Sanremo possiede la stessa funzione sociale dei grandi
delitti, quelli che portano a convocare immediatamente un criminologo e Alba
Parietti negli studi televisivi – a dire il vero la Parietti era già in
scaletta, ma tutto fa brodo – e poi ci si divide tra colpevolisti e
innocentisti. Se ne discute molto, in accalorati toni, ma per molto poco, fino
al prossimo delitto che subentra come la nuova pallina nel flipper; pare che
Bruno Vespa già disponga del plastico della scena del crimine.
Anche gli argomenti sono facilmente riciclabili, nei
baretti di quartiere non manca mai la frase bisognerebbe ripristinare la
pena di morte, seduto sul divano il nonno dice che deve andare a pisciare
ma nessuno l'ascolta, tutti presi dall'emergere di nuovi indizi. È insomma una
delle pochissime occasioni in cui una comunità umana mal assortita può
finalmente ricompattarsi attorno a un unico fulcro; succede in effetti anche ai
funerali, ma in quest'ultimo caso sono ammessi solo giudizi celebrativi sul caro estinto.
Su Sanremo ci si può esprimere a ruota libera, meglio
a cazzo di cane, perfino bestemmiare come qualcuno insinua abbia fatto Fiorella
Mannoia; fosse stata all'Isola dei famosi sarebbe stata immediatamente
espulsa. Qui invece ciò che non ammazza ingrassa. Per quel che mi riguarda
sarei sul fronte dei colpevolisti: questo Sanremo è un vero crimine contro la
musicalità – ma se non lo stai seguendo, che ne sai?! Appunto, lasciatemi
straparlare, perché ne sono fiero. Sono un italiano, un italiano vero.
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