Il rispetto è la virtù dei giusti, l'ipocrisia il vizio dei benpensanti. Tra le varie forme di rispetto c'è quella riservata all'ultimo congedo, dove a essere rispettata, in morte, dovrebbe essere l'immagine che in vita ciascuno ha voluto dare di sé.
Un'ideale carta di identità costituita dai gesti, che nella lingua ebraica fanno tutt'uno con la verità: émet, da cui l'amen pronunciato al termine della preghiera. Ma a differenza della nostra idea di verità, per gli ebrei è qualcosa che si fa, si produce nei comportamenti e nelle scelte quotidiane, non che sonnecchia quale immutabile essenza.
Se vogliamo dare per un momento credito a questa
diversa sensibilità, ognuno diviene titolare di regia e sceneggiatura del
proprio film; solo il montaggio viene appaltato a uno sguardo esterno, già che
come suggeriva Pasolini può essere realizzato solo dopo il ciak finale, nella
memoria selettiva di chi ci sopravvive.
Ricordare Helmut Berger, morto ieri a Salisburgo a settantotto anni, con le sue numerose intemperanze non è dunque irriguardoso, ma combina in approssimativa sintesi ciò che ha voluto fare della propria vita, rispettando scelte spesso
estreme. Se ne volessimo restituire un santino piccolo borghese saremmo dei
sepolcri imbiancati.
Vernice postuma che trovo riversata a litri tra i
commenti a un post su Facebook dell'amico Fulvio Abbate, il quale rammenta una
serata romana – era forse il 1988, aggiunge – in compagnia del celebre protagonista
di Ludwig: “lo ricordo ancora mentre, camminando, piscia sulle maniglie delle
auto parcheggiate sul lungotevere davanti all'Ara Pacis.“
Non ho difficoltà a visualizzare la scena, in cui
stona l'unico dettaglio di uno strumento di minzione di dimensioni solamente
normali, quando in lui tutto doveva essere eccessivo, over size. Più tardi e in
anni relativamente recenti rimediò a questo suo "limite", facendosi
confezionare dalla chirurgia estetica un uccellone enorme, con
cui ora avrebbe potuto pisciare anche sulle maniglie dei camion.
Questo era Helmut Berger, ciò che ha fatto della
propria vita e noi ci limitiamo a rispettare: riconoscendolo. Quanto al versante
occidentale della verità che coincide con l’essenza, era un essere umano come
tutti, di cui gli eccessi facevano probabilmente specchio alle fragilità. E
comunque rispetto è anche arrestarsi alla soglia dell'intimo, non offrendo
facili risposte sulle ragioni dei comportamenti, qualsiasi essi siano.
Ci sono infatti infinite ragioni – perlopiù alcoliche
– per pisciare sulla maniglia di un’auto in sosta. Tutte condannabili, sia
chiaro. Ma tutte vere. Perché rivelano ciò che abbiamo fatto, o, più spesso,
disfatto con il nostro vivere. Quando anche la vita più sgangherata che si
conclude trasmette una struggente enigmatica bellezza. E amen.
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