giovedì 11 maggio 2023

Piangio, o sulla religione come splatter dei popoli


Esiste un rapporto analogico tra vita e verticalità: i morti giacciono, eternamente; i vivi si alzano malvolentieri la mattina, fanno pipì, se sono maschi, con parabola discendente e non sempre dentro la tazza; quindi ciabattano verso un’intera giornata in posizione eretta, e ciò da quando all’Homo sapiens è venuta questa strana idea di sollevare il busto che ha fatto lo fortuna degli osteopati.


Ma l’orizzontalità, oltre alla morte, è funzionale al sonno e all’amore, e per un bambino la differenza non deve essere tanto chiara. D’altronde nei film l’amante può essere sdraiato sotto al letto o, per opposta disposizione nello spazio, spremersi nell'armadio seguendo il verso delle pareti, così come la protagonista femminile di una memorabile canzone di Enzo Jannacci l’amore lo faceva in piedi, anzi, in pè, al Carcano.

Un’ambiguità che ritroviamo nei polizieschi: quando viene inquadrata una persona riversa a terra, il detective si inginocchia e gli palpa il collo per verificare se sia presente una pulsazione vitale. Poi guarda il suo vice, senza parlare, e noi capiamo tutto.

Ci sono inoltre i cavalli che dormono sulle zampe e gli zombie che riescono a fare ancora meglio. Il più famoso tra gli zombie è certamente Gesù, che per quanto non lo sia tecnicamente – non va in giro a combinare casino tra le piantagioni di Haiti – ci viene presentato con geometrico e verticale puntiglio: alto, basso, mano destra, mano sinistra.

Non ci è dato sapere se sia morto o poco ci manchi, ma la sua fine sulla croce (che sorregge il corpo e inganna lo sguardo come fanno gli spaventapasseri con i corvi) è nota da principio; è per così dire un flash forward.

Eppure quell’immagine di ritta mortualità non ci commuove, a differenza di quando osserviamo il Cristo delle deposizioni: i muscoli sono rilassati e il viso finalmente disteso, così umano nel non esserlo più; altre volte viene riprodotto in cera e adagiato all’interno di teche di vetro, a inaugurare il fortunato genere dello splatter.

La prima volta che incrociai il figlio di Dio a questo modo credo avessi quattro anni; fino a quel momento mi ero fermato a osservare qualcosa dietro a un vetro solo se si trattava di un castello di Lego, o l'iguana nella vetrina di un altro negozio, dove c'erano anche gatti siamesi e canarini gialli in quantità. Tutto il resto non mi interessava. Così mi feci più vicino al cappotto a scacchi di mia madre, e le chiesi di chi si trattasse.

“È Gesù, cucciolo mio” rispose lei.

“Gesù, quello del presepe?”

“Sì, lui. Ma da grande.”

“E da grande continua a dormire in una mangiatoia?”

“No, è morto.”

“…”

“Ma poi risorge.”

"E dove va?"

"Dal suo papà."

“Non ce l’ha una mamma?”

“Sì, è la Madonna. Adesso arriva.”

“E non ci resta male se lo trova così?”

“No, è abituata.”

“Io no però.”

Mia madre mi diede una carezza sulla testa, lisciandomi i capelli tagliati come Marlon Brando nel ruolo di Marco Antonio.

“Cosa faccio adesso...?”

“Decidi tu.”

“Allora piangio.” 

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