venerdì 19 maggio 2023

Helmut Berger, o sulla verità come gesto (non sempre virtuoso)

Il rispetto è la virtù dei giusti, l'ipocrisia il vizio dei benpensanti. Tra le varie forme di rispetto c'è quella riservata all'ultimo congedo, dove a essere rispettata, in morte, dovrebbe essere l'immagine che in vita ciascuno ha voluto dare di sé.

Un'ideale carta di identità costituita dai gesti, che nella lingua ebraica fanno tutt'uno con la verità: émet, da cui l'amen pronunciato al termine della preghiera. Ma a differenza della nostra idea di verità, per gli ebrei è qualcosa che si fa, si produce nei comportamenti e nelle scelte quotidiane, non che sonnecchia quale immutabile essenza.

Se vogliamo dare per un momento credito a questa diversa sensibilità, ognuno diviene titolare di regia e sceneggiatura del proprio film; solo il montaggio viene appaltato a uno sguardo esterno, già che come suggeriva Pasolini può essere realizzato solo dopo il ciak finale, nella memoria selettiva di chi ci sopravvive.

Ricordare Helmut Berger, morto ieri a Salisburgo a settantotto anni, con le sue numerose intemperanze non è dunque irriguardoso, ma combina in approssimativa sintesi ciò che ha voluto fare della propria vita, rispettando scelte spesso estreme. Se ne volessimo restituire un santino piccolo borghese saremmo dei sepolcri imbiancati.

Vernice postuma che trovo riversata a litri tra i commenti a un post su Facebook dell'amico Fulvio Abbate, il quale rammenta una serata romana – era forse il 1988, aggiunge – in compagnia del celebre protagonista di Ludwig: “lo ricordo ancora mentre, camminando, piscia sulle maniglie delle auto parcheggiate sul lungotevere davanti all'Ara Pacis.“

Non ho difficoltà a visualizzare la scena, in cui stona l'unico dettaglio di uno strumento di minzione di dimensioni solamente normali, quando in lui tutto doveva essere eccessivo, over size. Più tardi e in anni relativamente recenti rimediò a questo suo "limite", facendosi confezionare dalla chirurgia estetica un uccellone enorme, con cui ora avrebbe potuto pisciare anche sulle maniglie dei camion.

Questo era Helmut Berger, ciò che ha fatto della propria vita e noi ci limitiamo a rispettare: riconoscendolo. Quanto al versante occidentale della verità che coincide con l’essenza, era un essere umano come tutti, di cui gli eccessi facevano probabilmente specchio alle fragilità. E comunque rispetto è anche arrestarsi alla soglia dell'intimo, non offrendo facili risposte sulle ragioni dei comportamenti, qualsiasi essi siano.

Ci sono infatti infinite ragioni – perlopiù alcoliche – per pisciare sulla maniglia di un’auto in sosta. Tutte condannabili, sia chiaro. Ma tutte vere. Perché rivelano ciò che abbiamo fatto, o, più spesso, disfatto con il nostro vivere. Quando anche la vita più sgangherata che si conclude trasmette una struggente enigmatica bellezza. E amen.

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