Oggi ho aperto l'applicazione Dating di Facebook, non lo facevo da più di un anno. Il termine inglese possiede qui significato estensivo, ma in un’accezione, incontro, per la quale è necessario richiamare una parola di uguale provenienza, quel light che campeggia indifferentemente su cracker e pacchetti di sigarette. Incontrarsi, insomma, non come Freud quando incontrò Jung e ci parlò per tredici ore consecutive, ma come Tomas Milian nell'incontrare Bombolo intento in qualche marachella.
Da ciò una certa diffusa cautela, i passi dal virtuale al reale sono attenti a evitare l'inciampo; se è difficile ottenere risposta a un semplice saluto, figurarsi un appuntamento che nel caso sarà per un caffè, o, se ti va di lusso, due prosecchini in un dehor
con le mani bene in vista: poche parole imbarazzate espresse nella postura
rigida dei corpi, da concludere con un dai ci si sente che significa
esattamente il contrario.
Parlo per supposizione, non ho mai avuto alcun
incontro procurato da Dating, ma una quindicina di anni fa conobbi qualche
ragazza attraverso Meetic. Ciò da cui sono affascinato è l'esubero dell'offerta, non si finisce mai di scorrere immagini di donne che potrebbero
diventare la donna della tua vita, al punto da chiederti quante vite dovresti
avere per immergerti in quella cornucopia senza fondo. Siamo così portati a
credere – erroneamente – che la domanda erotica o affettiva abbia un peso decisivo, e ciò in conseguenza dell'eterna bilancia mercantile dove il punto di equilibrio corrisponde alla
frase affare fatto!
Ma dimentichiamo che, prima di essere domanda, noi pure siamo esposti sul banco dei commerci sentimentali, gli altri utenti guardano al nostro eccomi qui, prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo offerto in beneficio per voi, come si guarda
dal finestrino di un treno in corsa; è il tramonto di una giornata estiva e le
case accanto alla ferrovia hanno le finestre spalancate, si intravede al loro
interno. Perlopiù si tratta del baluginare dei televisori accesi (li immagino
sintonizzati su Paperissima), ma a volte qualcosa in quegli appartamenti
ci colpisce: una silhouette che esce con l'accappatoio socchiuso dal bagno, lo stendipanni trattiene a stento un abitino a fiori svolazzante, vorrebbe farsi aquilone ma si limita a essere bandiera, o la
tinteggiatura inusuale delle pareti della cucina. Dettagli che fanno venire
voglia di tirare il freno di emergenza, suonare il citofono per scoprire chi ci
vive, chiedere, offrire.
Ecco, mi domando quale passeggera potrebbe essere incuriosita dalla svelta scorsa del mio profilo, incalzata da quello successivo e da quello dopo ancora, in un viaggio la cui meta finale è alla stazione di Utopia: se tante, tantissime, praticamente infinite sono le possibilità, tra di esse si celerà sicuramente il favoloso principe azzurro. Di me invece solo un paio di fotografie venute così così, l’indicazione dei gusti musicali (si va da Era di maggio nella versione di Roberto Murolo a Les amoureux des bancs publics di Brassens) e qualche altra sciocchezza che ho ormai scordato; ma sono certo di non essermi descritto come solare, aggettivo che può essere eletto a emblema dell'autopercezione occidentale.
Per farla breve, un cinquantenne senza tatuaggi che non pratica sport estremi, il che lo includerebbe nella categoria di chi gioca a golf o solca il Mediterraneo in barca a vela – no, nemmeno quello. Mi limito ad avvicinarmi ai sessanta senza avere combinato troppo nella vita; alle scuole medie ero stato votato il più carino della classe, ma adesso non supererei le selezioni per partecipare a una trasmissione di Bonolis. Sì, qual è il valore – perché sui social abbiamo tutti un valore, uno status – di me senza di me, demandandolo alla sola moneta corrente dei segni con cui si polarizza l’interesse?
In una canzone di Renzo Rubino, la presentò al
Festival di Sanremo classificandosi al terzo posto, c’è un verso che mi piace
molto, è incluso nel refrain in cui viene ripetuta la frase fermati e datti
un voto, fermati e datti un voto… Direi che il mio voto è zero, stando
almeno a quell’insindacabile giudice che sono le palette sollevate nella
vertigine di un desiderio senza luogo e senza oggetto.
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