sabato 31 luglio 2021

Resoconto dell’agente Guido Hauser in missione segreta dentro Facebook


Facebook è un unico enorme testo. Come tutti i testi, è composto da capitoli, capoversi, righe, frasi e singole parole. Ma la copertina che tiene assieme il brogliaccio è la medesima. Da quando ho avuto l’intuizione, ho iniziato a sfogliare le sue pagine – quel testo dice molto di noi, di dove stiamo andando come comunità – compiendo una sorta di perlustrazione dall’interno, come in quel vecchio film in cui un sottomarino viene introdotto nel sistema circolatorio di un corpo umano.

Per immergermi sempre più a fondo ho seguito l’esempio delle serie tivù: piccoli pezzi, microstorie, un procedere frammentato dentro un unico grande racconto. La sua polpa narrativa va ricercata nelle bacheche altrui – è il mezzo a prevederlo, non vi è effrazione –, per poi riportarne (in molte occasioni) degli stralci, ossia i campioni di sangue che di volta in volta analizzavo. Ma sono sempre stato attento a rispettare la persone da cui proveniva il prelievo, la punturina avrebbe dovuto essere indolore. E l’ago più sottile consiste, come anticipato, in un’attenzione esclusiva al testo, trattato con la cautela riservata a un’antica reliquia egizia.

Ugualmente, in molti si sono offesi. Mi è stato rimproverato: 1) di non citare le fonti, quando le tacevo; 2) di citare le fonti, quando invece inserivo nome e cognome dell’autore dello stralcio. Oppure, molto più semplicemente, di essere una testa di cazzo, che per inciso mi appare la critica più sensata.

A oggi considero però definitivamente terminata la ricognizione, e se dovessi riassumere ciò che ho scoperto con una formula giornalistica, direi: è un brutto libro, spendete diversamente il vostro tempo. Ma con rare magnifiche pagine.

Grazie a quelle pagine e quei compagni di viaggio, non cancello, come mi ero proposto, il mio profilo Facebook. Ma la mia identità di agente in missione segreta è ormai bruciata. Mi metto così a margine delle parole pronunciate sui social, foto di gattini, selfie imbronciati, cosce lunghe sul bagnasciuga, insulti, ammiccamenti erotici e non erotici (ma soprattutto erotici), guizzi d'intelligenza, tramonti, slanci civili, vanvere incivili, motteggi, complotti, orsacchiotti, sarcasmi, parole che vanno a capo confuse con poesia, bellezza vera, diorami delle copertine dei propri libri come a dire io sono uno che legge, che pensa, io sono…

E bon, mi fermo qui. Aspettando nuove idee. Se arriveranno, il mio sottomarino continuerà a navigare ma in superficie, senza aghi, spilli o pungiglioni. Altrimenti continuate voi. Ciao!

giovedì 29 luglio 2021

Pareti, o sulla vita vera


Nel condominio in cui sono cresciuto e ancora mi trovo in un tempo supplementare che non contempla i rigori – il palazzo è di cinque piani, senza fronzoli estetici, costruito a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta – al terzo piano vive una coppia di ottantenni; lei è piccolina e furba e lui un omone di oltre cento chili, con la passione dei francobolli. Io e mia madre abitiamo nell'appartamento di sopra.

Ricordo il giorno in cui nacque il figlio della coppia, adesso è adulto e fa l’avvocato, si è sposato con un'avvocatessa bulgara che in gioventù gareggiava nel lancio del peso, anche loro hanno un figlio. Quella sera il mio compagno di scuola Federico si era fermato per cena, al termine giocammo con un biliardino rudimentale, ogni gol veniva scandito dall’urlo di Sandokan; su Rai 1 era appena terminato lo sceneggiato con Kabir Bedi, Carol Andrè interpretava la Perla di Labuan, fu il mio primo amore.

Da sotto picchiarono più volte sul soffitto, immagino con una scopa o un bastone, per invitarci a non fare baccano, ma il giorno dopo l'omone dei francobolli suonò alla porta e allungò a mia madre un sacchettino colmo di confetti, confetti azzurri. “È nato Francesco”, disse solamente.

Ora siamo invece noi a udire i rumori che provengono dall'appartamento sottostante. L’uomo si è ammalato di Parkinson e negli ultimi tempi sta su una sedia a rotelle, per chiamare la moglie emette dei suoni lunghi e indistinti, ricordano il belato di un agnello che si è smarrito nel bosco. Da principio mi inquietavano un poco, ma come in tutte le cose l’abitudine ha preso il sopravvento; non stupiscono le battute che si scambiano i medici in sala operatoria, o la capacità dei becchini di modificare il tono di voce quando squilla il telefono. È solo lavoro, ti dicono se gli chiedi chi è.

