Un paio di anni fa avevo letto un libro di Renzo Paris
che mi era piaciuto molto. Si intitola Il picchio rosso – bello anche il
titolo – e appartiene alla collana di Editoriale Scientifica diretta da
Fabrizio Coscia. Ho così pensato di aggiungere Renzo Paris ai miei contatti
Facebook; vedo che abbiamo 332 amici in comune, evidentemente (come faccio io)
accondiscende la richiesta a cani e porci. A due anni dall’invio mi rendo però
conto che non l’ha fatto con me. Sono ancora lì che aspetto. Mi sa che non ha
nessuna intenzione di intrupparmi…
Attenzione, disclaimer: questo non è un intervento
contro Renzo Paris, ma il tentativo di una riflessione sul rapporto tra
scrittore e lettore, a cui sospetto i social non abbiano giovato. In
fondo ci aveva già ammoniti Salinger: “Quelli che mi lasciano proprio senza
fiato” scrive nelle ultime righe del Giovane Holden, “sono i libri che quando
li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l'autore fosse un
tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti
gira.”
Possiamo guardare all’amicizia sui social come al
surrogato di quella telefonata. Solo che Renzo Paris non ha risposto e,
nonostante per 332 volte le nostre bolle si siano intersecate, ne ha tutte le
ragioni. Negli ultimi anni è passata un’idea metonimica dell’amicizia: oltre i
quindici amici in comune è automatico che una persona sia anche tua amica; cosa
che aveva un qualche fondamento nella vita reale, ma sui social è pensiero magico.
Del genere se incrocio per strada tre donne incinte a breve avrò un figlio.
Per fortuna sul profilo non viene indicato il numero
di telefono, altrimenti la scena prefigurata da Salinger sarebbe all’ordine del
giorno: “Ciao, sì, lo so che sono le due di notte ma ti prego ti prego ti prego, non mettere giù! Sono un tuo lettore.” Un lettore, appunto, non un amico.
E dunque bravo a Renzo Paris che non mi si è filato
neppure di pezza. Peccato che questo pregiudizio di amichevolezza è duro da
estirpare, e così ora sono condannato a leggere i libri di Paris con occhi
diversi, a leggerli o magari a non leggerli più. Potremmo anche guardare all’amicizia come a una nuova forma di paratesto,
che condiziona e a volte pregiudica la lettura, la inibisce. Non va confusa con la coda di paglia,
ma è mancanza di un pezzo costitutivo: l’illusione di intimità, che è subentrata alla sospensione di incredulità della letteratura del passato.
È il prezzo che gli scrittori devono pagare alla
società dello spettacolo: o incoraggiano i tentativi di corteggiamento da parte
del lettore – solo un po’ si intende, come sapevano fare le donne negli anni
Cinquanta: carota e bastone, carota e bastone – oppure li perdono.
Molto meglio quando gli scrittori stavano di qua e i
lettori di là, e solo dei matti veri, come in Misery di Stephen King,
potevano pensare di saltare lo steccato. Ma adesso che siamo in regime di
promiscuità lo scrittore, oltre a ideare, scrivere, correggere, trovare un
editore e firmare con dedica in piccole librerie di provincia sempre troppo
fredde o troppo calde, deve imparare a fare anche da entraîneuse.
Perdonami! Ma a me questa cosa di “chiedere l’amicizia” su Facebook mi fa tanto ridere. Come se questo nobile sentimento fosse a disposizione di chiunque o addirittura si potesse comprare in rete come un sacco di patate. Sarà perché io queste sottigliezze non le posso capire perché non ho neanche un cellulare e sono fuori dal mondo digitale, ma mi viene da fare una considerazione. Se io ti chiedo l’amicizia e tu me la concedi, senza conoscermi – come credo succeda sempre sui social, la si elargisce a “cani e porci” come fa Renzo Paris (tranne che a te) - non sarebbe più semplice dare a tutti la possibilità di entrare, senza nascondersi dietro questa falsa riservatezza? E’ quello che avviene con un blog. Io vengo da te, leggo, lascio un “mi piace”, se mi piace, e me ne vado: sono un lettore, non un tuo amico, sono un tuo follower (se ti leggo sempre) ma non ho niente da spartire né con te né con l’amicizia. Tutt’al più possiamo avere gli stessi gusti e preferire la stessa pizza. Ma per diventare amici (forse) una pizza ce la dovremmo almeno mangiare insieme, andando in pizzeria, anziché fotografarla e metterla su Facebook. O no?
RispondiEliminaScusa Pino, i commenti non mi vengono segnalati e, quando non me li perdo, come nel tuo caso leggo in ritardo. Sì, d'accordo su tutto: Facebook rappresenta una squallida caricatura delle relazioni reali, con l'aggravante che è il reale che si sta progressivamente "facebookizzando", non il contrario...
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