martedì 23 luglio 2024

Il Genovese

 

Lo chiamavano il Genovese per la stessa ragione per cui il Venezia viene chiamato il Venezia. Con i forestieri, da queste parti, la fantasia nell’assegnare i soprannomi è ai minimi termini. Prima di conoscerlo ne avevo sentito parlare: C’è un tizio di Genova che dorme tra i cespugli ai giardinetti, mi era stato detto al Bar Corona. Poi dei giovani erano venuti a molestarlo e aveva cambiato posto, ma questo l’ho saputo in seguito direttamente da lui.

Dietro al monumento ai caduti della Prima guerra mondiale, in piazzale Valgoi, aveva scovato una nicchia, con qualche cartone riusciva a farci anche l’inverno. Qualcuno aveva cercato di aiutarlo a trovare una sistemazione, io stesso l’avevo accompagnato da un avvocato che assiste gratuitamente le persone in difficoltà, ma si era presentato al colloquio completamente ubriaco. Non voleva andare a dormire dal parroco, diceva. Ma ci sono i letti, i materassi, il riscaldamento, insistevamo entrambi. No, dal parroco non ci vado… Ci stanno i negri.

Così non se ne era fatto nulla, era difficile fare qualcosa per lui, c'erano anche dei precedenti con una diffida a risiedere a Sondrio – roba da poco, aveva rubato dei farmaci durante un ricovero in ospedale. Soffriva di problemi cardiaci, un giorno ha avuto una crisi in un locale pubblico e l’hanno fatto uscire, temevano che gli morisse lì. Mia madre, vedendolo sdraiato su una panchina, gli si era avvicinata: Tutto bene? No. Può chiamare un’ambulanza, signora.

All’inizio mi piaceva parlarci assieme, avevo intuito che non sempre era sincero – raccontava di avere avuto tre bar a Chiavari, dieci dipendenti, una moglie, due figli – ma amavo la sua cadenza ligure, l’incrollabile fiducia dei giocatori d’azzardo che prima o poi sarebbero usciti i numeri vincenti. Non era nemmeno il fatto che mi chiedesse ogni volta dei soldi, ma il modo ingenuamente furbo come lo faceva. Così ero diventato un po’ sbrigativo: alla panzana che mi avrebbe raccontato, avevo già bella e pronta una panzana di segno uguale e contrario.

Negli ultimi tempi una donna l’aveva preso a vivere a casa propria, una donna più vecchia, sapevo solamente questo e che già era in pensione, lui aveva un anno più di me. Quando ne parlava coglievo un residuo di sincerità, non gli ho mai sentito dire la mia fidanzata. C’è questa donna, diceva, ci si dà una mano a vicenda.

Chissà perché, mi aveva fatto tornare alla mente l’ultima intervista concessa da Enzo Jannacci. Rispondendo a una domanda politica, il cantante, nel suo solito modo un po’ balbettante, aveva detto di non sapere più come collocarsi nell’arco parlamentare, ma che avrebbe voluto riuscire a essere come suo padre, mio padre aveva a cuore i poveri cristi – i poveri cristi, ha usato proprio queste parole.

Il Genovese alla fine era solo un povero cristo, forse anche la proprietaria di casa lo era, poveri cristi che si danno una mano a vicenda, non avrebbe potuto trovare un modo migliore per dirlo. È durata poco, dopo un anno era già morto. Continuava a bere, mi ha rivelato un altro povero cristo che frequenta il Bar Corona, i medici gli avevano detto di smettere ma lui, insomma, sai come era fatto... e ha mimato il gesto della mano che si porta il bicchiere alla bocca.

Tu sei andato al suo funerale? mi ha chiesto dopo un momento di contrizione un po’ teatrale. No, non lo sapevo, ho risposto. Nemmeno io, ha detto lui. Me la offri una Ceres?

2 commenti:

  1. gli ubriachi e gli scrittori qualche panzana la devono raccontare.
    (bello, bello, questo pezzo)
    massimolegnani

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