Sì, è
kitsch. La bellissima fotografia realizzata da Annie Leibovitz ai coniugi
Zelensky e pubblicata sulla copertina di Vogue, è fuori dubbio kitsch.
Ne L'insostenibile leggerezza dell'essere Milan Kundera offre un'icastica
rappresentazione del kitsch come "negazione della merda", a fare da
correlativo oggettivo a ciò che lo scrittore ceco definisce, molto più
astrattamente, "adesione categorica all'essere in quanto tale".
La merda
dunque, e cioè il lato negativo, vischioso o con maggior precisione lo scarto
maleodorante rispetto all'immagine del mondo che il desiderio realizza, può
essere elusa in diversi modi. Le macrocategorie più tipiche sono due: la
dimensione pubblica e quella privata, sentimentale.
In uno
scenario in cui la merda invade l'Ucraina attraverso una guerra che si prevede
ancora lunga e drammatica, Olena e Volodymyr Zelensky restituiscono un
quadretto intimo e affettuoso, che ad alcuni è apparso fuori
luogo. Sensazione che certo deriva dallo stridore – un ossimoro – con il
contesto entro cui quell'idillio è calato.
Io però
difendo e apprezzo l'immagine controversa: la confusione tra arti e mani che non sai
più a chi appartengano, la dolente intensità degli sguardi, i toni plumbei perforati dalla luce irradiata dai
volti; sembrano fondersi nell'equilibrio geometrico di una Madonna con
bambino, quella di Giovanni Battista Salvi ad esempio. Tutto ciò mi piace come
mi piacciono le canzoni di Umberto Tozzi, in cui le donne stirano e poi si
fanno un po' prendere in giro e poi fanno l'amore, senza alcuna soluzione di
continuità ma soprattutto traccia di merda.
Mi
ricordano, le canzoni di Umberto Tozzi quanto i coniugi Zelensky, l'idea di
illusione così come ci viene tramandata da Leopardi: qualcosa di cui
riconosciamo la fallacia ma allo stesso tempo non possiamo farne a meno, già
che proprio in quella fallacia si cela la possibilità di un provvisorio
riscatto. Il qui e ora, proiettandosi in un altrove cronologicamente
indeterminato, trova così immaginario sollievo, e naufragar ci è dolce in
questo mare.
Ma esiste
anche l'altro volto del kitsch, che nello stesso romanzo Kundera chiama kitsch politico. Si configura sempre
come adesione categorica all'essere in quanto tale, rifiuto della merda, ma
l'orizzonte di negazione proviene dagli abiti paludati su cui risplendono le
mostrine dei generali, i carri armati sfilano per il corso principale mentre
bambini biondi sventolano bandierine colorate, discorsi altisonanti dei leader
politici in cui al pronome io viene sempre sostituito il noi, noi faremo, noi
saremo, noi non ci lasceremo intimidire... E poi i rappresentanti di un qualche
dio in terra che obliterano quei discorsi con sigillo divino, ne fanno
profezia.
Credo che
tutti abbiano riconosciuto l'immagine di Vladimir Putin. Una fotografia mai
scattata da Annie Leibovitz, ma ugualmente emerge e si affianca con forza alla
prima, costituendo non tanto due facce delle medesima medaglia ma un dilemma
con cui confrontarci per arrivare a una scelta. Essere occidentali, aderire a
questa idea di mondo corrisponde infatti ad accogliere un'ipoteca giuridica e
morale – i diritti delle minoranze, la democrazia, le libertà individuali tra
cui quella fondamentale di espressione – quanto estetica. L'estetica del
kitsch, appunto.
Ma è il
kitsch sentimentale, domestico, zuccheroso, a fare dell'Occidente ciò che è. Lo vediamo dispiegarsi cordiale nei film di Frank Capra, camminare oscillando di lato in quelli di Chaplin, oppure farsi pedagogia con i cartoon di Disney. Con esiti qualitativi non paragonabili, è sufficiente accendere il televisore durante il Festival di Sanremo. Una bugia
confortevole, almeno fino a quando non ti vengono dei dubbi sulla sua natura...
Si oppone al kitsch scultoreo e muscolare di Putin che cavalca a torso nudo,
sconfigge l'avversario in un incontro (truccato) di judo, invade territori
stranieri con la benedizione del patriarca Kirill.
Io ho fatto la mia scelta e sono per
la dolce menzogna di Volodymyr Zelensky che avvolge affettuosamente la moglie,
e come per magia la merda sembra scomparire dall'Ucraina. Ricorda una
pubblicità degli anni Ottanta, in cui la signora Luisa arriva presto, finisce
presto e di solito non pulisce il water.
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