domenica 3 luglio 2022

My mother and Joan, a true Italian story

Negli anni Sessanta, i poveri, guardavano la televisione a luci spente, per risparmiare sulla corrente elettrica. Lo scrive sulla sua pagina Facebook lo scrittore Fulvio Abbate. Mia made ancora lo fa, anche adesso che ci sono le lampadine led tiene la luce spenta mentre guarda l'annuire pensieroso di Gilletti; poco importa che del pensiero venga messa in scena solo la postura, a ricordare la finzione dei primi piani a Fabio Testi. Non pigia l’interruttore dell’abat-jour nemmeno leggendo sul tablet, e ben serrata a gennaio la valvola del termosifone in bagno; il sotto testo: tanto ci vado solamente per cagare, a che serve il riscaldamento?

Eppure non siamo mai stati una famiglia povera, direi piccolo borghese. La vera povertà mi sembra meno incline al risparmio, non avendo un oggetto su cui applicarsi – la parte maledetta la chiamerebbe George Bataille, che studiando alcune comunità amerinde illustra il rituale del potlatch. Tutto ciò che non è funzionale alla sopravvivenza biologica  mangiare, dormire, accoppiarsi  viene distrutto durante una cerimonia pubblica, per non generare discordia nell’accaparramento. Niente formiche, dunque, ma solo cicale. Il correlativo nostrano potremmo rintracciare in Ninetto Davoli: il suo spensierato disperato sorriso, così come restituito dalle pellicole di Pasolini. Quelli erano i veri poveri degli anni Sessanta, che non risparmiavano certo sulla bolletta. 

Ma oltre allo status sociale, il procedere del tempo rende manifesta una vocazione personale, secondo la folgorante intuizione di Eraclito (il destino è il carattere). Così, da qualche anno, mia madre ha iniziato a portare a casa le bustine di zucchero, le prende nel bar in cui va a bere il caffè tutte le mattine con la sua amica Giovanna; un trucco che le ha insegnato proprio lei, Giovanna. “Ma non è furto” ci tiene subito a precisare, “fino a tre bustine si può, me e l'ha detto Giovanna”, che in passato ha gestito una bocciofila poi trasformata in sala Bingo. Formiche in questo caso, non cicale.

Le immagino entrare al bar Meetic e ordinare il solito; il barista mette in macchina due caffè neri lunghi (tanto l'esubero di acqua non si paga) e prima di uscire, dopo aver saldato il conto, arrivederci e grazie, infilare le bustine nella borsa con gesto rapido e disinvolto. Tre bustine di zucchero a testa, da riversare più tardi nelle reciproche zuccheriere in ottone. Mia madre e Giovanna, che tipe.

Quando compie il travaso mia madre si guarda bene dal farsi vedere – e infatti non l'ho mai vista -, ma posso intuirne il bagliore nello sguardo da bambina che pensa di essere furba, più che esserlo davvero. Un lucore, shining, che si irradia dalla pupilla a rischiarare l'intero condominio, scende nel breve tratto di via Parolo fino all’incrocio con via Mazzini, supera il bar Meetic e si insinua nella piscina antistante, i giardinetti con le cacche dei cani, per poi lambire il meccanico Omar e i pochi negozi di prossimità sopravvissuti alle crociate di Amazon, a lumeggiare sull'intera Penisola.

L'Italia, sì. Che sotto questa nuova luce viene mostrata meglio di quanto potrebbero fare i carteggi di Mazzini, scritti al bagliore fioco di una candela tremolante. Con la differenza che Mazzini, le candele, doveva acquistarle in qualche mercatino londinese, mentre la luce che scaturisce dagli occhietti simil-furbi di mia madre e di Giovanna, è gratis.

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