L’esperienza della malattia somiglia al montaggio nel cinema. Pasolini suggeriva che la differenza tra cinema e vita è costituita dal montaggio: nella vita le cose accadono, troppe cose, è difficile coglierne il senso che prende forma solo attraverso la ricomposizione per frammenti; perciò viene realizzata da uno sguardo sopravvissuto al loro manifestarsi, dunque quando noi non ci saremo. Io penso che l’intuizione di Pasolini sia giusta per difetto, andrebbe estesa e sfumata. È infatti nel vivere lieto oppure caotico, quando si è travolti dal lavoro, dagli impegni di cui immagino sommerso un regista, un poeta, uno scrittore quale Pasolini non ha mai smesso di essere, che l’esistenza si disarticola e induce a movimenti automatici o per tentoni, come quando di notte si cerca lo smartphone sul comodino per controllare quanti like abbiamo ricevuto. La malattia impone uno stop a tutto ciò, è una piccola morte, una petite mort, i francesi chiamano così l’orgasmo; ma un altro paragone potrebbe essere con l’opera al nero degli alchimisti; su YouTube, ragazzini vestiti da beccamorto ne ostentano confidenza e nominano con l'antica formula di nigredo. Frangenti, in ogni caso, in cui ciò che si offriva per figure ora si nasconde; è quanto succede alla natura in inverno – non muore ma finge di morire. Sono i mesi in cui i contadini guardano i quiz di Gerry Scotti in televisione, hanno finalmente del tempo libero ma resistono poco seduti in poltrona, non sono abituati, e al primo errore del concorrente scendono a lucidare il trattore; se non hanno vacche da mungere nella stalla l’unico impegno è costituito dalla potatura, a sua volta una forma di montaggio. Non ogni diramazione del tronco può essere mantenuta, sia nel cinema che nella vita l’esubero va espunto: via i rami secchi per lasciare spazio a quelli nuovi e forti. Se il malato è fortunato somiglia a un albero da frutto, e all’inverno segue la primavera – ma c'è un aspetto della metafora che va tenuto in considerazione: non è la stessa identica pianta a rifiorire, dove è scattata la cesoia il passato non si rinnova. Io questa esperienza la sto facendo con la famiglia e le amicizie. Nella malattia del corpo ho scoperto ridondanze, linee affettive concluse che solo la consuetudine teneva in vita. Heidegger, da dentro le sue braghette tirolesi, lo riassumeva con l'espressione si dice e si fa: si dice che ho questi amici, ho questi parenti… e va be’, facciamogli una telefonata di tanto in tanto, usciamo a berci assieme uno Spritz. E invece no: potatura, opera al nero. Contemporaneamente, lo stare male ha rivelato boccioli che riposavano sotto la neve, persone mai frequentate che mi accompagnano a fare una biopsia – vuoi che salgo? mi chiede una lontana bis cugina, è forse la seconda volta che parliamo e l'altra era a un funerale. No, aspetta pure a casa le rispondo, mentre chi credevo amico chissà in questo momento dove sta… Anche il telefono ha smesso di squillare, o, per essere precisi, di intonare Volare nella versione di Dean Martin; impostata quale suoneria fa sorridere vecchie turiste americane sedute nei dehors di Varenna. E se anche non posso essere certo che, infine, Cenerentola riavrà la scarpetta e Giobbe i suoi sette figli maschi e tre femmine (la morte è una variabile che inizio a considerare, possiede per la prima volta un coefficiente statistico numerabile), dentro questo inverno sento pulsare la linfa di una stagione nuova, nuovi rapporti sotto il segno della fragilità. Sono scarti minimi, niente di appariscente, piccoli come la petite mort, ma con segno inverso che gli attribuisce carattere di epifania. Gli alchimisti, sempre loro, sussurrano in strane parole che dopo la nigredo segue la viriditas, quindi albedo e rubedo. Ma non corriamo troppo, film e vita, di nuovo in parallelo, hanno i loro tempi. Adesso è il momento di bruciare i tralci recisi, vedi salire il fumo dalle vigne ma chi ha appiccato il fuoco si dilegua, agli occhi della legge si trova in difetto; non proprio un criminale e però irresponsabile: ogni combustione produce polveri sottili e contribuisce al global warming, se si continua così è perché tanto, di nuovo, noi non ci saremo, e se non fosse ancora chiaro ci pensa una vecchia canzone dei Nomadi a ribadirlo: noi non ci saremo, noi non ci saremo, noi… E se invece, al prossimo giro, mi trovassi di nuovo qui? L’unica cosa sicura è che nel caso si tratterà di un uomo diverso, con altre persone attorno, forse altri amori, perfino una famiglia ricombinata secondo classifiche di gradimento alternative. Finalmente libero dal male – grazie al male.
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