Un uomo di ottantaquattro anni, di recente rimasto vedovo, fa scivolare la mano avvizzita sul sedere di una trentacinquenne, il tutto in diretta televisiva e ahimè (per lui) in favore di camera. Ciò che rende doppiamente triste una vicenda già squallida, è che quella mano appartiene a chi, cinquantasette anni prima, nel 1965, cantava:
"Sapessi com'è strano
Sentirsi innamorati
A Milano
Senza fiori, senza verde
Senza cielo, senza niente
Fra la gente, tanta gente
Sapessi com'è strano
Darsi appuntamenti
A Milano
In un grande magazzino
In piazza o in galleria
Che pazzia
Eppure
In questo posto impossibile
Tu mi hai detto ti amo
Io ti ho detto ti amo..."
Un testo di ingenua e delicata poesia sulle belle note di Alberto Testa, a insinuare il dubbio che l'episodio – si chiamano molestie sessuali, nessuna reticenza o assoluzione nel denunciarlo – celi una versione aggiornata dell'enigma della Sfinge risolto da Edipo: chi è quella creatura che all'alba gioca a biglie nei cortili; quando la luce è meridiana si innamora, non di rado ricambiato, spremendo il meglio dal proprio cuore; e al crepuscolo plana con pericolosi sussulti, come un aeroplano in avaria, su tutto ciò che gli ricorda quel meglio ormai perduto, specie se possiede la geometria tonda di un bel culo femminile?
No, la risposta non è Memo Remigi, troppo facile. Piuttosto il maschio occidentale tout court, che, a differenza delle donne, fatica a interiorizzare il monito biblico per cui "c'è un tempo per ogni cosa": tempo per giocare, innamorarsi, cantare e tastare culi – bada bene: il desiderio della mano deve fare da riflesso a quello del culo di essere tastato, in quel gioco erotico condiviso che si chiama petting.
Nel maschio i piani tendono piuttosto a confondersi. Ed è così con malinconia, più che con rabbia, o scherno, che riesco a commentare l'accaduto: "Memo
Remigi c'est moi", anche se non ho mai carezzato sederi che non mi
concedessero questo antico privilegio.
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