Ma cosa distingue il lavoro dalla vita, mi domandavo oggi tra un gemito e l'altro? In fondo è tutto un fare, brigare, ammalarsi e scomparire. Per questo abbiamo i medici, abbiamo i becchini, ogni stagione è ordinata da leggi precise; anche il biliardino ha le sue regole, non si può rullare a centrocampo o segnare con le mani.

Mi è allora venuto in mente di sostituire - certo, solo con l'immaginazione - a ogni esperienza il sonoro di un’altra, e poi stare ad ascoltare cosa succede dentro. Immagino così due ragazzini di nove anni, io e Federico immagino ancora: anziché grida di giubilo per i gol messi a segno, emettono dei lunghi sofferti belati. Busseremmo ancora al soffitto per farli tacere? E se un malato di Parkinson invece gioisse, fischiettasse il refrain della sigla di Sandokan composta da Guido e Maurizio De Angelis, cosa penseremmo, cosa proveremmo?

Credo che le avanguardie russe, parlando della tecnica letteraria dello straniamento, si riferissero a qualcosa di simile. È un fatto che quando mi sono disposto a questo modo inusuale di sentire, l’ennesimo lamento del vicino mi è apparso diverso, e per la prima volta ho colto lo strazio che conteneva, l’assoluta oscenità del suo male, il mio male, il male di tutti. E ho capito anche perché un condominio è fatto di muri, pareti, travature, controsoffitti. Senza, la vita sarebbe insostenibile. Come a dire vera.

mercoledì 28 luglio 2021

Milan Inter, o sulla contrapposizione


È possibile convincere un interista a diventare milanista, oppure romanista un tifoso della Lazio?

Me lo chiedevo dopo essere venuto a conoscenza di questa vicenda. Una mia vecchia conoscente, forse anche qualcosa di più, un tempo eravamo amici, non può fare il vaccino a causa di gravi problemi di salute. "Che posso farci" mi diceva di fronte a un’armeria dove l’ho incontrata per caso, "devono smetterla con la storia che dovremmo tutti vaccinarci, ognuno faccia come crede. Abbiamo tutto il diritto ad astenerci, vogliono violare la nostra libertà, guarda me. Se mi vaccino crepo!"

Detta così non fa una piega. Non fa una piega perché lei stava parlando unicamente per sé, ma nel farlo cercava un riflesso vissuto negli altri. Il piano scivolava così a quello dell'identità, delle emozioni, del riconoscimento sociale. Dal pronome io, senza neppure accorgersi, era passata al noi.

Non potendo ricevere il vaccino, si sente vicina agli argomenti (non alle ragioni, attenzione!) di chi ha deciso di fare lo stesso, involontaria parte di un gruppo con cui ha cominciato a identificarsi. Non intendendo che sono proprio le persone come lei – il suo sistema immunitario produce anticorpi con il contagocce, come spermatozoi un bambino di nove anni – a dover pretendere che tutti gli altri si vaccinino, o meglio tutti quelli che possono: a tutela propria, ma soprattutto responsabilità nei suoi confronti. È questo il senso vero e profondo del noi. 

E invece no. Milan. Inter. Juve. Atalanta. È questo il modo di sentire che sta prendendo forma nei discorsi sui social, viene strillato nelle manifestazioni di piazza, in cui contrapposte tifoserie si prendono a cornate. Il virus ringrazia, naturalmente, come i bagarini quando si tratta di vendere biglietti. Purché paghino, facciano pure il tifo per chi gli pare.

