"Ogni volta che mi rendo conto della verità di un luogo
comune, mi viene da gridare, come Archimede, "Eureka!" Lo confidava
Michel Houellebecq a Fabrizio Coscia in un’intervista di qualche tempo fa, da
cui ricaviamo che compito della letteratura è smentirli, i luoghi comuni,
quanto confermarli, ossia sottoporre la realtà al collaudo di un’esperienza
interposta e fittizia; nel linguaggio della scienza vengono chiamati esperimenti
mentali.
Ciò che il gossip ci sta dando in pasto nelle ultime ore può
dunque essere visto come esperimento mentale, il cui esisto farebbe gridare
Eureka! a Houellebecq. Mi riferisco al pettegolezzo rilanciato da Dagospia, per
cui l’allenatore della Juventus Massimiliano Allegri sarebbe portatore di una
virtù, che, per dirla con le parole di Fabrizio De Andrè, tra tutte le virtù è
la più indecente. Per dirla invece con le parole di Dagospia, l’allenatore, nel
giro dei conoscenti, verrebbe chiamato Cavallo. Insomma, Allegri è superdotato,
e chiudiamola qui.
Ciò che mi interessa provare a dischiudere sarà allora il
rapporto tra stereotipo e realtà, oggetto e narrazione; una porticina piccola
piccola e nascosta che si apre su un grande confuso magazzino; ci troviamo
Marylin Monroe con la gonna sbuffata al insù ma anche le Marlborlo arrotolate
nel risvolto della t-shirt di Marlon Brando ma anche il Big Jim… È in quello
specchio che la nostra anima, il suo residuo dal saccheggio degli ultimi
decenni, perlomeno, si riflette. Le Grande Autre lo chiama con bella
espressione Lacan, il Grande Altro.
In questi giorni è stato celebrato il funerale pubblico della
relazione tra Ambra Angiolini (la "vittima") e Allegri (il
"carnefice"), quale mormorata conseguenza di un tradimento scoperto
dalla prima e agito dal secondo, con tanto di tapiro ad Ambra da parte di
Striscia la notizia e parole accorate e solidali di Massimo Gramellini. Tutto
ciò ha colpito l'immaginario collettivo, l'ha ridestato dal torpore delle
infinite discussioni sul Covid.
Voglio essere molto chiaro: il tapiro ad Ambra è l'ennesima
scemenza di un programma ripugnante, e che lei possa soffrire per amore mi
spiace; in un’ideale piramide di Maslow dei dispiaceri, tale sentimento occupa
però una posizione prossima alla base, ben dopo alla tristezza per il mio cane,
Mela, che oggi si contorceva per gli spasmi causati da una brutta colite.
Prendo semplicemente atto che il contegno pubblico di Ambra è stato
impeccabile, dimostrandosi donna intelligente e ironica; i due termini sono
forse sinonimi, ma gli riconosco volentieri entrambe le qualità. Come credo
anche lei preferisca, l’intera vicenda umana mi appare così rubricabile nel
cintato perimetro dei cazzi suoi.
Trovo invece di grande interesse la risonanza mediatica, civile
e perfino letteraria della vicenda, che ancora una volta vede la realtà
conformata al suo sciatto stereotipo, letteratura di genere se vogliamo essere
generosi: la bella attrice non si fidanza con un cassaintegrato malato di
fibromialgia (qualcuno che mi somigli, per intenderci), ma con un uomo
altrettanto ricco, famoso e, ora si scopre, anche superdotato. Stiamo dalle
parti dei romanzi Liala, o di quel suo upgrade che sono i programmi pomeridiani
di Rete 4.
Il che va benissimo, sia chiaro: non c’è biasimo, sarcasmo né
tantomeno invidia nelle mie parole. Ma sarebbe bello, come fa Michel
Houellebecq, che anche il pensiero progressista imparasse a convivere con i
luoghi comuni, li rivendicasse perfino. In fondo, passare dal riconoscimento
del mondo così com’è e non come dovrebbe essere, già nelle favole viene
indicata come la via più salubre per ridestarsi dal sogno prima che divenga
incubo; basta trasformare nuovamente i principi azzurri in rospi, e il gioco è
fatto.
La mia geremiade non riguarda dunque i dolori della post-giovane Ambra, ma il fatto che la famigerata casalinga di Voghera non possa avere un fidanzato ugualmente ricco, famoso e superdotato, da cui farsi fare le corna e poi ricevere un tapiro d’oro da Striscia la notizia. Questa è l’unica forma di democrazia che scorgo nel selfie mediatico in cui l’Italia si indigna, protesta, ride, si incazza, l’unica forma di equità sociale sopravvissuta all’implosione di ogni altra utopia.
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