Sono tornato sotto casa di Federico
con una cassetta in legno per le arance:
Scendi, dai, che andiamo a vendere i fumetti
(mi raccomando, porta gli albo di Tex,
Zagor lo spirito con la scure,
Topolino, Nonna Abelarda, Diabolik),
tutti quelli che abbiamo letto
e poi scambiato sotto ai banchi
di formica verdina, con un foro
per l’inchiostro che già non si usava più.
Di oro purissimo il colore
della tua Saltafoss, una bicicletta
dal sedile lungo come le moto –
si può viaggiare in due
e chi è dietro spara agli indiani:
non bum bum, ma un sibilo di vipera
dall'Oklahoma caricata a salve
– mille indiani in doppiopetto grigio
cascano da cavallo con un ugh –
tra tiepidi spifferi di portici
eccoci arrivati in via Dante,
il posto giusto per aprire bottega
(Comandante Mark, Hulk, Capitan America),
se la copertina è macchiata
una biglia di vetro e venti lire
di sconto. Sono tornato
con una cassetta senza arance,
solo la struttura di pino
a fare da bancone.
Sono tornato, Federico.
L'unico modo che conosco
per ritrovare intatti i miei morti,
nel sussurrato commercio
che precede la sera.
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