martedì 27 luglio 2021

Due Beck's

Nei paesi vicino a Sondrio come Piateda, Caiolo, Buglio in Monte o Poggiridenti, che prima del maquillage fascista si chiamava Pendolasco, in quelle che sono ormai concrezioni di villette geometrico, uomini molto belli si accompagnavano a donne molto brutte; erano gli anni settanta, ottanta o giù di lì. A volte era il contrario, ma ciò era più diffuso in città, dove abitavo io. O perlomeno noi ci sentivamo così, cittadini, forse perché eravamo il capoluogo, ma se ci infilavi tutti a San Siro a malapena avremmo riempito una curva. Qui comunque erano gli uomini brutti a rivendicare la bellezza, e non era raro vedere certi mostriciattoli dire a una donna meravigliosa: "Monta", dopo aver spalancato dall'interno la portiera dell'Alfetta. Se invece li incrociavi a ristorante la conversazione non era tanto più ricca, e al tintinnare delle posate sul piatto in cui era rimasta solo qualche traccia di sugo, potevi, finalmente, sentire dire andiamo; solo quello: andiamo, e lei si alzava e li seguiva in silenzio. Questa diversa simmetria della bellezza, tra campagna e città, mi appariva un po' bizzarra, anche se che col tempo ho cominciato a considerarla come un segno di superiorità – loro, non nostra. Gente che non bada troppo all'involucro, e quando lo fa cerca una concretezza prospettica che si traduca in futuro, figli, famiglia; come mio nonno, che da un rapido sguardo poteva stimare i litri di latte da spremere a una mucca. Ma oggi sono entrato in un piccolo bar di paese e mi sono accorto che non è più così. Erano tutti belli: uomini, donne, ragazzi con il taglio di capelli dei calciatori, i tatuaggi tribali sulle braccia. Anche i cani si sono nel frattempo trasformati, non ci sono più quei cagnetti meticci color cappuccino macchiato, solo bestiole con lunghi pregiati pedigree. È la mutazione antropologica, non ti ricordi di Pasolini, gli Scritti corsari, mi dice una vocina da dentro. Ma poi scorgo un uomo veramente brutto! Non si vede bene perché ha il volto coperto dalla mascherina, è molto magro e indossa una t-shirt nera con l'immagine di Bruce Lee che fa roteare i nunchaki, un drago rosso sullo sfondo. Si intuisce che una volta anche lui non doveva essere malaccio, quel genere di maschi che sfidano gli altri a braccio di ferro, poco importa se poi perdono. Gli occhi verdi cercano nello spazio qualcosa che non sanno: un calendario con donne dal seno prosperoso ben in mostra, in testa il berretto da poliziotto, un po' di sbieco... l'amico nero simpatico superdotato del Big Jim... una pistola ad aria compressa di marca Oklahoma, in effetti ne conosce solo il nome perché i genitori non gliel'hanno mai voluta acquistare, neppure per Natale... la locandina metallica dei gelati, su cui campeggia la sagoma viola e rossa del ghiacciolo Draculino... l'odore dei Moon Boot messi ad asciugare sotto il termosifone della classe seconda F, primo piano, penultima porta, dopo avere attraversato il cortile pieno di neve... il jucke-box in cui infilare cinquanta lire, per poi ricevere il soffio delle note iniziali di Liù, Liù sul letto caldo o sul divano, ingigantita dal falso piano, io mi ricorderò di te, io mi ricorderò di te... Scorie di un passato che non ha dimenticato, almeno una promessa l'ha mantenuta, un passato che viene ora percepito come scoria, tanto più inutile quanto più gravido di parole e simboli che rimandano a sé, nient'altro della certezza di avere avuto un proprio tempo. Ma poi mi accorgo che era solo uno specchio, mi rifletteva mentre pagavo due Beck's. Una la bevo dopo, no, non la stappi. La tengo per questa sera davanti a una serie su Amazon Prime. Parla di supereroi che salvano il mondo dai cattivi e poi vanno a casa dove ascoltano le canzoni di Billy Joel, mentre una ragazza appena rimorchiata gli fa un pompino.

sabato 24 luglio 2021

Se me lo dicevi prima

Per convincere Pinocchio a prendere una purga, la Fata Turchina gli promise dello zucchero.
– Dov’è la pallina di zucchero?
– È qui – gli rispose la Fata, tirandola fuori da una zuccheriera d’oro.
– Prima voglio la pallina di zucchero e poi berrò quell’acquaccia amara!
Inutile aggiungere che, dopo aver inghiottito lo zucchero, Pinocchio non mantenne la promessa, e trascorso qualche tempo vide arrivare tre conigli con una bara sulle spalle, a cui era destinato il burattino per non aver preso la purga.
– Voglio la medicina, voglio la medicina! – si mise a quel punto strillare.
Ripensavo al capolavoro di Collodi scorrendo le pagine web che aggiornano sulla pandemia. Negli Stati Uniti, dove i vaccini sono disponibili da tempo, vengono ancora registrati più di trecento decessi quotidiani per patologie connesse al Covid, e un numero ben maggiore di ricoveri. Nella stragrande maggioranza si tratta di persone che hanno scelto di non vaccinarsi, le ragioni sono diverse e tutte legittime. Ma ora, sdraiati su un letto d'ospedale, domandano come prima cosa: “Voglio essere vaccinato, ho cambiato idea. Vaccinatemi al più presto!”
Senza probabilmente saperlo, stanno replicando la battuta di Pinocchio alla vista dei tre conigli con la bara. Voglio la medicina, voglio la medicina! Peccato non ci sia una fata a levarli dalle pettole, ma solo medici che, sempre più imbarazzati, provano a spiegargli che l’acquaccia amara andava iniettata prima, non dopo aver contratto il virus.
Ah, se me lo dicevi prima, cantava Jannacci, se me lo dicevi prima…

