giovedì 25 luglio 2019

Odiare ti costa, o sulle nuove proscrizioni

Sta circolando sul web un'iniziativa a difesa dagli odiatori professionali, i cosiddetti hater, che di giorno in giorno si manifestano quale cifra ringhiosa di questo tempo, spopolando ovunque ma in particolare sui social network.
Conosco i promotori, Maura Gancitano e Andrea Colamedici, sposi nella vita e nella fondazione della casa editrice Tlon, di cui apprezzo alcuni progetti e altri molto meno. Tra ciò che mi è piaciuto, la passione e la verve infuse negli audio corsi sulle filosofie, al plurale, del ventesimo secolo, che include nomi apparentemente eccentrici come Alejandro Jodorowsky e Fabrizio de Andrè. Più discutibili invece i workshop su arte dei sentimenti, fioritura personale, liberati dalla brava bambina che è in te e altre scorciatoie psicologiche molto in linea con l'altra faccia della nostra epoca, quella soave e trapuntata di stelline, come l'involucro dei Baci Perugina, in cui pure non mi riconosco.
In ogni caso, il mio giudizio è per così dire neutro, per quanto una certa prosopopea pedagogica che avverto nei loro seguitissimi interventi su Facebook, il cui sotto testo è “ti insegno io come si fa" (a vivere), avrebbe dovuto mettermi in guardia. Adesso mi sembra però che si sia passato il segno. Addirittura una task force composta da legali, filosofi e, cioè, loro stessi ("oggi chiamano filosofi se stessi gli insegnanti di filosofia", Ivano Fossati) ma soprattutto detective, a tutela di un’ecologica e tanto garbata espressione su internet.
In pratica, qualcuno, sul web, ti dice mavadaviaelcu, e tu puoi accorrere alla loro muscolare congrega, che lo sistema per le feste. Odiare ti costa, così si chiama infatti l’iniziativa. Con un occhiello minaccioso: l’odio ha i giorni contati.
Un proponimento che, da principio, mi era apparso innocuo e persino virtuoso, e difatti già include la virtuosissima Michela Murgia. Poi però mi sono chiesto: ma davvero sappiamo e, soprattutto, lo sanno Gangitano, Murgia, Colamedici, cosa voglia dire odio, conoscono il sottosuolo vissuto di quel termine, le sue numerose implicazioni…?
In fondo hanno successo, nessuna ragione per rosicare: sono giovani e intelligenti e colti, perfino piuttosto graziosi, con grandi occhioni azzurri gentilmente offerti da madre natura. Ma ancora più graziosi e intelligenti i loro marmocchi, che a ogni occasione vengono raccontati in gustosi siparietti familiari, da cui sempre traspare saggezza e ironia. Come diceva Pasolini su gli studenti di Valle Giulia: buon sangue non mente!
Ma penso ora a un odiatore, uno a caso. Gente frustrata, invidiosa, anche un po’ stupida e burina, diciamocelo. Come unico ristoro: venire sul web e odiare qualcuno, ‘ndo cojo cojo. Non che la cosa mi diverta e conforti, perlopiù mi fanno pena, se mi toccano personalmente pure incazzare, e però mi ricordano la minima ciminiera della pentola a pressione, dove sfiatare gli umori tossici che premono da sotto.
Carola Rackete è una zecca, dovrebbero stuprarla i suoi negretti, farle questo e quest'altro e se non basta quest'altro ancora, cose così, innominabili ma perlopiù prive di gesti conseguenti. Un gioco verbale sconcio che ricorda un vecchio film, Rollerball, in cui le tensioni sociali venivano sfogate su una pista da pattinaggio dove tutto è concesso, mazzate e botte di ogni sorta. Il pubblico si identificava, faceva il tifo come negli scontri tra gladiatori, e poi di nuovo a casa a ingoiare i propri quotidiani rospi. Almeno fino a quando la pentola a pressione raggiunge la nuova soglia di guardia.
A ben pensarci, i social network sono diventati ora quella pista, con l’unica differenza, non trascurabile, di parole in luogo di bastoni. E ulteriore differenza quando gli insulti provengono da figure istituzionali (mi sto riferendo a Salvini, se non si fosse capito), a cui è richiesto ben altro senso di responsabilità verbale. In ogni caso, tutto questo fino a ieri. Da oggi i buoni i virtuosi gli illuminati, hanno detto stop a tutti quanti. Odiare ti costa!
Bene, io credo che sia al contrario giunto il momento di fermare i fermatori. Diversamente, finiremo come nell’Atene del quinto secolo, ma senza Pericle e Socrate e i tragici, la perfezione di linee delle sculture di Fidia. Solo quella pratica odiosa, l'ostracismo, per cui una mezza parola equivoca poteva essere usata contro di te, e che divenne a Roma proscrizione. Anche perché siamo davvero in grado, e lo domando anche a voi filosofi, detective, legali, di distinguere tra odio e semplice critica, tra sberleffo e insulto? Il tifoso della Lazio che scrive romanista demmerda, ad esempio, andrà rubricato come odiatore oppure smargiasso, guascone…?
I confini sono incerti, i fatti nascondono come sempre interpretazioni, e questo un filosofo dovrebbe saperlo bene. Che poi non si chiede a tutti i filosofi di raggiungere le vette di Nietzsche, si possono anche fare i corsi sulla gestione dei sentimenti, la fioritura personale, ma quando pretendi di avere la misura della lettera pubblica sei già andato troppo oltre, qualcuno dovrebbe darti un limite. Ad esempio, con un sonoro mavadaviaelcu!

