mercoledì 3 agosto 2022

Un orologio subacqueo, o sul desiderio dell'altro

La scrittrice Rosella Postorino, in un intervento sui social di alcuni mesi fa, scriveva che per lei sarebbe inconcepibile avere una relazione con qualcuno che non legga ciò che scrive. 

Sembra un'affermazione perentoria e vagamente supponente, ma a ben vedere è profondamente umana, perfino disarmata nel mostrare la propria vulnerabilità. La pelle si fa più sottile e affiorano in superficie i nervi quando parla di ciò che fa e soprattutto desidera fare: scrivere.

Ripensando alle parole di quel testo, mi sembra di poter dire che nel mio caso (nel suo è fuori dubbio sia così, parlava a titolo personale) è vero solo in parte; una parte che difetta di un'immagine più ampia, come si dice inquadra la sommità emersa dell'iceberg. Sotto ci sta tutto il ghiacciolone.

È una considerazione a cui arrivo perché è quanto accaduto a me: ho realizzato, concretamente, che la relazione con la mia compagna era terminata nel momento in cui ha smesso di leggere ciò che andavo nel frattempo pubblicando. Fossi stato in lei, avrei smesso di leggermi molto prima...

Nello stesso periodo conversavamo al telefono durante il lockdown, lei mi raccontava dei problemi di uno dei suoi figli. Dopo pochi minuti, se non era il mio turno di parola, mi ritrovavo a pensare ad altro. Ad esempio a un orologio subacqueo che mi piacerebbe acquistare. Alla fine buttavo lì qualche consiglio di pigro buon senso (l'adolescenza, i videogiochi), ma senza nessuna partecipazione. Quindi richiamavo l'immagine dell'orologio che avevo salvato sullo smartphone.

Non c'era alcun motivo di diverbio, men che meno conflitto. Semplicemente, il nostro desiderio - non l'una nei confronti dell'altro e viceversa, ma in quella componente rivolta al mondo intero - aveva preso direzioni diverse. O forse era così fin da principio, e ne stavamo finalmente prendendo coscienza.

Il suo desiderio più intimo e tenace era di essere una madre, e l'aveva realizzato. Col suo ex marito hanno avuto due figli molto diversi tra loro, il più giovane e fragile era quello di cui mi parlava per telefono. Due ragazzi intelligenti e per bene. Ma non basta ancora, manca un aggettivo anche per la madre. Brava. Il desiderio era di essere una brava madre.

Quella che forse le è mancata morendo quando aveva sei anni, età in cui i genitori ti accompagnano in un grande magazzino e fanno scegliere astuccio, pennarelli e cartella per frequentare la prima elementare. Non nel suo caso. La madre era già allettata, la pelle sempre più trasparente e magre le braccia. Ma anche pochi i soldi, il paese straniero con un'idea un po' strampalata di comunismo. Così si decise di lasciare la più piccola della famiglia ad assistere al capezzale, non fu mandata a scuola: una minuscola badante che corre a portare un bicchiere d'acqua o l'orinatoio, scambiando il tutto per un gioco.

Succede qualcosa di simile nel film di Benigni "La vita è bella". Ma cosa avrà pensato quel bambino, dopo molti anni intendo? Me lo chiedo spesso. Forse a una specie di tradimento... Nel caso della donna a cui ho voluto e in fondo ancora voglio bene, non le fu rivelata la morte della madre nemmeno quando finì quella triste messa in scena. "Dorme, la mamma sta dormendo" le fu detto. "Ma perché dorme in soggiorno circondata da fiori e persone che piangono?"

Un tradimento a cui ribattere sottovoce, anzi senza voce proprio: non sarà così anche per i miei figli, ci sarò sempre per loro, piuttosto non mangio ma avranno cartella, astuccio e pennarelli. Andranno a scuola quando suona la campanella d'ingresso. Perché io desidero essere la brava mamma che non ho avuto!

Il mio desiderio si disperde invece in mille rivoli confusi - oggi mi piacciono gli orologi subacquei, domani chissà... - ma in qualche modo alla scrittura sempre ritorna. Nel suo stile oracolare e vagamente paraculo, Lacan suggerisce che dell'altro si "desidera il desiderio"; probabilmente intende qualcosa di simile a Dante, i versi sono quelli celebri in cui "amor ch'a nullo amato amor perdona". Il desiderio, in altre parole, consiste nell'essere desiderati da chi desideriamo, e da questa prima intuizione circolare Lacan ricava che "l'amore è sempre reciproco", dell'amato "si ama il nome", l'unicità in esso evocata.

