Soffrire per una sconfitta, come dichiara con orgoglio la campionessa di scherma Elisa Di Francisca, o viceversa godere del bicchiere mezzo pieno come fa la brava nuotatrice Benedetta Pilato (la quale si era rallegrata per il quarto posto ottenuto alle Olimpiadi), non sono comportamenti misurabili su un'ideale scala etica graduata, con indici di bontà a scandirne i livelli. Perciò la comunicazione è capziosa, l'inganno consiste nel mescolare piani totalmente distinti.
La bontà è un sentire che porta a un fare, ossia a comportamenti volti al bene dell'altro. Mentre in questo caso abbiamo disposizioni psicologiche diverse, che danno luogo a diverse emozioni: la serenità di chi ha comunque fatto del suo meglio, non sfigurando affatto per quanto a un passo dal podio, e la rosicatura, il tarlo, infine la sofferenza rivendicata quale atteggiamento agonistico da parte di Di Francisca, tipiche di chi non riesce più a distinguere la propria vita dalla condizione darwiniana da cui è ricalcato ogni sport, dove il più adatto è colui (o colei) che prevale sugli altri.
Ma brutto, e cioè non etico, ingannevole, capzioso, è giudicare le emozioni degli altri, squalificandole con il termine denigratorio di buonismo quando non in linea con ciò che sentiamo. Perciò è utile prestare attenzione a questi minimi segnali di cedimento alle mode linguistiche. Dietro, il più delle volte, si cela non solo una disposizione spensierata e corriva, ma una precisa ideologia. Che non è solo come abbiamo visto capziosa, ma parecchio stronza.
(PS - Suggerisco anche un confronto fisiognomico tra i
due volti: quello della nuotatrice soddisfatta, se non proprio felice, per il suo quarto posto, e della schermitrice
che gli dà della buonista – da quale delle due acquistereste un'auto usata?)
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