giovedì 22 luglio 2021

Modesta proposta



Il 15 agosto 1947, India e Pakistan, si separano. Due Stati indipendenti. Due religioni. Due valute e due eserciti. Dopo anni di dissidi e violenze, l'unità, da indistinto contenitore, apparve finalmente come problema, fino a quel punto velato dagli interessi britannici.

Ripensavo all'episodio nella vigilia del Green Pass, chiedendomi: e se avvenisse anche in Italia? Certo, non su base territoriale, ma assumendo il dato incontrovertibile che con i no vax convivere è ogni giorno più difficile.

La convivenza è infatti un effetto della comunicazione, che è venuta meno da entrambe le parti: razionalità versus mitologia, economia dei benefici alla salute rispetto ai costi e ai rischi (che nessuno nega in un vaccino, per quanto più contenuti dell'Aspirina) versus proiezioni paranoiche da complotto e patofobie da punturina; chissà cosa ci hanno messo dentro, meglio aspettare, rimandare a oltranza...

Non c'è insomma koinè, con-versazione, che per Leopardi corrisponde a un procedere solidali nello stesso implacabile verso. Quello che conduce alla morte. I no vax premono sull'acceleratore e noi invece vorremmo frenare, prenderci tutto il tempo per goderci il viaggio, guardare dal finestrino.

Il Covid ha così portato alla luce una scissione umana interna all'intero Occidente, ossia in primo luogo linguistica, già che è il linguaggio a fondarci come comunità, non l'ha istituita. Ma le soluzioni pratiche non mancano. In fondo, anni fa, era stato fatto qualcosa di simile per i treni, con le carrozze per fumatori e non fumatori. Bene, ripristiniamole.

La discriminante non sarà più il fumo e piuttosto la vaccinazione. Lo stesso per tutto quanto: scuole (private, ovviamente) per i figli dei no vax, e scuole pubbliche per chi si vaccina. Quindi bar no vax; discoteche no vax; palestre no vax; tram no vax; supermarket no vax dove fare acquisti senza mascherina; dopo aver saldato il conto un bacetto di commiato alla cassiera, anch'essa rigorosamente no vax.

Infine, coerentemente, ospedali no vax, dove si cura la gente con i fiori di Bach e impacchi di fango e saliva; e non è detto che non abbiano effetto, auguri! Il tutto accompagnato da invalicabili rulli di filo spinato e cocci di bottiglia a dividere i reciproci spazi. In cui noi non mancheremo a loro, e loro non mancheranno a noi. Senza rancore.

lunedì 5 luglio 2021

Homo Novi Covid

 

Sono partiti gli ennesimi spot pubblicitari sui vaccini, con Amadeus e Bonolis che interpretano la versione amichevole paracula di Galli e Bassetti, al posto di Viola e Capua troviamo Ambra Angiolini e Mara Venier.

Va tutto bene, intendiamoci, ma da quanto tempo è che parliamo di vaccini è prevenzione? Il conto è presto fatto: dodici ore d'informazione al giorno per sette canali televisivi per diciotto mesi, il tutto tradotto in parole. Migliaia di parole dunque, milioni, probabilmente miliardi se contiamo anche l’informazione estera e le reti locali.

Eppure il tutto avrebbe potuto limitarsi a due sole: vaccinatevi, stronzi!

Temo così che si debba prendere atto che nella nostra società è in atto una sorta di speciazione culturale, sul modello di quella biologica: l'evoluzione si biforca e da una specie ne nasce una nuova, senza sostituirsi del tutto alla prima. Ne parlò per la prima volta Darwin osservando i fringuelli delle Galapagos. Le due specie, verosimilmente, dovranno convivere ancora per molto prima che una soppianti definitivamente l'altra, come è avvenuto con i Sapiens Sapiens e i Neanderthal.