Ma forse anche Lacan aveva ragione per difetto, e per l'ennesima volta dell'iceberg viene colta solo la punta. Infatti Postorino ci dice che non le basta essere desiderata, ma la persona che la desidera deve riconoscere il suo desiderio più grande, come il nome anche il desiderio la definisce (rendendola unica) per ciò che fa prima ancora di essere qualcosa. Una scrittrice.

Il nome, da amare, non corrisponderebbe dunque all'essenza, ma a una sorta di procedura, un esercizio del corpo che interagisce con un luogo e un tempo definiti, in cui il desiderio viene circoscritto e limitato nei suoi slanci. In ciò viene smentito Sartre, quando riprese un cameriere che così si presentò al tavolo di un bistrò: "Bonjour, je suis le serveur." "Non, vous n'êtes pas le serveur" rispose Sartre con tono sornione, "vous faites le serveur."

Eppure mi sembra di poter dire che nessuno di loro stia mentendo: Sartre, Lacan e Postorino, ognuno con un pezzetto di verità da ricomporre in puzzle. La professione di cameriere non rappresentava infatti il desiderio portante dell'uomo, ma verosimilmente uno degli innumerevoli compromessi con la vita a cui tutti siamo chiamati. Forse anche lui desiderava essere - e cioè fare - un padre, oppure uno scrittore, un ballerino di tango, un trapezista... Chi lo sa.

E comunque è questo fare l'autentico nome del cameriere di Sartre, non basta essere il proprio nome, da intendersi come la dimensione astratta, sognante, del desiderio, pena condanna alla frustrazione. O, peggio, si finisce nel ventre del pescecane, è quanto avviene al profeta Jonas, il quale aveva rifiutato l'appello all'azione che proviene da un desiderio che lui chiama Dio. O magari sono sinonimi: Dio, desiderio, chiamiamoli pure come ci pare. Una voce da un luogo indeterminato che ci incita all'azione, al contrario determinata.

Vai e predica a Ninive dice quella voce a Jonas, ma lui sfugge alla chiamata e si rifugia a Tarsis. No, Tarsis non è Ninive, non è quello il nome giusto. Postorino invece è più precisa: va' e diventa una scrittrice, e lei lo fa. Vai e diventa una brava mamma. Sono tutti nomi che assume il desiderio.

Il desiderio va dunque compiuto, "siamo qui per fare, non per stare" aggiunge lo scrittore Mario Pomilio. L'amore, come Jonas, però possiede anche un tratto profetico: riconosce la possibilità di un'azione ancora prima che si manifesti, ne fa da sprone ancora una volta nominandola.

"Amore, puoi farcela!" Frase magica che abbiamo sentito in decine di commedie sentimentali. Il cui sotto testo è vedo in te qualcosa che gli altri non scorgono, una luce reclama spazio. In quei film tutto fila per il verso giusto, e il desiderio finalmente albeggia grazie a un mentore, un alleato o un amante con l'occhio lungo. Nella vita reale meno, e invece che nel desiderio dell'altro, in cui trovare battesimo, finiamo col rispecchiarci in quella caricatura del desiderio che è la voglia: "una vogliuzza per il giorno, una per la notte: ferma restando la salute", secondo l'amara ironia dello Zarathustra di Nietzsche. Voglie a cui poi diamo i nomi più diversi: Giovanni, Maria, Carletto, Luisa...

Io non ho saputo, o forse voluto, desiderare il desiderio di una bambina di diventare una brava mamma, o meglio di fare al meglio l'insieme dei gesti materni per essere il suo vero nome. Probabilmente perché mi sento ancora troppo figlio e non padre. E lei giustamente ha smesso di leggermi, di desiderare il mio desiderio. Finirà che davvero mi prenderò quell'orologio subacqueo.

2 commenti:

  1. Mia moglie non legge il blog e non comprende spesso le mie poesie, ma l'amo di un altro amore, per cui ci può stare.
    Non tifa neanche Milan, e questo sarebbe ancora più grave.

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    1. Beh, si può anche cambiare squadra. Io prima tifavo Inter e ora sono per il Livorno. Non so nemmeno in che serie sia, ma è sempre un piacere sentire la curva intonare Bella ciao, quando i giocatori entrano in campo

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