Ps - Ho naturalmente preparato il salvadanaio, ci metto le monetine che ballano nelle tasche, il resto della pizza. Da questo intervento in poi, l'ultima frase, in particolare, mi aspetto infatti i detective della neo-associazione di tutela contro gli odiatori; già me li vedo sulla porta di casa in completo nero e Ray-Ban specchiati. In questo occhiuto clima di sospetto, di delazione virtuosa da parte del ceto medio riflessivo di sinistra, pensare mi costerà... 

mercoledì 24 luglio 2019

Il comunismo possibile, o sulla finzione


Il comunismo non è sbagliato, è finto. Provo a spiegarmi.
Io trovo che siano piuttosto accurate, oltre che attuali, moderne come un classico che non smette di parlarci anche se abbiamo le Nike al posto delle galosce, le analisi sulla struttura economica fatte da Marx. Inoltre, l’istanza etica che le muove è quanto di più simile al concetto di giustizia, almeno all’interno del misero menu politico che oggi si offre; due primi e due secondi, come nei ristoranti per camionisti.
Nonostante la virtù teorica che gli riconosco, c’è però qualcosa al suo interno, un’eco, o forse l’odore che ricorda quello dei poveri, non è una puzza e lo senti anche quando vincono la lotteria. Adesso possono finalmente acquistare le migliori eau de toilette francesi! Ma niente da fare, ti sfiorano, li sfiori, forse è l’odore che possiedi pure tu. Ed è impossibile da coprire, da estirpare a suon di spruzzetti profumati, pomate anti aging. Così l’odore del comunismo.
Per questo mi viene da concludere che il comunismo non è sbagliato ma è finto. Me ne accorgo, a ritroso, puntando un cannocchiale capovolto sulla storia, anno 1976.
Era il 21 giugno, una domenica che immagino soleggiata e calda, a cui è seguito il lunedì successivo dello stesso anno, giorni di elezioni. Si trattava delle più importanti, le politiche, in cui il PCI raggiunse il suo massimo storico: 34,37%. In pratica, una persona su tre era, o si diceva, comunista. 
Se ci pensiamo bene, non è così importante che la DC avesse superato quel dato percentuale, raggiungendo un 38,71% che premiava ancora una volta la cautela, Gladio, le prebende di Gerald Ford e le rate per acquistare la Fiat 128 rally, oltre a qualche stragetta qua e là. Non è importante perché quella sconfitta, oplà, una rapida piroetta, avrebbe potuto trasformarsi nella tanto auspicata vittoria del Lumpenproletariat. E ciò a partire da una semplice domanda: cos'è il comunismo? 
Collettivizzazione dei mezzi di produzione e di scambio, ci risponderebbe lo stesso Marx. Bene, sarebbe stato sufficiente che quel terzo di popolazione, come era avvenuto quasi settant'anni prima nei kibbutz fondati nella Palestina ottomana e, quindi, sotto il mandato inglese delle Nazioni Unite, condividesse le proprie risorse, attuando una sorta di collettivizzazione spontanea.
Non è complicato: sei comunista e hai due mucche? Bene, ne offri una a un altro comunista, un compagno che non possiede nessuna mucca, e così per tutto il resto. Un livellamento spontaneo delle risorse tra chi partecipa del medesimo orizzonte finale. Il comunismo, appunto. 
L'idea è vagamente naif, ma, nel 1976, sarebbe stata perfettamente realizzabile. Quel 34% è come si dice una soglia critica, e avrebbe prodotto effetti a catena sull'intera società italiana. Che sarebbe divenuta, giorno dopo giorno e senza rivoluzioni, comunista. 
Peccato che non sia venuta in mente a nessuno. E ciò perché il comunismo è finto, o più precisamente una postura sentimentale di derivazione cattolica – la mano che deposita l'obolo nel sacchettino floscio del sagrestano –, ma al fondo ancora cela l'homo homini lupus, nella forma di una disposizione egoistica molto difficile da estirpare. Antropologia, insomma, non politica.
Facendo un traslato psicanalitico, il comunismo corrisponde al Super Io freudiano (come l'uomo dovrebbe essere per la legge morale) mentre il liberalismo all'Es (come l'uomo realmente è, e si manifesta nei suoi impulsi profondi). Tra i due si barcamena l'io cosciente, che pensa di essere buono ma è in realtà un po' stronzo. Non tanto, solo un po'.
Ma l'umanità non è immutabile, è un prodotto storico come ogni altra cosa. Il giorno in cui cambiasse l'uomo – tra mille, duemila, forse cinquemila anni... – potremmo sperare di vedere attuato il vero comunismo. Che non è quello sovietico, con i colbacchi di marmotta e i baci sulla bocca tra maschi, oppure i sigari cubani del lider maximo; nemmeno il neo-comunismo cinese che viaggia al ritmo dei suoi smartphone scattanti, i sorrisini compunti. Il vero comunismo è coincidenza tra parola e intenzione, prima ancora che tra parola e fatti.
Per ora teniamoci stretti Salvini, Di Maio, Renzi e Berlusconi. Già che, con le loro brame, sono lo specchio che più ci rassomiglia, a cui domandare ogni mattina chi è il più stronzo del reame.