domenica 31 luglio 2022

Fare o stare?



Mi è sempre piaciuto fare a botte. Da bambino, più che altro, era un accapigliarsi, muovere a casaccio le braccia, tirare i capelli. La prima volta che ho fatto a botte seriamente è stato alle medie. La serietà, per me, consisteva nell'avere intuito un preciso nesso tra gesti ed effetti, che avevo ottenuto da uno studio attento di quello che era allora il mio idolo: Cassius Clay, da poco divenuto Muhammad Ali.

Quando uno spilungone di un anno più grande di me mi sfidò nel cortile di cemento che unisce i condomini in cui tutt'ora abitiamo - solo un po' di capelli in meno, entrambi -, provai a sottrarmi. A dirla tutta avevo paura, e poi non provavo l'aggressività che manifestava nei miei confronti, forse generata dalla gelosia per una ragazzina di nome Adele; si era messo in mente che lei avesse un debole per me, cosa purtroppo non vera. La bella e dolce Adele, reginetta di via Parolo.

Il primo pugno in faccia mi arrivò senza preavviso, solo a quel punto reagii. Mi concentrai dapprima sul movimento delle gambe, replicando il saltellare di Muhammad Ali attorno all'avversario, per poi colpirlo all'improvviso con un jab che aveva la funzione di aprire la guardia, seguito da un diretto destro con cui scaricare tutto il peso del corpo a partire dalla spalla. "Floats like a butterfly, stings like a bee!" ripeteva nelle interviste il campione più elegante della storia del pugilato, roteando lo sguardo e facendo le smorfie.

Fu stupefacente osservare come la teoria si integrasse alla pratica, dopo pochi scambi il mio vicino di casa, con ancora tutti i capelli in testa, era in mia balia, e mi fermai solo quando mi accorsi che stavo iniziando a fargli male; sanguinava dalla bocca e dal naso, più tardi un occhio gli si gonfiò fino a non riuscire a vedere più nulla.

Adele invece ci vedeva benissimo: mi osservava con sguardo severo senza pronunciare parola, prima di prendersi amorevolmente cura dello sconfitto. In fondo Ettore ha sempre avuto più appeal di Achille, e in un estremo lembo settentrionale d'Italia la storia si ripeteva. Iniziai così a dubitare che la mia vittoria fosse "truccata", come, si sussurrava, per Ali nel conquistare il titolo mondiale contro Sonny Liston nel 1965.

Più tardi feci molte altre volte a botte, con esiti alterni. Ricordo il giorno in cui i cugini Sertorelli mi attesero davanti ai cancelli della scuola, indossavano i guanti da sci. Guanti da sci, a fine aprile? Fu l'ultimo pensiero prima che cominciassero a piovere pugni, da tutte le parti, mai viste tante braccia e mani in una volta sola, sembrava un incontro ravvicinato con Shiva. Mi rimase solo la forza di raggiungere la terza E, dove sedeva in un banco troppo piccolo per lui - quando non era al bar a giocare a biliardo con una Marlboro tra le labbra - il mio amico Gigi, temutissimo pluriripetente. Fu sufficiente uno scambio di sguardi, e poche sillabe: "Cugini Sertorelli." 

Al suono della campanella dopo un ultima noiosissima ora di applicazioni tecniche, ritrovai il faccione sorridente di Gigi. Con un braccio teneva serrata la testa di uno dei due cugini Sertorelli, e l'altro cranio riccioluto sotto il braccio opposto. Quando mi vide cominciò a battere le teste tra di loro come coperchi, finché con un cenno della mano gli feci capire che ok, poteva bastare. Dovrebbero avere capito la lezione. Da Muhammad Ali mi ero trasformato in Vito Corleone. 

Alle superiori le risse si diradarono. Anche in questo caso ero entrato nelle grazie di un energumeno, mi sono sempre piaciute le persone di questo tipo, e io a loro. Giocava come pilone nella nazionale juniores di rugby, e chiunque osasse dirmi qualcosa di ostile partiva in quarta come un toro alla vista di un drappo rosso. Una volta mi incazzai: "Basta, quelli mingherlini devi lasciarli a me. Da quando ti conosco non sono più riuscito a fare a botte con nessuno!" 

