lunedì 22 luglio 2024

Morire è come staccare una figurina

 

A volte ho l'impressione che morire sia come staccare una figurina dall'albo su cui era stata precedentemente incollata. Non so se qualcuno ci abbia mai provato, è difficilissimo! Ieri sera ho visto per la prima volta Il castello errante di Howl. Lo spirito della protagonista, Sophie, transita tra i vari involucri fisici che di norma si succedono in una vita – bambina, adolescente, giovane donna, matura, anziana, vecchia – qui scombinati rispetto all'ordine cronologico consueto. Penso a come sarebbe stata l'estate del 1982 con il mio corpo attuale. Avevo allora sedici anni e trovato lavoro come aiuto bagnino sulla spiaggia di Lacona, Isola d'Elba. Quando Altobelli segnò il terzo gol, nella finale dei campionati mondiali di Spagna, mi infilai nella Cinquecento color pomodoro di un certo Stefano, lui guidava e io stavo seduto sul tetto a sventolare la bandiera italiana, le gambe a penzoloni dentro il foro del tettuccio. Stefano intanto suonava il clacson, ammesso che così possa essere chiamato il vagito della sua Cinquecento, non il suono pieno che proveniva dalle altre automobili che incrociavamo diretti a Porto Ferraio, al primo spiazzo si raggrumavano in chiassosi vortici attorno a un nulla tangibile, lo stesso movimento che fa il torero prima di conficcare l'estoque tra le scapole dell'animale stremato, io sempre a sventolare il tricolore. Continuo a pensare al corpo che mi fa ora da inattendibile specchio, quasi un intruso (smagrito, pallido, i capelli diradati), con in mano quella bandiera, e dietro si profila la copia in scala diminuita appartenente al Circo Americano. Mio nonno mi ci aveva portato nella primavera del primo anno di scuola, quando puntuali arrivano le giostre insieme alle rondini; i cartelloni sgargianti del circo, a coprire il volto di politici democristiani col broncio, comparivano invece senza preavviso, alternandosi nell'estrema provincia settentrionale con grandi cetacei imbalsamati, acrobazie nella guida di motrici di autorimorchi, ma niente foto con il leoncino in braccio aveva sentenziato il nonno, si prendono i pidocchi; un cinquantottenne che sventola la bandierina in plastica del Circo Americano, che strana sensazione... Morire è come staccare una figurina dall'albo dei calciatori. Tutte le notti lo apro e mi ritrovo: giovane, forte, abbronzato. Anche bello, sì. A furia di stare in spiaggia ed entrare in acqua per noleggiare i pedalò, mi venne un ciuffo biondo che possedeva qualcosa di artificioso, sembravano i colpi di sole sulla folta chioma di John Taylor, il bassista dei Duran Duran. Avrei potuto capitalizzare il nuovo aspetto con le ragazze, ne osservavo i capezzoli con un desiderio misto a timore, la moda del topless aveva reso manifesto ciò che fino a poco prima era consegnato all'immaginazione, oppure ricavato dai film con Anna Maria Rizzoli e dai fumetti di Lando. La parte superiore del bikini pendeva inerme dalle stecche dell'ombrellone, non veniva occultata nella borsa da spiaggia assieme alla Settimana Enigmistica, un pacchetto di Muratti Ambassador, i tamburelli e la crema solare, il walkman azzurro della Sony aveva preso il posto delle biglie con l'effige dei ciclisti, poi alla ragazza veniva voglia di un Calippo e il costume era già lì, pronto per essere indossato. Chissà perché, all'interno del bar dell'Hotel Lacona (ma in fondo qualsiasi altro interno non faceva differenza), i capezzoli continuavano a essere dei minacciosi pungiglioni pronti a iniettare il loro veleno, mentre sulla battigia diventavano biberon. Collegavano il fuori col dentro le note delle canzoni che si irradiavano dal juke-box, Celeste Nostalgia, Just an Illusion, Tanz bambolina, Bravi Ragazzi, ma erano queste eccezioni rispetto ad Eye in the Sky, la vera colonna sonora dell'estate. Le sue basi elettroniche carezzavano la parata di bottiglie dei liquori, scavallavano il frigorifero dei gelati con la scritta Eldorado, uscivano dai due ingressi spalancati per monopolizzare lo spazio sonoro mescolandosi alla risacca del mare, dove si spegnevano provvisoriamente fino a quando un nuovo turista non infilava cinquanta lire: clic, il 45 giri viene agguantato delicatamente dal braccio meccanico per essere posato sul piatto, I'm the eye in the sky, looking at you, I can read your mind, I'm the maker of rules, dealing with fools, I can cheat you blind, and I Don't need to see anymore to know that I can read your mind, I can read your mind, I can read your mind... Non so se fu per via della frezza bionda, ma alla fine anche io limonai con una mia coetanea tedesca; più che i suoi capezzoli puntati su di me come l'indice dello zio Sam (I want you!), fu il piacere maschile di poterlo raccontare al rientro a Sondrio: Allora come sono le tedesche? mi avrebbero chiesto gli amici di fronte ai videogiochi del Bar Paninoteca Number One, a cui io avrei replicato con un'alzata di spalle molto blasé, tacendo sul fatto che la prima volta che due lingue si toccano scorre una corrente elettrica micidiale, simile a quella degli esperimenti con gli arti guizzanti delle rane. Morire è come staccare una figurina. Ma, cantava Caterina Caselli, si deve morire, almeno un po', per poter vivere.

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