lunedì 8 agosto 2022

Attila

Del mio compagno di banco alle elementari, del mio più grande amico morto in un incidente stradale a ventuno anni e mezzo, di quella formidabile testa di cazzo di Federico si vanno ormai appannando i ricordi - fu lui oppure io a dire ho scoperto un nuovo cantante, non male, ascolta, allungando il vinile di Born to Run di Bruce Springsteen, e chi si iscrisse per primo alla Sondrio Sportiva di minibasket...? 

Ma c'è anche qualcosa che avevo scordato e ora riaffiora in superficie, come un delfino per farsi fare le foto dai croceristi; un termine che ho sempre confuso con crocefissi, forse perché simile la condizione. Immaginaria polaroid dai colori sbiaditi che ho ritrovo ieri, stavo mangiando uno yogurt all'ananasso, non ananas, ananasso come diceva mio nonno, e forse per analogia sono stato sospinto indietro nel tempo. 1975, quarta elementare, scuole di via Vanoni a Sondrio.

La maestra Maccarone aveva deciso di mettere in scena il colloquio tra Attila e Leone Magno, così da unire l'utile (lo studio della storia) al dilettevole (fare un po' di caciara). Non è certo che l'incontro sia realmente avvenuto, e a maggiore ragione - ma ciò fa parte dell'aura mitica che ha reso celebre l'aneddoto - cosa si dissero nel caso. È un fatto che il temibile condottiero unno fece marcia indietro, e invece di saccheggiare Roma riprese a frollare la bistecca che teneva sotto al culo, al posto della sella per Othar. Dove passa Othar, un cavallo grigio di razza Tarpan, ricordavo nel mio monologo, non cresce più l'erba!

L'interprete principale era dunque lui, Attila, flagello di Dio, come imparammo più tardi con Diego Abatantuono che gli restituiva la voce da meridionale inurbato a Milano. I preti non suscitano grande interesse nei bambini, e in ogni caso, oltre a Leone Magno, erano presenti svariati personaggi di contorno, tanti quanti gli alunni della quarta effe per la soddisfazione di nonni e genitori nel vederli salire su un palchetto: Ecco, è lui, presto fai la fotografia! Delfini, appunto.

C'era però un problema. Sia io sia Federico volevamo fare, anzi essere Attila. Non ci fu verso che uno dei due mollasse, due muli proprio. Alla fine, la povera maestra Maccarone trovò l'escamotage di sdoppiare la recita: in una la parte di protagonista veniva affidata a me, nell'altra, identica, a Federico. Tutti gli altri interpretavano lo stesso ruolo in entrambe le messe in scena, tra cui spiccava uno spara balle seriale di nome Claudio, non si poteva trovare un migliore Leone Magno. Era l'unico ad avere imparato a memoria il copione, forse perché finalmente legittimato nel raccontare frottole.

Morale della favola? Non so se ce ne sia una. Di certo se Federico era una testa di cazzo, io non ero da meno. Due prime donnine coi fiocchi. Due miniature di tutti i vizi successivi, tra cui la vanità con cui consegnarci spensierati, il Tenax spalmato sulle tempie, alle discoteche degli anni Ottanta, le basi ritmiche percussive avrebbero preso il posto degli acuti dei Cugini di Campagna, come soldatini alla visita di leva noi avevamo già pronunciato il nostro signor sì! Mancava solo una divisa composta da felpe Stone Island e jeans Roy Roger's, a ricoprire un ego naturalmente taglia extra large.

Non è vero che muoiono sempre i migliori. Ma nemmeno sopravvivono, e io sono qui a dimostrarlo.

Nessun commento:

Posta un commento