOCCIARE?!) con queste prediche. Piuttosto impara a fare come me,
imposta dei filtri su Messanger per non essere contattato da tutti gli spacca
maroni che ci sono in giro.
Beh, non so l'effetto che avrebbe fatto a voi, ma io l'ho
trovata una risposta geniale. Come se il mostro di Scandicci ti
spiegasse che lui mica si apparta in un boschetto con la sua bella, l'Angiolina,
macché, non sono così grullo. Se non vuoi essere squartato, la prossima volta
vai a scopare in un parcheggio a pagamento!
Sedicesima tela
Inizio a pensare che le poche righe di presentazione che vengono associate al profilo in un social network, ma perfino su WhatsApp, ovunque sia richiesta una sintesi espressiva della persona, possano essere considerate un genere letterario, spesso più accurato e rivelatorio di intere paginate di descrizione. Facebook mi suggerisce ad esempio di richiedere l'amicizia a una giovane che così si presenta: "Io... Donna... protagonista e regista della miafemminilità. Ma appartengono alla vita. E con lei... Ci gioco."
Un incipit formidabile, da cui ricavo due informazioni decisive: 1) Zuckerberg, nonostante i suoi sforzi di accumulare dati sul mio conto, continua a non capirci un cazzo e sparare nel mucchio, e questo mi conforta; 2) diversamente, a me sembra di sapere tantissimo di lei, Donna protagonista e regista della sua femminilità, con cui giocare, al punto che mi guardo bene dal contattarla.
La mia ritrosia non mi impedisce però di riconoscerle uno straordinario talento. In una manciata di parole è infatti riuscita a tratteggiare l'essenza di ogni buona storia: il personaggio. Che poi sia anche sé stessa, nella circostanza, non la esenta dal merito letterario. Dubito che alla maggior parte degli scrittori sarebbe riuscita una pennellata verbale altrettanto icastica, a restituire quel grottesco involontario quale carrozzeria (ora un po' ammaccata) del nostro tempo. Non a me, di sicuro.