Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. È da anni che mi risuona questa frase – il vuoto lasciato dall’uomo è grande, a noi rimane lo scrittore. L'abilità di sintesi ne conferma la maestria, basterebbe il commiato: è difficile ottenere una resa estetica migliore, il botto finale dei fuochi d’artificio che lascia i bimbi con la bocca spalancata, o il coniglio bianco nel preciso momento in cui esce dal cilindro. Ma quando c’è un mago abbiamo imparato esserci anche un trucco. Forse l’inghippo sta nel doppio complemento: tutti. Come si fa a perdonare tutti, tutti tutti dico, ci sarà pure qualcuno che te l’ha fatta grossa, e non riesci a mandare giù?
La storia linguistica del termine sembra confermare i
sospetti, accoppiando la particella intensiva per con il verbo donare,
qui sostantivizzato. E se qualcuno non provasse interesse al mio dono, mi
chiedo, come quando regaliamo una pipa a chi ha smesso di fumare? C’è inoltre
una disposizione asimmetrica nel perdono, concessiva – un SUV ti tampona, tu
scendi e rivolto al conducente: “Oh tapino, va’ va’… ti perdono!” Se alla
guida trovi Ibrahimovic, due schiaffoni non te li leva nessuno.
L’asimmetria viene ribaltata di prospettiva nella
domanda di perdono: chi lo richiede (una richiesta che spesso prende il nome di
supplica) viene immaginato a un livello più basso, siamo totalmente ipotecati
dal dono che l’altro ha da offrirci – se vuole sarà lui, o lei, ad alzare il
pollice alla maniera degli imperatori romani; la richiesta è arrischiata, il
dito potrebbe anche volgere verso il basso. Non è questo il caso di Pavese, lo
scrittore di Santo Stefano Belbo offre e, a un tempo, si dispone a ricevere il
suo perdono già dall’altrove dei morti, dove non è presente alcuna geometria
spaziale: si è finalmente fatti a immagine e somiglianza del Padre.
Eppure, anche il Dio di Abramo, quando questi prova
contrattare il numero di giusti presenti nella città di Sodoma – si inizia con
cinquanta, poi si scende a quarantacinque, quaranta, trenta, venti… – alla fine
si ferma a dieci, dieci giusti. Altrimenti spacco tutto, come in effetti poi
fa. Il suo non è dunque un perdono incondizionato, non facciamoci fregare dal
titolo di un vecchio film con Bud Spencer e Terence Hill: Dio perdona, io no.
Dio perdona quasi tutti, non tutti. E così qualche sassolino dalla
scarpa possiamo levarcelo pure noi.
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