In una celebre sequenza di L'homme qui aimait les
femmes, il protagonista, Charles Denner, pronuncia la seguente frase: “Le
gambe delle donne sono dei compassi che misurano il globo terrestre in tutte le
direzioni, donandogli il suo equilibrio e la sua armonia”.
Ci ripensavo ieri sera osservando l’ennesimo
intervento di Lucio Caracciolo; ospite in televisione faceva il punto sullo
squilibrio in cui è precipitato il mondo, la sua geometrica disarmonia. E mi
chiedevo: non è che tutto è cominciato quando le gambe delle donne hanno smesso
di misurare il globo, spostando le punte dei loro compassi dai marciapiedi, le
balere con consumazione inclusa, biciclette con il canotto basso e una mano
tesa a non far svolazzare la gonna, magari queste cose ci sono ancora ma
oscurate dalle bacheche di un social network? O forse sono stati i maschi a non
sbirciare più le gambe delle donne, concentrati come sono sul display del proprio
smartphone…
Sembra una boutade, e un po’ lo è, ma al fondo la
questione è seria. Il cibo, il sacrificio e soprattutto l’eros, da anni
immemori sono gli strumenti attraverso cui vengono allentati i conflitti
sociali, posseggono la funzione della valvola nella pentola a pressione: panem et
circenses –e nei circhi a cui allude il motto latino venivano scannati i
cristiani, gladiatori e bestie feroci si contendevano l'ultimo respiro. Se
ancora non bastava, eccole lì: le gambe delle donne da guardare ma non toccare.
Ogni tanto però anche sì, dai, se si sollevava la dogana del consenso.
Di quel mondo premoderno rimangono ora i cuochi
stellati. Ma basteranno, per salvarci dal caos cubista, agnelli da fare al forno
e guarnire con cavoletti alla Rouventelle (il termine
me lo sono inventato di sana pianta, non fingete di annuire), per fortuna non
più sacrificati a qualche dio che non c’è? Mentre le gambe delle donne, assieme
a quelle degli uomini d’Occidente, stanno sotto al tavolo in attesa della
prossima portata. Bada bene senza sfiorarsi in un malizioso piedino.
D’altronde, era stato anticipato in tempi non
sospetti. Di solito così cupo e lambiccato, con inattesa e amara ironia – per
una volta nella vita me lo immagino vestito con abiti di un colore diverso dal
nero – lo suggerisce Søren Kierkegaard: “La nave è in mano al cuoco di bordo. E
ciò che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta ma ciò che
mangeremo domani.”
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