Detto fuor di metafora, temo che chi non si è vaccinato finora continuerà a non farlo, qualsiasi cosa gli si dica; ci sarà tanto l'amico dell'amico del cugino suggerirgli il contrario, senza contare i social network. E a questo punto va bene così, ognuno per la sua linea evolutiva. Tanto, con la variante Delta, l'asticella dell'effetto gregge viene alzato ad altezze difficilmente raggiungibili.

Per altro, non è detto che non abbiano ragione loro: la terra è piatta, o cava, per nascoderci meglio gli ufo che spruzzano le scie chimiche e scoreggiano nei vaccini. E Bill Gates di notte si trasforma in una viscida lucertola con la linguetta di fuori, dandosi convegno con Mario Draghi per happy hour a base di cocktail di formiche rosse e tafani.

domenica 4 luglio 2021

La vita è adesso

 


Sto ascoltando la radio mentre mangio una fesa di tacchino senza contorno, ci ho spalmato solo un poco di maionese, era già cotta ed è bastato trasferirla dal frigorifero al piatto. L'unico accompagnamento è così quello offerto dalle note di una canzone di Claudio Baglioni, l'anno era il 1985, me lo ricordo bene perché avevo appena terminato la maturità e stavo andando a Rimini con il mio amico Guido, due Guidi su una Mercedes 200 bianca del 1974, con il bombolone del gpl che si prendeva tutto il baule. Ma ciò che serviva avrebbe potuto stare in un fagotto, e nell'autoradio da cui usciva una voce cartavetrata, che cresceva, cresceva, ogni acuto sembrava raggiungere la vetta e invece cresceva ancora. La vita è adesso, strillava. La vita è adesso ripete ancora. Al ritorno la prendemmo larga e passammo da Firenze. La notte prima, il 7 settembre, il mostro aveva massacrato una coppia di turisti francesi a San Casciano, e così dormimmo in auto ma in un parcheggio a pagamento, sorvegliati (così stava scritto) da due reduci della seconda guerra mondiale. Quando uno dei due, zoppicando, si avvicinò all'auto dove stavamo rannicchiati, pensammo: Ecco, è finita. Il mostro! Invece voleva solo offrirci un po' di acqua fresca da una borraccetta di metallo. Perché la vita è adesso, nella sete del corpo. Al mattino visitammo il centro storico, una foto su Ponte Vecchio richiesta da due ragazze canadesi – can you take a picture of us? – o forse furono loro a scattarla a noi, un trucchetto da quattro soldi per abbordarle. Non mi feci mancare, in una boutique su via dei Tornabuoni, una felpa Stone Island di cui sventolare la pecetta in discoteca, la rosa dei venti simbolo del marchio come una bandiera bianca di resa, con cui congedarsi dalla rabbia che aveva insanguato il decennio precedente. Quindi partimmo alla volta di Pisa, dove ci si presentò un dilemma: con le poche lire rimaste prendiamo il biglietto per salire sulla torre, oppure un giornaletto pornografico nell'edicola di fronte? In copertina campeggiava l'immagine di Ilona Staller assieme al suo pitone, accompagnata dalla scritta: Cicciolina, assistente sociale di cazzi bisognosi. Scegliemmo ovviamente Cicciolina. Scegliemmo il bisogno immediato del basso ventre, il pungolo degli ormoni, la vita è adesso. Per i marmi sbilenchi della storia ci sarebbe stato ancora tempo. E invece non ci sono mai più andato, sul cucuzzolo della torre di Pisa. Ho cinquantacinque anni e sto mangiando una fesa di tacchino fredda spalmata di maionese. Dai piani sotto del condominio vedo risalire una bolla di sapone, quelle che da bambini si ottenevano soffiando in un cerchietto di plastica con un gambo, serviva per intingerlo nel liquido vischioso contenuto nel tubetto. Si muove piano nell'aria tiepida della sera, è indecisa dove andare, sembra non possedere una direzione e accontentarsi delle carezze di un vento leggero, il piacere svagato dell'adesso, a coincidere con la vita. Credo si riferisse a qualcosa di simile Carl Gustav Jung, quando parlava di sincronicità. Ma, nel frattempo, la canzone di Baglioni è terminata, e la bolla è esplosa senza emettere alcun suono, solo nei fumetti viene accompagnato il disparire con un puff. Alla radio, una stazione di solo musica Italiana, è subentrata Donatella Rettore, dammi una lametta che mi taglio le vene, mi faccio meno male del trapianto del rene, dammi una lametta, dammi... La vita era.