lunedì 22 agosto 2022

Tutti al mare


Da più di dieci anni non vado al mare. Da più di dieci anni non ho un lavoro. Sono troppo vecchio per trovarne uno, così non ho i soldi per andare al mare. Tutto torna.

Per sapere ciò che accade al mare devo trasferirmi su quel suo surrogato che sono i social network. Belle ragazze distese sulla battigia, uomini abbronzati con petto in fuori e pancia in dentro; mi ricordano Walter Chiari, a cui però la posa veniva meglio e senza alcuno sforzo. E poi tanti figli, amici dei figli, fidanzate dei figli e cagnetti che fanno il bagno. Sono filmati dai proprietari con un orgoglio gongolante superiore, perfino, a quello riservato ai figli, alle fidanzate dei figli ecc.

Tra le tante cose che scopro del mare che a me viene negato come un ostracismo – non soddisfa i requisiti, ripassi l'anno prossimo con un certificato di sana e robusta integrazione – mi ha colpito una notizia che ho letto su Facebook. Si sta affermando, leggo, l’abitudine di coprire anche le bambine con costumi a due pezzi; la parte sopra è imbottita per mimare il seno che ancora non hanno. I pediatri pare che avvallino l’usanza: proteggerebbe parti delicate del corpo femminile. Chi ne scrive, la scrittrice Francesca Piovesan, come me è sorpresa dalla cosa, quasi indignata: e che cavolo, “il corpo di una bambina è un corpo, non un giocattolo da adornare”.

Ho però imparato a frenare lo slancio nei confronti delle cose che mi appaiono troppo condivisibili, e, come i sofisti, provo a realizzare delle antilogie, ossia dei ragionamenti di segno contrario. Lo faccio per finta, d’accordo, però intanto lo faccio. Ad esempio mi sono chiesto, girando la domanda a Francesca Piovesan: dunque è normale, va tutto bene, considerare invece il corpo di una donna di venti, trenta o quarant’anni come un giocattolo da adornare? Una bambina no; una donna, di qualsiasi età, sì.

Prevengo l’obiezione: le tette di una donna sono vere, non finte come l’imbottitura con cui viene gonfiato il costume di una bambina. Una bambina ha un petto, non un seno. Ma insisto. Se è giusto occultare il seno delle donne e non il petto delle bambine… perché? Forse per la stessa ragione per cui a essere celati allo sguardo sono nell'Islam i capelli, maledetti capelli: generano scandalo, scompigliano l’ordine sociale innescando il desiderio dei maschi!

Eppure, in Occidente, le donne girano a capo scoperto senza che accadano particolari tumulti; tutt’al più, qualche pettegolo (o pettegola) potrebbe commentare sulla ricrescita che si scorge sotto all’henné. Viceversa, se io andassi in un ipermercato completamente nudo sarebbero guai. La guardia giurata non mi farebbe neppure entrare. E questo perché ogni comunità umana stabilisce i propri codici estetici e morali, le porzioni di corpo lecite e illecite. Comunità da comune, come viene chiamato il settimo senso che è quello del pudore. L'espressione fa un po' sorridere, ma dice una cosa seria. Il sentire che discrimina ciò che può essere messo in scena – se ne ricava che lo scarto è osceno  davvero viene condiviso, per quanto non abbia altro fondamento del sentire stesso.

Il tema su cui mi sembra urgente riflettere mi accorgo così essere un altro: non il bikini nelle bambine (che a scanso equivoci continuo a considerare una colossale scemenza), ma la convivenza di gruppi umani con schemi di pensiero divergenti, che si applicano al corpo come a tutto il resto. In altre parole, il comune senso del pudore non è più tanto comune.

Per la mia generazione che coincide, grossomodo, con quella di Francesca Piovesan, il corpo di una bambina è un corpo, un petto è un petto e le tette sono tette. Fin qui ci siamo. Ma in una manciata di anni, quelli in cui io divento troppo vecchio per un lavoro e dunque anche per il premio che si chiama mare, sono comparse nuove generazioni: a noi appaiono come alieni, noi a loro probabilmente come dinosauri.

Per i nuovi abitanti del pianeta che ci vede compresenti (qualcosa di simile deve essere accaduto nel paleolitico medio, quando a contendersi la scena erano homo sapiens sapiens e homo neanderthalensis) è del tutto normale che una bambina di sette o otto anni indossi un bikini imbottito. Se gliene chiedi ragione, i più colti tra di loro ti risponderebbero di nuovo citando il più famoso tra i sofisti: “l’uomo è misura di tutte le cose.”

E avrebbero ragione. Come ha ragione il ventenne che incrocio sull’autobus; ascolta in viva voce una musica che io trovo ripugnante, prima sbirciava dei video su YouTube di cui faticavo a intendere perfino le parole, ed erano in italiano. Antropologia. Io e questo ragazzo, realizzo, apparteniamo a tribù antropologiche differenti. Nel passato questi mutamenti accadevano nel corso di centinaia di anni, o a distanza di migliaia di chilometri. Ora si sovrappongono nello spazio a un tempo incalzante; basta non andare al mare per dieci anni e al posto dei pesci, chissà, magari ci trovi coccodrilli di plastica, come era il mio materassino gonfiabile ottenuto nei primi anni Settanta con i punti del formaggino Susanna.

A me tutto ciò inquieta più del bikini indossato dalle bambine, che pure mi inquieta parecchio. Il ventenne è seduto al mio fianco. L'autobus frena all'improvviso per non investire un gatto, poi riparte senza che il gatto si sia accorto di nulla. Così lontani così vicini titolava un film di Wim Wenders. Proveniamo da mondi diversi: io leggo Internazionale, lui segue le rime baciate di un rapper, li immagino incamminarsi assieme verso un altro mondo. Ma qual è la direzione giusta, il mondo giusto? Perché a questo punto sarebbe utile comunicarlo al conducente.

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