Michel Houellebecq ha confessato di lanciare un urlo di goduria, SIII!, o più verosimilmente OUIII!, ogni volta che vede confermato uno stereotipo. Ricordo che ai tempi dell'università andai con un amico a via Festa del Perdono, Milano; era una mattina di novembre un po' nebbiosa, le radio private passavano It's a Sin dei Pet Shop Boys e Who's that Girl di Madonna.
Sul breve tratto di strada in cui ci eravamo fermati
con la schiena appoggiata alla parete di un palazzo umbertino, guardavamo
sfilare i nostri coetanei diretti, in alcuni casi, ad Architettura, e in altri
a Ingegneria. Solo che fino all'ultimo momento non potevamo saperlo, i due
atenei erano prospicienti.
Iniziammo così, quasi per caso, a fare scommesse: io
dico che questo è un architetto, quest'altro ingegnere, architetto, ingegnere,
architetta (le donne, specie quelle belle, quasi tutte ad Architettura),
ingegnere, ingegnere e così via.
Beh, in nove casi su dieci ci prendevamo, alcuni
tratti del loro involucro ne confermavano la destinazione: bretelle indossate
sotto a giacche di velluto a coste, con le toppe sui gomiti, per gli
architetti, di contro ad abbigliamento acquistato alla Upim per gli ingegneri.
E poi la polpa: architetti fisico tonico e zazzera, erano gli anni
Ottanta, i Duran Duran dettavano la linea, pancetta e capelli monastici gli ingegneri, già incipiente la tonsura della calvizie. Stereotipi, appunto.
Più tardi, con lo stesso amico, finimmo con
l'estendere il gioco degli stereotipi a tutte le facoltà, introducendo una
variabile di genere. Arrivammo così alla conclusione che esistevano facoltà
dove uomini e donne davano il meglio, e in altre il peggio. Ma erano diverse.
Molto modesti, ad esempio, i maschi iscritti a Legge e
Scienze Politiche, ma non le femmine. Se c'era una ragazza un po' scemina – non
siamo più alle percentuali bulgare di architetti e ingegneri, diciamo a spanne
un 70% – si iscriveva a Lingue e soprattutto a Psicologia. Ma invece
intelligentissime le studentesse di Filosofia, a differenza dei maschi, e io
ero tra questi, che frequentavano la medesima Facoltà. Dei veri e propri
sotuttoio, con l'Unità infilata nel tascone del giubbotto e una raccolta di
aforismi di Cioran da portare a spasso.
Insomma, il gioco l'avete capito. Ora, se vi va,
potete provare a fare lo stesso con i social. L'impressione è che anche qui ci
siano categorie in cui uomini e donne si distinguono. Personalmente, nutro diffidenza verso politici e giornalisti di sesso maschile, le donne body builder,
brrr che paura quando postano i selfie, quindi verso i maschi che si dichiarano
esperti di geopolitica, le poetesse (ma non i poeti, anche perché maggiore è il numero di donne orgogliosamente poetesse, lo scrivono in prima battuta come il gruppo sanguigno sulla targhetta dei soldati), e ancora i tuttologi con il
pizzetto a cui fa schifo qualsiasi cosa, le attrici, ah le attrici... e
infine verso gli scrittori di entrambi i generi.
In quest'ultimo caso non mi sembrano propriamente scemi, ma l'intelligenza che di certo non gli difetta – non sempre, almeno – non è sufficiente a fargli cogliere il ruolo sociale del loro gesto, che ha raggiunto una marginalità da giocatori di ping pong. Complice la bolla che fa da specchio di Grimilde, percepiscono però il loro status come prestigioso, la stessa asimmetrica disposizione di un Vasco Rossi con milioni di follower. Chissà, forse, negli anni Ottanta, anche loro erano iscritti a Filosofia...
PS - Se leggendo vi siete riconosciuti in una
categoria bistrattata, appartenente di sicuro al 30% virtuoso. Nessuna
polemica, per piacere. E solo un giochino, anche questo un po' scemo, da
ombrellone. E se trovate la quadra, come Houllebecq potete strillare OUIII!
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