Contrariamente a quanto pensava Max Weber, per il quale il capitalismo discende dall’idea calvinista della predestinazione (ma in realtà gli stoici già credevano in qualcosa di simile), ho maturato la convinzione che la premessa del capitalismo vada ricercata all’interno della macchina umana, e nello specifico in quel suo meccanismo oscuro chiamato sessualità.
Ogni corpo possiede un capitale di desiderabilità, un capitale variabile che lo colloca su un'ideale scala graduata e gli conferisce un valore di scambio, convertito, in particolare nelle donne, in valore sociale. Beninteso, non tutto il valore di una donna è ovviamente derivato dal corpo, ma una parte significativa non solo nella ricerca di un compagno (ammesso e non concesso che lo voglia) e perfino di un lavoro, di una maggiore visibilità e consenso sui social.
Mettiamo una giovane fotomodella del Wisconsin appena sbarcata a Milano per la Settimana della moda. Nessuno deve spiegarle quanto vale in quanto corpo che si muove in uno spazio definito, cosa può ottenere da quel corpo anche senza concederne l'intimità. Già lo sapevano gli dei: all’arrosto, talvolta, è preferibile il fumo, e la bellezza è assimilabile al riverbero di uno scrigno chiuso, proprio come quello delle banche centrali dove vengono conservati i lingotti d'oro (il paragone è di Bataille).
E siamo giunti al cuore dell'intrico tra estetica, politica ed economia. Certo, si scherza, ma neppure troppo, in un ambito che è doveroso limitare all’Occidente. In esso il ruolo del maschio è tradizionalmente più ambiguo, con il capitale erotico che fa tutt’uno con il capitale tout court – i proverbi lo ricordano da sempre: “guardalo bene, guardalo tutto, senza denaro l’uomo quant’è mai brutto”. Ma comunque anche nel nostro caso bellezza, forza, prestanza sessuale ed età consegnano al corpo maschile un potere su altri corpi. Che poi uomini bruttissimi e anziani abbiano (raramente) relazioni con donne meravigliose ci riporta all'ambiguità della premessa, ma facciamo fatica a immaginare la stessa avventurosa esistenza in un Franco Califano brutto.
Certo, per un soprammobile o un tramonto o un'opera d'arte la bellezza non ha necessariamente rapporto con la sessualità. Ma per uomini e animali sì; nel dubbio, citofonare al pavone. Come quel tizio strambo che, a Portobello, intendeva risolvere il problema della nebbia in Val Padana abbattendo il passo del Turchino, esiste una soluzione altrettanto eccentrica per superare il modello primigenio di ogni altra sperequazione: non il comunismo, ma l’implosione del desiderio sessuale sarà la rivoluzione che porterà l’umanità fuori dall’orizzonte capitalista.
In fondo si tratta di una tendenza già in atto, le generazioni sono sempre meno ipotecate da foie ormonali; esistono degli studi inquietanti che testimoniano il collasso della produzione di spermatozoi nei maschi occidentali, rispetto al 1973 il calo supererebbe il 50%. Come a dire che siamo letteralmente diventati ciò che molte donne già sussurrano nelle conversazioni dal parrucchiere: dei mezzi uomini. A ciò si aggiunga la progressiva compromissione tra bios e tecnologia, a rendere la sessualità una componente sempre più residuale.
Lenin sosteneva che il termine socialismo può essere riassunto con i Soviet
più l’elettrificazione delle campagne. La sua frase, riveduta e corretta, suonerebbe probabilmente a questo modo: il nuovo socialismo sarà instaurato dai tablet più la desessualizzazione dei campagnoli,
che hanno ancora quel brutto vizio di andare a guzzare nei fienili.
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