Sono convinto che la collocazione all’interno di un pullman partito dalla fine, quella del ciclo triennale delle scuole medie, ma fine anche in senso lato, dell'infanzia, del nastro di cartone inserito tra i raggi della bicicletta per simulare il rombo di una motoretta, quindi inizio e, a volte, iniziazione che avverrà in una città d’arte selezionata attraverso mesi e mesi di discussione (tanto in ultimo si decide sempre per Venezia, almeno dalle mie parti), sono convinto che tutto ciò segnerà per sempre la tua vita successiva; non la determina, ma riflette come il volo degli uccelli negli auspici della Roma antica.
Le macro categorie spaziali sono tre, anzi tre e mezzo. La
parte anteriore dell'automezzo, occupata dai secchioni, dalle secchione ma anche da ragazze dalla pagella ordinaria che stanno lì solo perché innamorate del supplente di lettere e storia, lo incalzano con domande
dotte così pensando di essere più desiderabili ai suoi occhi miopi. Parte centrale, ovvero studenti dello
stesso genere disposti in coppie mal assortite; non si tratta di amici in senso
proprio, a unirli, quando maschi, è unicamente l’interesse per lo sport –
calcio e formula 1, in particolare –, mentre se femmine sono taciturne
e guardando tutto il tempo fuori dal finestrino in direzione della pianura trapuntata dagli ipermercati, i lampioni arancioni che si accendono al crepuscolo, le prostitute slave con la minigonna chiara, vai a sapere cosa stanno pensando entrambe…
Nei sedili penultimi troviamo grappoli di ragazze che
cantano le canzoni di Sanremo e ragazzi ridanciani, ridono in continuazione,
qualsiasi cosa, anche il bugiardino di un farmaco contro il mal d’auto li fa
ridere, specie quando il farmaco non produce l’effetto desiderato e qualcuno
comincia a vomitare. L’ultima fila, a divanetto, è riservata ai bulli. Quattordicenni che già fumano Marlboro rosse e ingollano avide sorsate di
Peroni Nastro Azzurro, attenti solo all'attenzione, da dirottare sempre verso di sé, con l'eccezione di quella del supplente di lettere e storia, comunque
troppo occupato a rispondere alle domande dotte delle sue spasimanti per accorgersi dei loro traffici. Mescolati ai bulli, in uno slittamento dove l'unica differenza è costituita da una maggiore peluria sul viso, ci sono i ripetenti e soprattutto le ripetenti, a cui i bulli toccano
furtivamente il seno fingendo di sporgersi verso il vano porta valige,
ottenendo quale risposta una sberla di intensità variabile.
Se non ve la siete già fatta da soli, la domanda diventa: voi dove stavate seduti
sul pullman delle medie, nella gita scolastica che segna il passaggio di quel
Rubicone dopo il quale nulla sarà più come prima?
Lo sapete di sicuro, un momento così non si dimentica. Io ad esempio stavo all’ultima fila e la ripetente al mio fianco – aveva seni
di dimensioni contenute ma dalla temperatura altissima, quasi roventi – si
chiamava Renata; assestava sberle dal tenore pugilistico, per i due giorni
successivi ho avuto dolori alla mascella.
Bene, e ora immaginate dove stavano verosimilmente
seduti i vostri genitori, ma prima ancora i vostri nonni e via via a risalire
il tempo fino all’invenzione del motore a scoppio e delle gite scolastiche.
Secondo me, quasi mai dove eravate voi. Mi sono fatto l’idea che una famiglia
sia un luogo di dispersione, per cui non vale il motto tale padre tale figlio –
escludo che mio padre si sia seduto anche lui nell’ultima fila a bere
birra tiepida e palpeggiare una Renata dei primi anni Cinquanta, lo vedo
piuttosto in posizione intermedia a parlare col compagno di posto del grande
Torino di Bacigalupo e Mazzola. Quanto a mia madre, verosimilmente pendeva
dalle labbra del supplente di lettere e storia, ma avrebbe potuto stare anche
nel gruppo delle canterine; di certo non tra le secchione.
Se assumiamo per vera questa tendenza all’entropia
famigliare, la domanda successiva è sulla ragione: perché siamo così diversi
dai nostri genitori e loro dai propri, i nostri nonni, per non parlare dei
figli che ci appaiono degli alieni? Potrebbe essere una strategia evolutiva…
Immaginiamo che la famiglia sia il pullman e tutti i
sedili devono essere occupati. O se si preferisce un alveare, un formicaio: noi
pensiamo di essere unici ma invece stiamo solo giocando una parte, o meglio
ancora ne siamo giocati. Non sineddoche, la parte per il tutto, ma il
tutto che ingloba la parte, la dispone secondo sue proprie occulte strategie di
riempimento, in un gioco di ruolo che non ha mai termine né senso alcuno. Il
mio ruolo, come ho anticipato, era il bullo, o più propriamente il bulletto. E
il tuo ruolo qual era, a che gioco giocavi?
Un gioco dove comunque vadano le cose vince sempre la
famiglia, vince il pullman, l’intero sulle sue determinazioni. L’unica è
puntare una pistola ad acqua alla testa del conducente e poi dire: “Questo è un dirottamento. Invece che a Venezia, ci porti al prossimo Autogrill.”
Dove scendere e dileguarsi tra panini Fattoria, cd di Califano e caciotte
affumicate disposte come gran pavese nel percorso che conduce alle casse, mentre puntino nero in fondo a Canal Grande compare la gondola del doge.
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