All’angolo del condominio in puro stile anni Settanta accanto al mio, da un paio di anni hanno aperto un negozio di parrucchiere. È gestito da una donna cinese sulla cinquantina, naturalmente non è molto alta e ha i capelli lisci e neri e gli occhi a mandorla; a differenza della letteratura, la natura non disdegna gli stereotipi. Il suo nome è Anna, o così almeno si fa chiamare, un’altra pratica diffusa tra i cinesi, come se noi trasferendoci in Svezia e ci facessimo chiamare Björn.
Mia madre va sempre da Anna a farsi fare i capelli, le
ha portato anche molte amiche ("Si spende poco" è l'argomento
definitivo con cui le convince), e la sua gratitudine si è trasformata nel
tempo in un rapporto di confidenza e simpatia, in seguito esteso a me per via
dei cani – entrambi possediamo dei cani, non è vero dunque che i cinesi
mangiano i cani, non sempre almeno, giocano assieme ai giardinetti. L’ho
incontrata lì anche oggi, ai giardinetti di fronte alla piscina con il suo
cane, un incrocio tra un bassotto e un terrier: il corpo oblungo e il pelo
ispido, si ostina a pettinarlo come fa con le clienti. Abbassando il tono
della voce mi ha domandato: “Sai chi essele uomo di cinquantatle anni molto
ieli?" Io non ne sapevo nulla e ho fatto spallucce. Lei ha aggiunto: "Abitava in mio condominio.”
Più tardi, parlando con mio padre, ho scoperto che si trattava una persona che conoscevo, come quasi sempre accade nelle piccole vie dei piccoli centri. Non un amico, per quanto ci si salutava all’uscita dall’alimentari chiuso all'arrivo del nuovo supermercato; prima ciao – da ragazzi – e una volta cresciuti si è trasformato in un più sussiegoso buongiorno, con i Sofficini Findus da correre a mettere in freezer. “Io volele mandale fioli alla familia”, ha ripreso Anna quando sono sceso per comunicarle l’identità della vittima, si tratta di un incidente di montagna. “Tu non mandale fioli?”
Una domanda che mi ha preso alla sprovvista – dei
fiori…? Boh, da noi non si usa, ho pensato, mandare fiori a persone solamente
intraviste nell'arco di mezzo secolo, un campo visivo in cui occupavano la
periferia. In Cina evidentemente la pensano in modo diverso. Non importa se non
conosci la mano che li afferrerà, le narici in cui penetrerà il profumo del
crisantemo così simile alla camomilla, ma più agrumato. Il fatto di abitare
entro le stesse mura perimetrali lo prevede, forse perfino impone, rappresentando
il primo nucleo di quell'edificio esteso che si chiama confucianesimo.
Quando sento paventare l’invasione cinese, d’ora in
poi mi verranno in mente i fiori di Anna – certo, c’è anche l’invasione del
Tibet e altre beghe poco edificanti, ma le comunità umane esistono fin tanto che qualcuno ti
riconosce come parte di un tutto, a cui si cerca di dare forma di giardino.
Cantava Sergio Endrigo, su testo di Gianni Rodari, che “per fare un tavolo ci
vuole il legno, per fare il legno ci vuole l'albero, per fare l'albero ci vuole
il seme, per fare il seme ci vuole il frutto, per fare il frutto ci vuole il
fiore…”
Nel mio orizzonte psichico i fiori sono però destinati a un numero limitato di persone, non arrivano a coprire le dita di due mani. Il resto è convivenza, perlopiù subita, non comunità. E cioè terra arsa da concedere volentieri ad altri perché la possano bonificare, pazienza se non sanno pronunciare la erre di ramarro. Per fare tutto, sì, ci vuole un fiore.
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