giovedì 14 luglio 2022

Premio Strega 2022. Così lontano, così vicino


“Nous fermons, je suis désolé.” Provano a insistere, altri due, solo due baby di whisky e poi andiamo, ma il cameriere è irremovibile. Ernest e Francis escono allora dal bistrot e si avviano lentamente per una stradina leggermente in discesa, senza parlare.

Le molte consumazioni ancora in corpo, la luce gialla dei lampioni di Parigi che si accompagna a un leggero inconfondibile puzzo di urina; proviene dai muri scrostati su cui pisciano i cani, o forse uno dei due se l'è fatta sulle scarpe. “Do you want a cigarette?” chiede Ernest accendendosene una, e poi si rigira tra le mani il pacchetto di una marca francese. Bello pensa, such a beautiful pack, ma il tabacco della Virginia...

Sul marciapiedi opposto sopraggiunge un uomo che cammina a piccoli passi svelti. Ernest dice a Francis: "Look!" Traversa la strada barcollando, sferra un pugno sul volto dell'uomo, e ritorna accanto all'amico: "Did you see?" "Yes" risponde Francis mentre l'altro scappa tenendosi il naso sanguinante, "but why did you do that?" "Perché era una fottuta checca."

È da quando è stato assegnato il Premio Strega a Mario Desiati per Spatriati (Einaudi, 2021) che ripenso all’episodio. I protagonisti sono Hemingway, Fitzgerald e un povero Cristo che passava di lì per caso. Si è preso il pugno dello scrittore  "sono più orgoglioso del mio gancio destro che di tutto quello che ho scritto", amava dire  ed è tutto quel che sappiamo di lui; nemmeno possiamo essere certi che davvero fosse omosessuale, forse ne aveva solo l'aspetto. Ma quale aspetto?

Attualizzando la scena, potremmo figurarcelo con caratteri estrinseci che ricordano lo stesso Desiati, nel momento esatto in cui sale sul palco a ritirare il prestigioso premio letterario: la pochette arcobaleno che spunta dal taschino, kajal e brillantini dorati spalmati sulle palpebre, un collarino fetish sovrasta la camicia bianca di seta, naturalmente senza colletto. Una libertà di porsi che mancava alla bohème parigina di Hemingway e Fitzgerald, su questo non c’è dubbio. E quel gesto odioso merita la più decisa riprovazione.

Sarebbe stato bello se l’episodio, anziché essere avvenuto realmente, fosse stato nelle pagine di uno dei due grandi autori americani, per mostrare ("show, don't tell") l’omofobia diffusa nel periodo, a tradire una disposizione inconscia di segno opposto. O perlomeno è quanto si sussurra di Hemingway, ma siamo nel regime del pettegolezzo postumo. Piuttosto, come collocare il travestimento di Desiati nel presente?

Certo, ancora adesso ci sono persone che scontano discriminazioni (o peggio) per le proprie scelte sessuali, o anche solo per la narrazione di sé che offrono al mondo, definita attraverso il concetto sempre più liquido di genere. Ma mi sembra che la tendenza sia quella a un’inclusione onnivora, e se una norma viene ancora affermata è perché al fondo difetta, se ne reclama in un certo senso il fantasma. Nei fatti ognuno – e sant’Iddio – fa giustamente il cavolo che gli pare.

Mi si potrà obiettare che il libro di Desiati, che non ho letto, trattava quei temi, e l’abbigliamento dell’autore aveva funzione di rafforzarne il messaggio per analogia. Va bene, non è una critica letteraria che gli muovo, e in fondo neppure una critica tout court. Ma l’effetto ottenuto è quantomeno equivoco, se non forse rivelatore di una certa idea di letteratura che si sta affermando.

Dilaga ancora il Covid, nuove guerre infiammano il pianeta – a sua volta già infiammato dal riscaldamento globale –, aumentano i poveri e diminuisce l'offerta di lavoro, e al Premio Strega che si fa? Si infila il laptop in uno zainetto e poi si va Ucraina, come fece Hemingway con tutte le guerre che ha incrociato? No, si celebra la vittoria di una battaglia già vinta, si corre come da consuetudine italica in soccorso dei vincitori.

Sono infatti segni quelli intenzionalmente esibiti da Desiati – di tolleranza, addomesticamento della diversità, festosa celebrazione del desiderio in ogni sua legittima forma – che prendono però l'abito del cliché, a fare della virtù un santino progressista. Che è esattamente quanto non dovrebbe fare la letteratura: guardare le cose frontalmente, ma per slittamenti laterali in cui la dimensione etica si precisa nelle sue ambivalenze, secondo un paradosso che la distingue da ciò che letteratura non è.

Poi il libro magari è bellissimo, ripeto, ma si avverte una sorta di fuori sincrono. Il paratesto che in questo caso ha oscurato l’opera vincente (vincente in tutti i sensi) a me ricorda Enrico Ghezzi a Fuori orario: le labbra si muovono ma la voce sta da un’altra parte. Un buon correlativo del Premio Strega 2022, così vicino al mondo com'è. Ma così lontano da una rappresentazione che ci aiuti a comprenderlo.

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