giovedì 23 settembre 2021

Vipponi

Il neologismo vipponi, coniato da Alfredo Signorini per chiamare a raccolta i concorrenti del Grande Fratello Vip, credo che rimarrà a futura memoria, come gli slogan degli anni ottanta di Gerry Calà: libidine, doppia libidine, libidine col fiocco.

In fondo, sono l'equivalente postmoderno delle frasi che i sette savi avevano inciso sul frontone del tempio di Delfi, a far da specchio al proprio tempo. Del nostro, di tempo, rimarrà invece quel tormentone, a ricordarci che c'è stata un'epoca in cui non bastava essere delle persone molto importanti (Very Important Persons), ma piuttosto molto molto, very very, l'iperbole dilaga quando il maggiorativo diviene la regola, e come cantava Giorgio Gaber non basta più l'amore ma ci vuole un "plus amore".
La sensazione è quella restituita da una celebre sequenza de Il grande dittatore di Chaplin, in cui Hitler e Mussolini continuano ad alzare le poltrone da barbiere su cui sono seduti uno al cospetto dell'altro, per svettare sull'interlocutore. Forse entrambi già intuivano l'ombra che ci ha infine avvolti, in cui i nomi si confondono ai nomi, le facce alle facce. L'unica sarà allora precipitarsi su un social network per guadagnare una manciata di like, a provvisoria restituzione (obliterazione) di una caricatura di esistenza. O, meglio ancora, diventare dei vipponi.

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