Così sono arrivato a 56 anni disabituato a questo eterno passatempo maschile. Però una cosa la ricordo ancora: si fa una fatica del diavolo, a fare a botte. Da bambini ci si prendeva delle pause per respirare, introdotte dalla formula "alimo" (contrazione di alimortis), e poi si riprendeva ad azzuffarsi. Nel pugilato hanno inventato i round che hanno la stessa funzione, nessun altro sport è altrettanto dispendioso; e infatti l'allenamento dei pugili comprende il salto della corda, solo in epoca recente si è iniziato a sollevare pesi. Il fiato conta nelle scazzottate molto più dei muscoli.

Ho fatto un lungo preambolo per dire che tra tutti coloro che hanno commentato l'omicidio del povero Alika Ogorchukwu, pochi devono avere mai fatto a botte. Ma l'avete visto il video? 

L'aggressore conosce le tecniche di combattimento, lo si vede dal modo in cui sale sopra alla vittima; è ciò che nelle MMA chiamano monta alta, qui eseguita alla perfezione. E poi quattro minuti di lotta a terra, per una persona non allenata sono un'eternità, dopo dieci secondi un cinquantenne è già in apnea. Perciò le risse sono appannaggio dei giovani. E l'omicidio di Civitanova non era una rissa, in cui bisogna essere perlomeno in due, più o meno consenzienti sul da farsi, ma un'esecuzione. Dai, smettiamola con la storia che bisognava intervenire!

Un intervento fisico, in questo caso e con questo scimmione inferocito, sarebbe stato un gesto di eroismo, che è quanto di più bello esista al mondo, non c'è musica, poema od opera artistica che lo eguagli. Eroismo da intendersi nella disposizione di chi metta la propria incolumità al di sotto di quella di un altro o di un'idea di mondo, com'era nell'Ottocento con i giovani che accorrevano ad arruolarsi per combattere per la patria; un concetto che ora, forse giustamente, ci appare fumoso. Ma come cantava Gianni Morandi: "uno su mille ce la fa", uno su mille è un eroe. No, l'eroismo non può essere preteso quale disposizione civile normale.

Se non fosse stato presente un giovane con attitudine e fisico paragonabili ai miei due angeli custodi, l'unica dissuasione avrebbe potuto essere verbale: dai, fermati, non vedi che l'ammazzi, come qualcuno gli ha gridato. Magari, meglio, lo si poteva fare assieme ad altri. Ma per intervenire in gruppo bisogna sentirsi gruppo, comunità. E siamo sicuri di esserlo ancora?

Certo, l'assenza dalla scena della fidanzata di Filippo Ferlazzo, l'assassino, è gravissima, una sua parola avrebbe potuto essere risolutrice. Ma insomma, se stai con un tipo del genere...  Imbarazzante infine è la presenza del video; un solo video a fronte delle numerose persone presenti, non facciamone dunque un comportamento di massa. 

Quel singolo video comunque contraddice le reazioni istintive alla violenza, che nel regno animale sono costituite dal dilemma fuga/attacco. Qui invece non si fugge, che sarebbe la reazione più umana, per quanto vile, ma nemmeno si attacca. Nessun animale al mondo possiede l'istinto dello spettatore, se non forse il condor, che però pregusta il suo banchetto.

Qual è dunque il banchetto che pregusta chi si ferma a filmare un omicidio con lo smartphone, forse i like su Facebook? È questa la domanda giusta da porsi, non perché nessuno sia intervenuto. "Siamo qui per fare, non per stare" scriveva lo scrittore Mario Pomilio. Ma fare un video è diverso da stare a guardare?

3 commenti:

  1. Probabilmente non sarei intervenuto, così come non ho mai fatto a botte ma ricordo con una sorta di invidia/ammirazione un nostro compagno di classe, alle medie, fino ad allora pacifico e sereno, che mollò un diretto incredibile al volto di un altro compagno solitamente sbruffone, provocatore e rompiballe, riducendolo all'immediato silenzio. Vogliamo parlare di dna? Boh.. Tornando a Civitanova..sì, è il filmare ad avermi lasciato basito.. come quelli che filmano la valanga che gli viene addosso.. forse un comportamento istintivo che esula da altri istinti, quali quelli di aiuto o conservazione.. resto nella confort zone..ma un video posso girarlo pure, a debita distanza però.

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    1. Ma tu considerati il girare un video un fare o uno stare? E' questa, secondo me, la forma aggiornata del dilemma di Pomilio che dovremmo porci.

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    2. Forse un fare "assicurato". Tanto per giustificare lo stare. Tipo fare ammuina.

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